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Goya - In the Dawn of November
14/10/2025
( 1163 letture )
Nati nel 2011 tra i venti torridi dei caldi deserti dell’Arizona, i Goya, creatura capitanata dall’inossidabile cantante e chitarrista Jeffrey Owens, hanno girovagato a lungo per gli States alla ricerca di un’identità artistica ben definita. Un equilibrio difficile da raggiungere, sospeso tra le sabbie pesanti dello stoner, le atmosfere roventi del desert rock e le ombre cupe del doom. Il loro ultimo lavoro in studio, Harvester of Bongloads, risaliva addirittura al 2017, seguito da un lungo silenzio, almeno sul fronte delle uscite discografiche. Tuttavia, proprio come il nome della loro città natale, Phoenix, i Goya sono riusciti a rinascere dalle proprie ceneri, portando con sé alcune novità degne di nota. Il mastermind Jeffrey Owens ha infatti rifondato la band da zero, arruolando una nuova e solida sezione ritmica composta dal bassista C.J. Sholtis e dall’esperto batterista Marcus Bryant, noto per la sua lunga militanza negli epic metallers Spirit Adrift, oltre al fratello Preston Bryant, sempre collaboratore negli Spirit Adrift, alle tastiere. E, come se non bastasse, per suggellare questo ritorno in grande stile, la produzione del nuovo album è stata affidata a un nome di assoluto prestigio: Jack Endino, autentica leggenda del suono pesante e grezzo, già al lavoro in passato con giganti del calibro di Soundgarden, Nirvana, L7, Screaming Trees e High On Fire. Nuova anche la label che accompagna questa rinascita: la rodata Blues Funeral Recordings, etichetta specializzata del settore, che l’8 giugno 2025 pubblica in pompa magna il nuovo, attesissimo album dei Goya, intitolato In the Dawn of November.

Ma questo reset, questo ripartire da zero, sarebbe pressoché inutile se la musica del nuovo full-length non conducesse anch’essa a un nuovo inizio per la band dell’Arizona. I Goya, infatti, hanno sempre giocato con diversi generi senza mai adottarne uno in particolare, muovendosi senza soluzione di continuità tra doom, sludge, stoner e rock psichedelico. Se da un lato la band o, meglio, Jeffrey Owens, ha fatto della duttilità la sua arma migliore, dall’altro ha forse sofferto di una certa schizofrenia artistica, acuita dai continui cambi di lineup e di label discografiche. Alla band mancava un secondo timoniere in cabina di regia: un produttore capace di valorizzare gli elementi camaleontici del songwriting di Owens, ma anche di incanalare tutte quelle influenze stilistiche in una struttura più coesa e organica. Un ruolo che il veterano Jack Endino ricopre qui in maniera magistrale. Sin dal primo ascolto è evidente come i Goya abbiano optato per una massiccia presenza del doom a scapito di altri generi, pur mantenendo, soprattutto nei suoni ricchi di fuzz, una chiara parentela con lo stoner più monolitico e massiccio. Rispetto alle fatiche precedenti, la band ha raffinato la propria proposta, curando in maniera maniacale sia il songwriting sia gli arrangiamenti, ora più agili e asciutti, con l’effetto di generare composizioni più intense e penetranti. Non poche band più rodate farebbero carte false per essere in grado di comporre un brano d’apertura come la title track: un autentico macigno di maestoso doom avvolto in una corazza di sludge, punto d’incontro tra Trouble e Mastodon. Bastano pochi minuti per capire che i Goya hanno in serbo un banchetto sontuoso e che In the Dawn of November potrebbe davvero rappresentare l’album della svolta, della definitiva consacrazione tra i big del genere. A ribadire il concetto è la granitica Cemetery Blues, lunga composizione che recita il verbo dei Black Sabbath tinto dai suoni acidi degli Electric Wizard: invalicabili mura di riff, popolate da assoli letali come arcieri, e il ruggito di Jeffrey Owens, un vero e proprio drago, a seminare terrore e scompiglio tra i malcapitati assedianti. I Goya, questa volta, non prendono prigionieri. E se questo concetto non fosse del tutto chiaro, ci pensa la corrosiva Sick of Your Shit a colpire duro: una bomba ad alto potenziale in cui sludge e stoner investono l’ascoltatore come un tornado sonoro, riportando in scena attitudine e sonorità tipiche dei maestri High On Fire. Ma è l’ipnotica suite I Wanna Be Dead a ricondurre l’album sui binari del doom più granitico e arcigno, con tanto di intro funestato dai rintocchi di campane a morto. Dodici minuti in cui i Goya si giocano tutte le carte e sbaragliano gli avversari. Nel lungo brano c’è davvero di tutto: riff possenti, un refrain martellante come un mantra rabbioso urlato da Jeffrey Owens e una lunga coda strumentale in cui chitarra e basso, con un ispirato C.J. Sholtis, duellano e dialogano, portando luce, sollievo e melodia a una prima sezione cupa e infuocata.

Finalmente i Goya, complice la mano fatata di Jack Endino, riescono a incanalare le miriadi di influenze stilistiche e le ribollenti esperienze musicali del passato in un album, In the Dawn of November, che risulta decisamente superiore alla somma delle sue parti. Le nuove composizioni spazzano via tutte le incertezze stilistiche degli album precedenti, risultando più coese, più eloquenti e dirette, senza per questo rinunciare a soluzioni complesse e ricercate. I brani del nuovo album, infatti, sono spesso lunghi e articolati, ma non deragliano mai in direzioni senza via d’uscita: ogni canzone è una lama affilata che taglia senza mai spezzarsi o smussarsi, colpendo sempre il bersaglio con forza letale. È un piacere ascoltare e riascoltare In the Dawn of November, per godere della sua forza dirompente e, allo stesso tempo, per scoprire quelle sfaccettature e quelle piccole gemme psichedeliche incastonate sapientemente nelle nere mura di riff. Il nuovo album dei Goya è la tangibile dimostrazione di come, anche senza budget vertiginosi, sia possibile produrre e confezionare un prodotto quasi perfetto: dalla splendida copertina firmata Dirk Robertson alla cura maniacale dei suoni, ogni dettaglio è esattamente e armoniosamente al suo posto. Dopo tanti anni di dura gavetta, vicoli ciechi, compagni di viaggio sbagliati e scelte sfortunate, i Goya salgono ad alta quota e si godono finalmente la tanto agognata vetta, in compagnia di quei pochi che ce l’hanno fatta.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
81.2 su 5 voti [ VOTA]
Doom Queen
Mercoledì 22 Ottobre 2025, 14.48.23
1
Non li conoscevo proprio. album bellissimo
INFORMAZIONI
2025
Blues Funeral Recordings
Doom
Tracklist
1. In the Dawn of November
2. Cemetery Blues
3. Depressive Episode
4. Sick of Your Shit
5. I Wanna Be Dead
6. Comes With the Fall
Line Up
Jeffrey Owens (Voce, Chitarra)
Preston Bryant (Tastiera)
C.J. Sholtis (Basso)
Marcus Bryant (Batteria)
 
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