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08/10/24
SIBERIAN MEAT GRINDER + GUESTS
FREAKOUT CLUB - BOLOGNA
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God Is An Astronaut - Origins
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( 6073 letture )
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Recensire un album dei God Is An Astronaut è tanto un piacere quanto una difficoltà nel trovare le poche ma giuste parole, un po’ come gli ingredienti di questo genere musicale, per descriverlo.
Il genere nel quale la band della contea di Wiclow si iscrive è il post-rock, un filone musicale nato in Inghilterra verso la fine degli anni ’80 da una volontà di destrutturazione, prima emotiva, e poi strumentale, della musica rock, sentita da musicisti provenienti dalle più disparate, alternative, ed a volte antitetiche, estrazioni culturali. Sulla scia del fermento culturale beat, prima, e dei movimenti studenteschi poi, nell’Inghilterra underground (o “indie”, contrazione del termine independent) degli anni settanta presero piede forme strumentali contro-culturali più complesse ed ambiziose della musica pop del tempo (Elton John, ABBA, Bay City Rollers…), debitrici delle istanze jazz (soprattutto free) anni cinquanta ed, al tempo stesso, della musica classica, moderna e non. Comparvero nel mondo musicale anglosassone, così, il prog rock (King Crimson, Gentle Giant), l’experimental rock (The Velvet Underground o Brian Eno, il quale delineerà pure, in termini più moderni, i confini della non-musica ambient) e lo psychedelic rock (Pink Floyd, The Doors), mentre la Germania si farà portatrice di istanze maggiormente elettroniche e minimali con il krautrock (Faust, Tangerine Dream). Sarà proprio questo contesto musicale a porre la basi, verso la fine degli anni ottanta, per la prima vera e propria band post-rock della storia: gli Slint. La band statunitense, una fra le massime rappresentanze anche del math-rock, darà vita ad un filone musicale che potremmo battezzare, sulla scia di reminiscenze black metal, “prima ondata post-rock”, la quale, in analogia a ciò che avverrà pure nel genere musicale più estremo di tutti, si differenzierà molto dall’ondata che la seguirà, a causa dei propri e non ben delineati confini attitudinali, filologici e musicali, comprendendo entro i propri canoni stilistici linee strumentali le quali ondeggiavano dal rock sperimentale dei Radiohead alla musica ambient, passando per centinaia di band, diversissime fra loro, che in qualche modo potranno comunque permettersi di iscriversi entro il grande calderone “post”, quali i Talk Talk, i Tortoise, i Don Caballero e i Godspeed You! Black Emperor. Contemporaneamente, il parallelo sviluppo e la “seconda vita” dell’indie-rock giocarono un ruolo fondamentale nel definitivo sviluppo, agli albori del nuovo millennio, della “seconda ondata post-rock”, la quale, almeno inizialmente, nascerà come una branca dell’indie-rock stesso. Questa seconda ondata, la quale potrà poi contare entro le proprie fila band di assoluto livello quali i Mogwai, gli Explosions In The Sky od i Sigur Rós, avrà la capacità di sviluppare in brevissimo tempo, a differenza delle band che la precedettero, delle proprie caratteristiche compositive che ne poterono fare, ancora oggi, un (sotto)genere del rock a tutti gli effetti, inglobando e sintetizzando entro di sé tutte le caratteristiche musicali sopra elencate, partendo dalle atmosfere ambient sino ad arrivare a sezioni ritmiche di matrice jazz, passando per sonorità krautrock e rave, ed aggiungendo, come proprio marchio di fabbrica, cambi di dinamica strumentali molto accentuati e l’eliminazione totale (o quasi) delle linee vocali, unicum nella storia del rock per un genere intero. A proposito del genere, la rivista inglese di musica sperimentale The Wire scriverà nel 1994: “…si è sviluppato per usare una strumentazione rock senza fare musica rock, utilizzando le chitarre come catalizzatori del timbro piuttosto che creatrici di riff”. La definizione calza a pennello.
Ed è proprio in tendenze di tali timbri e colori che prende vita il, dapprima trino, progetto strumentale God Is An Astronaut.
Origins, sesto album della band irlandese, rappresenta un considerevole salto stilistico della discografia del gruppo, inglobando, molto più dei precedenti capitoli, sfumature e venature pop, electronic e, addirittura, trip hop. Non solo la line-up negli ultimi due anni si è arricchita di due nuovi componenti tramite l’ingresso nel gruppo del chitarrista ritmico Gazz Carr e di Jamie Dean ai sintetizzatori ed alla tastiera, ma pure l’inserimento di linee melodiche vocali, per altro processate pesantemente da computer e vocoder, ad opera del frontman Torsten Kinsella, è sempre più massiccio ed onnipresente, pur venendo settate sullo sfondo sonoro del full-length, prendendo i colori di lontani ed eterei richiami percepibili solo nello spazio più profondo. Anzi no. Forse Origins vuole rappresentare una cesura, anche concettuale, all'interno della carriera dei God Is An Astronaut, un ritorno alle origini, con un Dio, questa volta, molto più terreno, dimentico di quasar, buchi neri o supernovae, che vaga su una terra post-apocalittica divenuta totalmente inospitale per la vita e per gli esseri umani, come reso attraverso le immagini, in Finlandia, nel bellissimo video del brano Reverse World. La musica, difatti, perde quella calma eterea e quelle incantate atmosfere cosmiche che erano state caratteristica peculiare della band da The End of the Beginning in poi, per connotarsi, invece, del malinconico utilizzo, ed a tratti rabbioso, della strumentazione elettronica, supportata negli intenti da una batteria mai così presente in alcun album del gruppo, di ispirazione decisamente post-punk. L’album pare voler allontanare l’immaginario dell’ascoltatore dal vuoto interstellare dello zero assoluto per portarlo ad osservare una ieratica bellezza naturale terrestre, ormai irrimediabilmente perduta, con i pochi essere umani superstiti nella più nera solitudine. Il quattro corde di Niels Kinsella è sempre ben udibile ed ispirato, contribuendo, grazie alle sue basse frequenze, ad effigiare continuamente istantanee di un desolante e crepuscolare splendore nei vitrei occhi dell’ascoltatore. L’aggiunta di una terza chitarra risalta, inoltre, come ulteriore motivo a fondamento dell’evoluzione sonora della band, la quale non costruisce più brani basati unicamente su intro lenti ed atmosferici i quali vanno poi a sfociare in climax ascendenti catartici dai ritmi incalzanti e dalle dinamiche strumentali particolarmente accentuate (su tutti, vedasi il secondo full-length All Is Violent, All Is Bright), ma l’intelaiatura ritmica dei brani appare, fin da un primo ascolto, ben più complessa ed articolata.
Indicare una traccia maggiormente di livello sarebbe compito arduo, anche perché, ognuno a suo modo, i dischi dei God Is An Astronaut sono concepiti come veri e propri viaggi che portano l’ascoltatore alla ricerca di dimensioni lontane ed ignote alla ragione. Tutti i brani, dai titoli di pinkfloydiana memoria (Weightless, Spiral Code, Exit Dream…), contribuiscono a liberare l’animo dell’ascoltatore tramite la creazione di atmosfere di rara e surreale intensità, fino a travolgerlo totalmente in una sgargiante spirale di suoni, colori ed immagini. La band della piccola contea di Wiclow potrà anche aver evoluto il proprio stile musicale, ma Origins è la dimostrazione per cui, se una formazione ci sa davvero fare, poco importano etichette od influenze musicali. Il risultato sarà, infatti, sicuramente sopra la media.
Se proprio si volesse fare qualche nome, su tutte spiccano Calistoga, Reverse World e Red Moon Lagoon. Disco di classe.
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8
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Bah. Conosco tutta la discografia, per me sono stati sempre una spanna sopra ai colleghi post rock citati in recensione. All is Violent è un capolavoro del genere. ma questo è un bah. Il loro primo flop. Non una traccia degna di nota.Davvero deludente. |
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7
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Un buon album, si ascolta volentieri. A livello di atmosfera l'ho trovato un pò più easy rispetto a "All Is Violent...", ma secondo me davvero meritevole nel suo genere. Voto 75 |
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6
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Refuso corretto, grazie della segnalazione. |
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5
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Ma non c'é alcun problema, figurati capita! E ancora complimenti! |
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4
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@Delirious Nomad: un sacco di nomi ed un sacco di generi nella recensione uniti ad un tempo sempre piú tiranno mi hanno indotto al refuso...mi scuso, grazie per la segnalazione, correggiamo subito! |
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3
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Mi interessano moltissimo e voglio approfondirli il prima possibile, bella recensione tra l'altro, bella analisi del genere (solo... Mathcore? Proprio non credo,vorrai certamente dire math rock , il mathcore é decisamente più violento: The Dillinger Escape Plan, Botch... Non hanno nulla a che fare con gli Slint, oltre a essere parecchio successivi ) |
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2
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Li conosco di nome ma non ho mai ascoltato niente di questi qua. Vedo nominare gli Explosions in the Sky, della quale ho un album ("the earth is not a cold place") che mi piacque molto. Casomai mi trovo qualcosa anche di questi. |
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1
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Altri dischi de god sono anche più intensi. Questo è comunque di classe. Giusto Lorenzo. Jimi TG |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. The Last March 2. Calistoga 3. Reverse World 4. Transmissions 5. Weightless 6. Exit Dream 7. Signal Rays 8. Autumn Song 9. Spiral Code 10. Strange Steps 11. Red Moon Lagoon 12. Light Years From Home
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Line Up
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Torsten Kinsella (Voce, chitarre) Gazz Carr (Chitarre) Jamie Dean (Chitarre, tastiere, sintetizzatori) Niels Kinsella (Basso) Lloyd Hanney (Batteria)
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