|
16/07/25
SATCHVAI BAND
ARENA SANTA GIULIANA - PERUGIA
|
|
Malevolence - Where Only the Truth Is Spoken
|
18/06/2025
( 829 letture )
|
Sono passati tre anni dalla pubblicazione del terzo album dei Malevolence, quel Malicious Intent che aveva aperto al combo britannico le porte della vera notorietà. Tre anni durante i quali i Nostri sono definitivamente esplosi, passando dallo statuto di giovane gruppo ambizioso e promettente a uno dei nomi di punta del panorama metalcore (accezione da considerare in senso lato) mondiale; dagli inizi underground al contratto con Nuclear Blast, dagli slot pomeridiani nei festival ad un tour da headliner, i ragazzi di Sheffield ne hanno fatta di strada. Ed è con i risultati di questa fulminante e costante ascensione in tasca che i Cinque si riaffacciano oggi sul mercato discografico; una consapevolezza nuova, che traspare nei solchi del qui presente Where Only the Truth is Spoken. Il nuovo nato prosegue infatti il cammino di (relativa) evoluzione stilistica iniziata sul lavoro precedente. Un percorso di affinamento che, per dirla semplicemente, aumenta la cura dei dettagli e la melodia, a (leggero) discapito della cafonaggine che permeava i primi due album, senza però snaturare né tantomeno alterare il sound del gruppo. Una constatazione ancora più vera oggi perché, come vedremo, Where Only the Truth is Spoken risulta sicuramente il disco più ambizioso mai licenziato dai Nostri.
Si potrebbe dire, in modo un po' caricaturale, che i Malevolence sono maturati, diventati forse più adulti, e che non hanno più bisogno di fare gli spacconi a prescindere -il posto che occupano basta e avanza a cementarne la credibilità. Ciò si traduce in una leggera ma indiscutibile complicazione del songwriting, sempre terribilmente impattante ma un po' meno straightforward che in passato. Si avverte lo sforzo di cesellare i dettagli, che infatti emergono più copiosi che mai tra le pieghe di una proposta musicale densa e serrata. Piccoli momenti di respiro, aggiustamenti e rifiniture che testimoniano un'estrema padronanza dei propri mezzi, e che si incastrano per così dire negli angoli del più puro e incontaminato Malevolence-sound. Gli ingredienti che hanno fatto la fortuna del gruppo sono infatti tutti lì: il riffing esuberante e tecnico della coppia d'asce Josh Baines/Konan Hall, l'alternanza tra il ringhio di Alex Taylor e le aperture vocali “sudiste” dell'indispensabile e precitato Hall, così come una sezione ritmica potente e precisa, in special modo per quanto riguarda le parti di batteria.
L'opener Blood to the Leach apre le danze senza fronzoli e sfoggia da subito un riffing particolarmente ricco e arzigogolato, le cui infiorettature ritmano un attacco all'arma bianca, comunque attraversato da alcuni brevi momenti di respiro e dalla struttura piuttosto articolata, la quale rende il brano paradossalmente sfuggente. Le seguenti Trenches e If It's All the Same to You, tra l'altro rilasciati come singoli, mostrano un po' i due punti opposti del disco. La prima sceglie un approccio cavernicolo ma allo stesso tempo poco lineare, quasi del tutto spoglio dalle passate influenze groovy, che invece pulsano forte nella seconda, guarda il caso il brano dell'album che più guarda ai primi lavori del gruppo. I seguenti episodi si pongono un po' nel mezzo. Le vocals cartavetrose di Hall sono sì presenti, ma il metallo dei Malevolence sembra essersi slegato dai dettami groove portati a massimo splendore sul cultissimo Self Supremacy, in favore di una formula più cromata, riflettuta e “sobria” (insomma, si fa per dire). Ne è esempio l'ottima So Help me God, dotata di un ritornello che si avvicina di più ai Trivium che ai Crowbar, se ci passate la similitudine. Heavens Shake mette ugualmente in luce un andamento più arioso nel refrain, ripreso dai continui lead che punzecchiano la rocciosa strumentale tra una parte cantata e l'altra. Citiamo anche Counterfeit, ennesima dimostrazione di perizia chitarristica, ma sottilmente attraversata da momenti tesi e inquietanti che si manifestano in un'alternanza vuoto-pieno ottimamente eseguita. Ora, non stiamo dicendo che i Malevolence si sono messi a fare prog, né che i brani siano un mero susseguirsi di onanismi strumentali; come detto, la band non ha perso per strada il suo DNA, né la sua proverbiale potenza. È però innegabile che i Cinque abbiano voluto alzare l'asticella, ciò che inevitabilmente impatta la scorrevolezza delle canzoni. La conclusiva With Dirt From My Grave ne fornisce un ottimo esempio; davvero travolgente, il brano brilla allo stesso tempo per fantasia chitarristica. Ed anche una Imperfect Picture, nelle cui esalazioni spiraliformi vive ancora, diluito, il velenoso afflato southern del gruppo, mostra una costruzione piuttosto sottile. Segnaliamo in fine l'ospitata dell'illustre e sempre efficacissimo Randy Blythe nella ritmata In Spite, mentre Salt the Wound riprende la formula della “ballad-ma-non-del-tutto” sperimentata con successo nel recente passato (si pensi per esempio a Higher Place). Ovvero una partenza acustica e soave -diremo quasi intimista, che si indurisce progressivamente fino tornare in sicuri territori affini, senza per questo rinunciare ad una piacevole vena solenne.
Cosa ritenere di Where Only the Truth is Spoken dopo questa lunga disamina? Iniziando dai punti positivi, oggettivamente parecchi, possiamo dire che il disco si rivela tecnicamente impressionante e molto curato, negli arrangiamenti così come a livello di songwriting -la maturità alla quale facevamo riferimento ad inizio recensione. Ottima anche la produzione sonora -il platter è stato registrato nei famosi Studio 606 di Dave Grohl in compagnia del prestigioso produttore Josh Wilbur (Lamb of God, Gojira, Trivium). In altre parole, il quarto full-lenght dei Malevolence è formalmente perfetto. L'ambizione e la voglia di continuare ad evolvere sfoggiate dal gruppo vanno ugualmente applaudite. Eppure... eppure manca, almeno in parte, quella spontaneità e quella forza d'urto che caratterizzavano tutte le uscite precedenti. Ad eccezione di un paio di brani, gli episodi necessitano parecchi passaggi nello stereo prima di rimanere impressi, ciò che rende l'assimilazione dell'album meno immediata che in passato. In altre parole, mancano veri e propri inni, che i Malevolence hanno ampiamente dimostrato di saper creare. In fin dei conti, Where Only the Truth is Spoken risulta inattaccabile ma forse un po' troppo distaccato, più preoccupato di parlare alla testa che ai testicoli. Una scelta; chiara, forse coraggiosa, e ottimamente messa in pratica. La scelta giusta? Questo spetta ad ogni fan stabilirlo.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
1
|
Questo finisce diretto tra i migliori dell\'anno. Ottimo ritorno per il gruppo britannico, con un album sicuramente meno straight in your face rispetto al precedente, bisogna ascoltarlo più volte perchè i brani ti entrino dentro, ma quando succede è una goduria. Canzoni che variano al loro interno, passando da parti più groove ad accelerazioni hardcore, con Taylor bravissimo nell\'alternare un cantato più aggressivo ed uno più sudista, quasi all\'Anselmo oserei dire. Per me più che promosso. |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. Blood to the Leech 2. Trenches 3. If It's All the Same to You 4. Counterfeit 03:57 5. Salt the Wound 6. So Help Me God 7. Imperfect Picture 8. Heavens Shake 9. In Spite 10. Demonstration of Pain 11. Dirt from My Grave
|
|
Line Up
|
Alex Taylor (Voce) Konan Hall (Chitarra, Voce) Josh Baines (Chitarra) Wilkie Robinson (Basso) Charlie Thorpe (Batteria)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|
ARTICOLI |
 |
|
|
|
|
|