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Lethian Dreams - Red Silence Lodge
( 3145 letture )
Se è vero che le generalizzazioni troppo spinte rischiano di essere poco più di una caricatura della realtà, è altrettanto vero che spesso sono il riflesso di elementi reali, di una trama, di una linea di tendenza. Non stupisce, allora, che, nell’immaginario collettivo, parte della musica francese finisca per essere associata all’idea di eleganza e sobrietà, magari partendo dalla poesia lirica dei trovatori occitani per approdare alla tradizione degli chansonnier. Neanche il metal d’oltralpe (inteso nella sua accezione più ampia, comprese contaminazioni e derivazioni delle più varie fogge e forme) sembra sfuggire a questa regola e, scorrendo gli archivi, nomi come Alcest e Les Discrets confermano immediatamente la tesi.
A completare un’ipotetica triade della raffinatezza provvede il marchio Lethian Dreams, in pista da oltre un decennio e giunto ora, con questo Red Silence Lodge, al terzo full length sotto la guida sapiente dei due membri fondatori Carline Van Roos e Matthieu Sachs, che, al di là dell’alternarsi di compagni di viaggio nei vari album, hanno saputo confermare ad ogni uscita il livello qualitativo già ragguardevole del debut Bleak Silver Streams. A differenza della “scelta artistica” originaria, però, i Lethian Dreams hanno abbandonato quasi subito il contrasto cromatico scream maschile/voce angelica femminile e già dal successivo Season of Raven Words hanno puntato tutto sul cantato della Van Roos, collocando la band in quell’universo doom al femminile magari scarsamente popolato ma in grado di offrire gemme di rara purezza.
In realtà i Nostri si sono spinti oltre, quasi alla spasmodica ricerca di una terza via oltre le due classiche declinazioni del doom, quella anglo-scandinava dai colori accesi e quella esoterica d’oltreatlantico (Jex Thoth, Subrosa, Blood Ceremony) venata di psichedelia. Il risultato è un impasto dalle tinte pastello in cui la malinconia prende il sopravvento sulle tinte forti e l’atmosfera sul gusto delle costruzioni architettonicamente ardite. Doom di grande eleganza e sobrietà, appunto, ma contaminato da riflessi black (impossibile non pensare a diversi passaggi dei Gris, ovviamente al netto del cantato abrasivo di casa in Quebec) e da incursioni shoegaze che non arrivano però mai a demolire la forma canzone, limitandosi ad arricchire gli effetti del caleidoscopio. Volendo restare qui assolutamente estranei a un giudizio di merito sugli esiti delle due scelte, potremmo dire che i Lethian Dreams hanno corso lo stesso rischio artistico degli ultimi Alcest nel contatto con l’universo shoegaze/post rock, ma lo hanno risolto in maniera sostanzialmente diversa, rinunciando a qualsiasi “liofilizzazione” a vantaggio di un impianto che rimane solidamente metal. Una trattazione a parte meriterebbe la voce di Carline van Roos, classico esempio di “amore al primo ascolto o mai più”, col suo giocare con le note in punta di fioretto, tra delicatezza struggente, approdi neri di desolazione e dosi massicce di spettralità. È una voce nata per disegnare arabeschi e non per innalzare monoliti granitici, solo in apparenza monocorde ma al contrario ricchissima di sfumature se messa alla prova sulle lunghe distanze. Così ognuna delle sette tracce apre prospettive diverse intorno al tema centrale, che potremmo identificare visivamente in una sorta di luce crepuscolare che illumina i passi incerti di esistenze che si trascinano, più che ergersi a protagoniste del tempo che scorre.
Così, dopo l’apertura affidata alle suggestioni post metal della titletrack e, soprattutto, di Shades, arriva la cantilena sinistra di Dust, che rende a meraviglia il senso di quella polvere che copre la stanchezza di vite quotidiane che si aggirano senza una meta. Tocca poi alla plumbea Midwinter appesantire ulteriormente il senso del viaggio, trasportando dal generale al particolare le ansie dell’umana specie, dato che:

No one will save no one
No one can see you
No words will heal you now
No one can save you


Un impianto decisamente più metal, in cui la batteria di Pierre Bourguignon si erge a protagonista assoluta in un magnifico finale dalle ampie volute, caratterizza invece la successiva Leaving Light, probabilmente il brano meglio riuscito dell’album e in grado di sfidare quella White Gold che, di Season of Raven Words, era stata quasi universalmente considerata il vertice qualitativo. Assolutamente degna di nota (dopo una Don’t Hold on Me che, senza degradare in puro filler, lascia un senso di incompiutezza “emozionale”) è anche la chiusura affidata a Black Winds, dove i colori si mescolano e si trasfigurano restituendo a chi ascolta una luce lattiginosa ancora una volta solcata da una batteria in crescendo che fa da controcanto ideale alla leggerezza della voce di Carline. Brano di una dinamicità sorprendente per così dire in tutte le direzioni, sembra quasi vagare senza meta fino ai rintocchi diradati di un pianoforte che congela il movimento in un’immagine eternamente fissata da una domanda senza risposta, perché:

But behind the walls
Is there something left, at all?


Delicato, cesellato fin nei dettagli, arricchito da testi poetici, dotato di un cuore drammaticamente caldissimo al di sotto di una superficie all’apparenza algidamente gelida, Red Silence Lodge si candida come vertice assoluto della carriera dei Lethian Dreams. Ascolto perfetto per autunni e inverni non solo meteorologicamente intesi, il regno della malinconia ha trovato la sua colonna sonora ideale.



VOTO RECENSORE
84
VOTO LETTORI
92.66 su 3 voti [ VOTA]
AdeL
Lunedì 29 Dicembre 2014, 14.57.37
2
Sonorità lievi raccontano offuscate atmosfere. Ritmi lenti e temi solennemente statici permangono a un solo passo dalla noia, anch'essa protagonista nel racconto. I Lethian si aggirano tra i varchi a strapiombo del profondo doom, senza mai valicarli. In questo lavoro piú che mai si celebra l'eleganza ostinata nella forma e nello stile, grande merito alla voce narrante. Cocci di "Lux Incerta" sapientemente levigati tra i flutti ...(un pensiero a Clear Water), restituiscono l'essenza eterea, a tratti sofisticata, di una raffinata scuola francese. Recensione fluida e cristallina, complimenti Red Rainbow! AdeL
Arianrhod
Martedì 23 Dicembre 2014, 11.19.15
1
Disco scoperto con questa recensione! Bellissimo! Mi ha catturato sin dalle prime note... la voce di lei è perfetta! Approfondirò gli album precedenti!
INFORMAZIONI
2014
Orcynia Records
Doom
Tracklist
1. Red Silence Lodge
2. Shades
3. Dust
4. Midwinter
5. Leaving Light
6. Don’t Hold On to Me
7. Black Winds
Line Up
Carline van Roos (Voce, Chitarre, Tastiere, Basso)
Matthieu Sachs (Chitarre)
Pierre Bourguignon (Batteria)
 
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