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16/07/25
SATCHVAI BAND
ARENA SANTA GIULIANA - PERUGIA
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05/07/2025
( 611 letture )
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Formati nel lontano 1978 a Chicago, Illinois, i Trouble sono uno dei più clamorosi casi di cult band o, per meglio dire, uno dei più clamorosi casi di band che non ha mai raccolto quanto seminato e meritato. Citati spesso tra i gruppi fondamentali del doom metal e autori di una discografia impeccabile, personale e immediatamente riconoscibile, dotata di una impronta netta e inconfondibile, i nostri pur con alle spalle etichette come Metal Blade, Def American e Music for Nations e video anche in rotazione su MTV, non hanno mai raggiunto la minima cifra delle centomila copie vendute. A fianco di Candlemass, Saint Vitus e Pentagram (con i The Obsessed subito a seguire) sono stati tra i protagonisti assoluti del genere negli anni Ottanta, senza che questo andasse oltre il generale tributo di colleghi e di una inscalfibile ma, purtroppo, molto ristretta cerchia di fan. Sono in particolare i due primi album, Trouble (poi rinominato Psalm 9) e The Skull a essere citati tra i fondamentali del doom metal e, tanto per inquadrare la loro importanza, dei nomi fondamentali citati in precedenza, senza dubbio i Trouble sono quelli più chiaramente accostabili all’heavy metal propriamente detto. Il secondo album, The Skull (che altro non è che la traduzione in inglese del Golgotha, il colle della crocefissione di Gesù Cristo), va quindi citato tra i caposaldi non solo del doom metal, ma del metal tutto, perché assieme al debutto ne contiene i germi evolutivi e le chiare influenze del passato, unite a una personalità unica e irriproducibile.
La peculiarità stilistica dei Trouble è senz’altro quella di rifarsi alle grandi band dei Seventies e, peraltro, anche a livello di look i nostri sono sempre stati controcorrente: bandane, frange, occhiali a goccia, jeans e t-shirt. Apertamente retrò e quindi fuori posto sin dall’inizio. Eppure, senza mai negare l’influenza dei Black Sabbath nella scelta di proporre tempi rallentati e dilanianti, i Trouble hanno sempre avuto la particolarità di essere una vera e propria heavy metal band, coeva al movimento NWOBHM e palesemente ispirata anche dai Judas Priest, dai quali hanno ripreso in gran parte le scelte chitarristiche, con due solisti di egregia qualità, che hanno da sempre caratterizzato il suono e la costruzione dei brani, privilegiando peraltro scelte melodiche a quelle di puro effetto tecnico. Altro elemento caratterizzante è senza dubbio la voce di Eric Wagner, dotato di un caldo timbro baritonale quando predilige il pulito, ma spesso orientato verso il tipico “gracchiare” dilaniato e raggelante, immediatamente riconoscibile e associato al nome della band. Sue sono le liriche a forte impianto religioso e cattolico che hanno a loro volta dato un’identità al gruppo, lanciato probabilmente in maniera controproducente dalla Metal Blade come appartenente al “white metal” in contrasto col “black metal” satanista di inizio anni Ottanta. Rispetto al disco di debutto, The Skull risulta in gran parte coerente e seguito ideale, ma al contempo mostra mediamente un rallentamento generale e una complessità maggiore delle strutture compositive, entrando appieno nel canone del doom metal, senza per questo rinunciare ad accelerazioni o a un brano come Gideon, quasi interamente votato alla velocità. Fin dall’iniziale Pray for Dead si percepisce un’aura sepolcrale e un lamento funerario che resterà per tutto il disco. D’altra parte, il riferimento al Golgotha non è casuale, dato che le liriche parleranno molto di questi argomenti, come della lotta contro le dipendenze, affrontata da Wagner e, in generale, del male del Mondo e delle debolezze dell’essere umano, con la via di fuga offerta appunto dalla religione e dalla figura di Cristo. Un riferimento mai elegiaco e sempre sofferente e doloroso. Come detto, le strutture dei brani sono spesso contrastanti e un po’ faticose in questo album, con le chitarre a rincorrersi continuamente tra riff e ampie parti soliste intrecciate, come se dovessero farsi scoprire con ascolti ripetuti e mai essere afferrate fino in fondo. Su queste, Wagner si arrampica da par suo, riuscendo spesso a trovare delle linee melodiche che, malgrado tutto, risultano quasi sempre molto riuscite e memorizzabili, almeno nei refrain. Certo, non parliamo di niente che sia facilmente passabile per radio e tanto meno “catturante”. Al contrario, come detto, il tutto a primo ascolto risulta piuttosto sfuggente nel complesso, per poi aprirsi ad ascolti ripetuti in tutta la magnificente costruzione. Come non emozionarsi, d’altra parte, quando dopo la tempesta metallica iniziale le doppie chitarre aprono col loro lamento mortuario, per poi lasciare spazio all’immenso riff portante di Pray for the Dead? Quante band e quanti brani hanno ripreso questo schema? Innumerabili. Potrebbe bastare questo, ma prendiamo anche una traccia fenomenale come Fear No Evil, quasi thrash nel suo incedere e con le continue sovrapposizioni chitarristiche e i soli fiammeggianti, uniti a un riff di base pesante come una traversina di cemento armato. Eccoci quindi arrivare a The Wish, il brano più peculiare e difficile del disco, quasi prog diremmo, tra arpeggi ed improvvise esplosioni chitarristiche, con un andamento spezzato e in continua variazione e che riflette il tormentato testo che parla di suicidio, dove “la volontà” espressa dal titolo è appunto quella di togliersi la vita. La desolante apparizione degli archi sull’arpeggio al terzo minuto è pura poesia, prima della tempesta metallica e quando Wagner sull’accelerazione successiva urla when I say that I need someone all I need is you Lord, only you, non importa essere credenti per cogliere tutta la potenza che il passaggio esprime. La seconda parte del disco si mantiene su questi alti livelli, perdendo appena di concretezza, dove la doppietta iniziale offriva almeno dei refrain immediatamente caratterizzanti; eppure, come non sottolineare ad esempio la spettacolare armonizzazione chitarristica di Wickedness of Men, dopo l’iniziale riffing di basso? Anche in questo caso, una soluzione armonica che sarà copiata e riutilizzata spessissimo. Particolarmente riuscita peraltro tutta la sequenza successiva. In ogni caso, due brani di ottimo livello, ma è con la velocità non scevra di pesantezza di Gideon e, soprattutto, la titletrack, che il disco torna su livelli eccellenti. Su quest’ultimo brano conviene concentrarsi un attimo, perché è l’esempio più calzante della cifra stilistica dei Trouble e del loro apporto al genere: arpeggio malinconico e inquietante, che ci porta subito sul Golgotha e all’epilogo di una vita. Segue l’entrata di un pesantissimo riff doom e, dopo qualche minuto, l’accelerazione finale. La struttura ricorda in tutto e per tutto quella di Black Sabbath, senza pioggia e campane. Eppure, se poi si guardano le soluzioni armoniche e gli sviluppi del brano, siamo in piena epopea metal e il riferimento non è più la celeberrima traccia di apertura, ma diventa Beyond the Realms of Death dei Judas Priest ed ecco che, appunto, l’unione tra la scuola settantiana dei Black Sabbath e quella dei Judas Priest diviene nel nuovo decennio la marca distintiva del sottogenere doom metal. Sembra poco, visto quarant’anni dopo e tanti sottovalutano questo passaggio, perché implicito al movimento NWOBHM, ma si tratta di un qualcosa di epocale, al quale i Trouble hanno partecipato da protagonisti.
Col loro secondo album i Trouble scrivono quindi un passaggio fondamentale, uno di quei dischi che hanno fatto un (sotto)genere e ne hanno codificato l’identità, portandolo nel nuovo decennio e quindi nel futuro. The Skull è un disco complesso, mai del tutto compreso fino in fondo ed è un disco che parla di una sofferenza straziante, il che ovviamente non lo ha certo reso il perfetto esempio di album radiofonico statunitense anni Ottanta. Nel bene e nel male, questa proposta sarà davvero compresa solo negli anni Novanta, piaccia o meno ai detrattori di quel decennio. Eppure, nella sua complessità si cela un vero e proprio tesoro, che non cessa di coinvolgere e stupire e non ha perso nulla passati quarant’anni dalla sua uscita. Forse, proprio per quanto detto, non un capolavoro in senso stretto, ma comunque un disco da avere, fondamentale e che conferma in toto quanto poco ai Trouble sia stato riconosciuto rispetto al loro apporto e valore a se stante.
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12
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Fantastico album, grande band! |
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11
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Bel disco ma il primo album rimane imbattibile, più dinamico, perfettamente in bilico fra doom e nwobhm. |
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10
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Band che nelle sue varie incarnazioni ha scritto la storia del genere. |
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9
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Ho solobqualch disco loro e The Skull è uno di questi. Ottimo esempio di Doom classico, gran nell\'album. |
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7
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@Epic beh loro SONO il classico. A parte i Sabbath, i pilastri sono quelli: Pentagram, Saint Vitus, Trouble, Witchfinder General e poi CANDLEMASS. |
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6
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Qui siamo oltre, nel Doom classico pochi come loro |
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Cult band nel vero senso della parola. Anche io li preferisco in MF e PGH, ma i precedenti sono sabbatiani e coinvolgenti. Forse voto un po\' alto per questo. |
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Lo preferisco all\'esordio in virtù di passaggi più \"melodici\" come in Pray for the dead, Fear no evil e The wish che, malgrado la durata, NON annoia mai. E The Truth Is...? Quanti gruppi avevano suonato così dopo gli esordi dei Black Sabbath? Poi io li preferisco in Manic Frustation e Plastic, ma anche così confermano la loro statura superiore |
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3
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.....monumento del doom.....90...... |
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2
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Finalmente avete recensito un classico e Doom anni 80....il migliore della prima fase della band...opera maestra ancora ineguagliata in ambito Doom classico ...pensare che era il 1985 e non molti avevano il coraggio di mettere sul mercato un disco lento e pesante ben fatto come questo... Il resto delle band pensava a pestare duro e veloce...loro hanno fatto la differenza....95 il mio voto |
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1
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Come sottolineato in recensione questa è una band da vero culto, soprattutto agli inizi, visto che con Trouble del \'90 ( bellissimo ) probabilmente ebbero un po\' più di visibilità, grazie al l\'interessamento di Rubin. Però per me i primi due rimangono i migliori, per quello espresso in rece, cioè per il fatto che siano doom, ma hanno anche un prorompete motore di heavy classico di matrice nwobhm. Band comunque da riprendere quasi in toto, dico quasi perché per me Run To The Light risulta un po\' monotono rispetto l\'eccellenza degli altri, però nell\'87 con quell\'album andarono in tour con King Diamond e fu un tour di grande successo. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Pray for the Dead 2. Fear No Evil 3. The Wish 4. The Truth Is, What Is 5. Wickedness of Men 6. Gideon 7. The Skull
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Line Up
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Eric Wagner (Voce) Rick Wartell (Chitarra) Bruce Franklin (Chitarra) Sean McAllister (Basso) Jeff Olsen (Batteria)
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