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Foot - The Hammer
14/10/2025
( 1317 letture )
I Foot tornano ad affacciarsi con veemenza nell’universo dello stoner rock, pubblicando il loro quinto album in studio: The Hammer, un titolo emblematico e carico di significato. Il frontman e mente creativa Paul Holden, affiancato dal compagno di band Matthias Dowle, ha dovuto attraversare un periodo turbolento sul piano personale, un vissuto che si riflette potentemente in ogni nota del disco. Il titolo stesso, scelto con cura e intenzione, è programmatico: il martello, come scrive lo stesso Holden, è uno strumento ambivalente, capace tanto di costruire quanto di distruggere. In The Hammer, Holden lo brandisce con consapevolezza e intensità: costruisce brani che si ergono come fortezze sonore e, allo stesso tempo, abbatte barriere emotive e psicologiche, dando voce a una musica primordiale che affonda le radici nel cuore più ruvido e autentico del rock. Registrato in una sola settimana, in un clima di intensa coesione, l’album è stato prodotto dallo stesso Holden insieme all’ingegnere del suono Ryan Fallis. Questa modalità diretta e istintiva ha conferito al disco un suono crudo, viscerale, privo di orpelli o sovraincisioni superflue. L’obiettivo è chiaro: colpire, scuotere, lasciare il segno. Già nel precedente e convincente You Are Weightless, i Foot avevano mostrato un netto allontanamento dalle derive psichedeliche degli esordi, per abbracciare un rock più urgente, asciutto, terreno. The Hammer prosegue coerentemente su questa traiettoria, spingendosi ancora oltre: pubblicato, come il precedente, da Copper Feast Records, il disco ne riconferma le coordinate sonore, ma con un’inclinazione meno graffiante e forse più cupa, malinconica, quasi esistenziale. È il suono di una band che tenta di elaborare e superare un momento di crisi attraverso la forza risanante e, in fondo, catartica della musica.

Bastano i primi due brani, Pigsty e Come and See, per precipitare senza fiato in un mood oscuro e viscerale, dove i toni della psichedelia e i riff stoner risuonano filtrati, corrotti, come un riflesso distorto dei Foot più sognanti e spensierati degli album precedenti. Il secondo brano, in particolare, è un omaggio all’omonimo film russo del 1985: un’opera spietata e realista, che ritrae con crudezza gli orrori perpetrati dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale. La canzone ne ricalca l’amara e disillusa visione della vita, contribuendo a impregnare l’intero The Hammer di tonalità dimesse e sfumature intrise di pessimismo esistenziale. Se il suo predecessore, You Are Weightless, flirtava con lo stoner e un rock più accessibile, non di rado vicino ai Queens of the Stone Age, The Hammer vira verso territori più introspettivi e malinconici, richiamando certe atmosfere tipiche di alcuni giganti degli anni Novanta. Non è un caso se, nella magnifica ballad onirica Intensify, uno dei vertici emotivi dell’album, si avvertono echi ovattati dei Porcupine Tree e dei Radiohead più eterei. Allo stesso modo, gli Alice in Chains, ombra lunga e costante nella carriera dei Foot, si manifestano con forza nella potente Jesus Wept e nella più dimessa Walking Into Walls All Week, il cui titolo è una citazione diretta da uno sfogo di Tony Soprano, colto in un momento di profondo sconforto: uno stato d’animo che, per riflesso, diventa anche quello di Paul Holden. A spezzare, almeno in parte, la coltre grigia dell’album ci pensa Sex and Candy, episodio isolato e straniante, costruito su un riuscito gioco di contrasti: un riff portante quasi doom e un ritornello zuccheroso, che si stampa in testa con una melodia contagiosa, quasi pop. È però solo una parentesi, perché The Hammer si chiude sprofondando letteralmente all’inferno, quello di Dante. La conclusiva Katabasis altro non è che una rilettura musicale del terzo canto della Divina Commedia, declamato su un tappeto sonoro inquieto e magnetico, firmato dal quartetto australiano. Un finale potente e simbolico, che conferma quanto la poetica di Paul Holden sia ampia e stratificata, capace di attingere a piene mani da fonti eterogenee: dalla letteratura classica alla serialità televisiva, dal cinema alla riflessione autobiografica.

Se da un lato la pluralità delle fonti dalle quali Paul Holden trae ispirazione contribuisce in modo significativo ad arricchire e diversificare i testi delle composizioni –autentiche poesie in musica–, dall’altro la scelta di proporre canzoni più complesse e articolate richiede uno sforzo maggiore durante l’ascolto, restituendo, per contrasto, un senso di perdita rispetto a quegli elementi più diretti e accattivanti che avevano decretato il successo degli album precedenti. I Foot sono senza dubbio maturati e, mai come in The Hammer, riescono a mettere in musica le proprie esperienze personali, il vissuto, trasmettendo all’ascoltatore un profondo senso di malinconia, disagio ed inquietudine esistenziale. Tuttavia, questa crescita e questa maggiore introspezione finiscono in parte per sacrificare un tratto distintivo dei Foot, e dello stoner rock più in generale, che sembra sempre meno centrale nella loro proposta musicale: quella sfrontatezza leggera, ironica e dissacrante, che si manifestava in composizioni più immediate, cariche di riff tuonanti, ritmi martellanti e ritornelli da cantare a squarciagola, quasi con complicità. The Hammer rimane comunque l’ennesima prova di una band capace, album dopo album, di rinnovare la propria musica, vestendola ogni volta con colori e tessuti differenti, senza mai perdere la propria identità. Il disco alterna momenti di assoluta ispirazione, in cui parole e suoni si fondono in un equilibrio raro, ad altri in cui il desiderio di cambiamento, pur espresso con forza nei testi, non riesce a trovare un corrispettivo musicale altrettanto incisivo. L’impressione finale è che la poetica di Paul Holden, dopo anni di rivoluzione su se stessa, senta ora il bisogno di una nuova scintilla: la spinta esterna di un produttore di livello, di un direttore d’orchestra, capace di incanalare le sue energie creative verso orizzonti più ampi. Solo così il magma artistico che ribolle in profondità potrà esplodere davvero, con tutta la sua forza, infiammando e illuminando palcoscenici che, forse, devono ancora scoprire i veri Foot.



VOTO RECENSORE
75
VOTO LETTORI
66 su 1 voti [ VOTA]
INFORMAZIONI
2025
Copper Feast Records
Alternative Rock
Tracklist
1. Pigsty
2. Come And See
3. Walking Into Walls All Week
4. The Hammer
5. Intensify
6. Jesus Wept
7. Sex And Candy
8. Cracks
9. Katabasis
Line Up
Paul Holden (Voce, Chitarra, Basso, Batteria)
Matthias Dowle (Chitarra)
 
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