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Orange Goblin - Back From the Abyss
31/05/2025
( 770 letture )
Il rispolverato di oggi ci fa tornare indietro di 11 anni e per chi scrive diviene espressione di una summa di ideali, di sonorità e di temi, al punto tale che ci si sbilancia a definire tale disco completo. I capolavori erano considerati altri e non vi era neanche bisogno di questo disco per definire gli Orange Goblin riconoscibili e maturi, eppure Back from the Abyss è completo: in un certo senso, “perfetto”.

Già l’artwork della copertina funge splendidamente da antefatto e con un taglio decisamente fumettistico si presenta come una delle migliori cover che Ben Ward e compagni possano vantare, merito della matita di Martin Hanford. Ciò che si ascolta successivamente permette di assaporare una formula unica che ibrida space rock, heavy metal e un incedere stoner doom a tematiche fantascientifiche, epiche, ma anche a riflessioni sul degrado della società: un amalgama a cui il Goblin Arancio ci aveva già abituato. Il combo britannico era infatti in grande spolvero, A Eulogy of the Damned confermava il loro stato di grazia, che li aveva visti spostarsi dalla psichedelia di Frequencies from Planet Ten a marciare nelle varie decadi, prima verso uno stoner rock personale, sino ad abbracciare un hard & heavy adrenalinico ed esplosivo.

E la parola combo non viene usata solamente come indicativa della struttura di una line up, i quattro londinesi agiscono come un unico monolite, la cui possanza attraversa le dodici tracce, tra rimandi al passato, progressioni psichedeliche, cavalcate e riff sinistri.

Sabbath Hex apre con un grande impatto, con la ben nota potenza vocale di Ben Ward a guidare i tre strumentisti. Sono forti i rimandi blues, ma ciò che si sente e desume nel testo e sotto l’influenza dei Black Sabbath, marcata maggiormente dal riffing di chitarra di Joe Hoare. La sudditanza ai quattro di Birmingham non diviene imitazione pedissequa, ma un rimando da parte di chi il suo sound l’ha creato e ora vuole parlare di chi ha contribuito a farlo crescere così tanto.
E così Ubermensch prosegue aprendo con un mid tempo di batteria, le cui sfuriate scandiscono il tema di un moderno superuomo, ben caratterizzato risulta anche il bridge che apre ad un solo di ottima fattura.

La coppia di brani iniziale risulta tuttavia preparatoria - strano a dirsi eh? - perché la vera adrenalina arriva con The Devil’s Whip in cui l’hard & heavy e l’ispirazione dei quattro ad un sound Motorheadiano prende il sopravvento, risultando inarrestabile dalla prima all’ultima nota.

Il blues del demone della quarta traccia si rivela esattamente ciò che dice il titolo: un blues mefistofelico e fuzzoso, che abbassa leggermente l’intensità, fungendo da “traccia di mantenimento” dell’atmosfera.

I temi variano verso la gloria norrena, ma il mood coglie a piene mani sin dalla sua intro dalla prima fatica degli Orange Goblin, il già citato Frequencies from Planet Ten. Heavy Lies the Crown si presenta come meno dinamica, almeno fino alla rullata di Chris Turner, la risalita verso il “Valhalla” guidata dalla voce di Ben Ward, accompagnata dall’epica chitarra di Joe Hoare è da brividi.

Quella reminescenza space rock, dal full length del ’97, persiste nella distorsione del basso di Martin Myllard che ci introduce lentamente a Into the Arms of Morpheus, un blues puro per cui aggiungere ulteriori aggettivi sarebbe superfluo, con una interessante calata prima nel rock’n roll e poi nella psichedelica chiusura.

Si sono nominati spesso gli inglesi, i Motorhead e i Black Sabbath, ma l’intro di Mythical Knives sembra richiamare i Metallica di Fade To Black, l’apertura dura ben poco perché poi ci si sposta rapidamente verso il racconto epico. Non tanto inusuale da parte dei britannici un sound di questo tipo, ma la maestosità che caratterizza questa traccia e quella di Heavy Lies the Crown, si fonde con il resto della tracklist, rivelandosi adeguata all’ heavy rock proposto senza risultare anomala.

Non c’è tregua, perché Bloodzilla si rilancia all’inseguimento con una linea vocale di grande intensità, la chitarra di Joe Hoare sembra addirittura un misto tra quella di Fast Eddie Clarke e Phil Campbell, sprofondando poi in un imponente stoner doom nell’outro.

Ancora lo space rock e poi rimembranze southern caratterizzano The Abyss, a metà tra un racconto lovecraftiano e una distopia per quanto riguarda i temi trattati. Lo stoner doom dalle venature progressive di The Titan nei suoi 2 minuti carica di pathos gli ascoltatori prima di lasciare spazio a Blood of Them che arrivando dal nulla tra due strumentali sembra fungere quasi da traccia fantasma. E’ il terzo brano che si contraddistingue per l’incedere epico, ma anche per un accattivante ritornello e per un riffing serrato. La traccia conferma l’impressione precedente legata ai Metallica di Ride the Lightning per l’aura proposta, il cui esempio massimo è The Call of Ktulu, in cui il genio di Cliff Burton riuscì a dare voce, attraverso una composizione strumentale, agli orrori del solitario di Providence. Parzialmente ciò si ritrova anche nella strumentale The Shadows Over Innsmouth che chiude il disco, coincidenza non da poco essendo anche il titolo di una delle opere più importanti di HP Lovecraft, in cui l’heavy blues personifica in maniera sinistra gli orrori abissali a cui gli Orange Goblin danno forma.

La produzione del disco risulta leggermente più pulita rispetto al passato, ma ciò non fa perdere potenza al sound degli Orange Goblin, realmente compatto e in questo caso versatile nel dare le giuste sfumature al brano proposto. La teatralità che ammanta questo disco non si dimostra legata solo all’espressione vocale di Ben Ward, ma risulta una caratteristica dell’intera band che attraverso fraseggi, distorsioni e sezioni ritmiche delinea il quadro delle tematiche trattate scandendo la narrazione come in un romanzo, soprattutto quando le parole vengono meno ed è solo la sezione strumentale ad esprimersi, rimandando all’ascoltatore l’atmosfera desiderata. Back from the Abyss si dimostra in questo un grande lavoro, confermandosi un importantissimo tassello nella discografia dei londinesi, i successivi The Wolf Bites Back e Science, Not Fiction non si dimostreranno inferiori, ma sarà difficile replicare quel clima sonoro che questo full length del 2014 è stato in grado di trasmettere sin dai primi ascolti.



VOTO RECENSORE
88
VOTO LETTORI
85 su 1 voti [ VOTA]
jeffwaters
Mercoledì 4 Giugno 2025, 9.28.16
5
Mi colpi molto quest\'album. Bello
Pando
Lunedì 2 Giugno 2025, 15.58.02
4
Grazie Italo! Siamo in due ad apprezzarlo così tanto allora!
Italo
Lunedì 2 Giugno 2025, 13.30.46
3
Il mio album preferito degli Orange Goblin. Bella recensione
Epic
Domenica 1 Giugno 2025, 12.12.45
2
Ottimo album, 88 forse esagerato, non lo darei nemmeno ai loro primi lavori, ma un bel 75 ci sta
Duke
Sabato 31 Maggio 2025, 21.28.00
1
...grande band... tutti i loro dischi sono su ottimi livelli...anche questo....
INFORMAZIONI
2014
Candlelight Records
Stoner
Tracklist
1. Sabbath Hex
2. Ubermensch
3. The Devil’s Whip
4. Demon Blues
5. Heavy Lies the Crown
6. Into the Arms of Morpheus
7. Mythical Knives
8. Bloodzilla
9. The Abyss
10. Titan
11. Blood of them
12. Shadows Over Innsmouth
Line Up
Ben Ward (Voce)
Joe Hoare (Chitarra)
Martin Myllard (Basso)
Chris Turner (Batteria)
 
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