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26/04/24
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DEATHCRUSHER TOUR 2015 - Carcass + Obituary + Napalm Death + Voivod, Estragon, Bologna (BO), 17/11/2015
22/11/2015 (2673 letture)
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Nel clima ormai veramente tardo autunnale di questo 17 novembre, all'Estragon di Bologna si prospetta un martedì sera fuori dal comune, con un tour colossale che unisce i pionieri del death grind e melodeath inglesi, i Carcass, quelli del death statunitense, gli Obituary, quelli del grindcore, i Napalm Death, e infine quelli del prog-thrash, i Voivod. Insomma, un bel quadro di storia della musica estrema in una sola tirata e anche a prezzi relativamente accessibili. L'affluenza prevista era incredibile, quella reale un po' meno, ma comunque considerevolissima, dato il giorno e gli orari, tanto da aver messo un po' in difficoltà logistica il locale. Vediamo com'è andata.
Uno degli aspetti non musicali che più ha fatto discutere, durante la serata o a posteriori sulla pagina dell'evento, è stata la decisione di anticipare gli orari di esibizione rispetto a quanto stabilito di circa una ventina di minuti, mantenuti piuttosto rigorosamente fino alla fine della serata, ma che hanno causato qualche disagio, come auspicabile, soprattutto per chi così si è perso gran parte dell'esibizione dei Voivod (sebbene sembri che l'anticipo sia stato pensato proprio per allungare l'esibizione dei canadesi). Una sorpresa non proprio apprezzata, anche se lungimirante se rapportata al tempo ristretto delle esibizioni e alla collocazione in settimana della data (finita prima della mezzanotte, di fatto): se fosse stata comunicata per tempo, sarebbe stato più comodo per tutti, anche se forse fatale per chi usciva da lavoro a tarda ora.
HEROD Tornando a parlare di musica, neanche gli Herod sono una sorpresa granché gradita e quantomeno fuori contesto. Questo quartetto svizzero propone infatti una sorta di metal moderno, contaminato da un post-hardcore lento e molto cadenzato, con riff e drum-pattern ripetitivi e ipnotici, uniti ad una voce abrasiva ma poco evocativa. I pezzi non sembrano differenziarsi molto tra loro e, nonostante il gruppo si scateni al limite della propria mobilità articolare, l'energia non sembra fluire al pubblico, disperso nel locale o sotto il palco in attesa dei gruppi successivi che avrebbero iniziato di lì a poco. Un connubio di stili indubbiamente pesante, ma non in un senso particolarmente apprezzabile, soprattutto per un pubblico di questo tipo, e in generale senza un talento compositivo riconoscibile. Inutile chiedersi perché fossero lì, spero per loro che abbiano fatto un buon investimento…
VOIVOD Attaccano con una sana ventata di speed metal like the '86, i canadesi, che propongono la loro classica Ripping Headaches in apertura. D-beat, assoli a profusione e un grande tiro per cominciare al meglio l'esibizione, partendo proprio dalle radici della carriera dei Voivod prima di buttarsi a capofitto nelle composizioni più personali e particolari che contraddistinguono la band, come già Tribal Convictions al secondo posto in scaletta. I ritmi tribali del pezzo sono puntualmente scanditi da Away, batterista di incredibile talento nel mescolare tempi metal e punk a sperimentazioni prog e ritmi destrutturati, mentre lo storico vocalist Snake è il vero mattatore della scena, con una presenza attiva, divertente, quasi autoironica tra una smorfia e l'altra, e quella sua voce impossibile da confondere che o si ama o di odia. Il sottoscritto è terribilmente di parte quando si tratta dei Voivod, ma non si può negare che la maestria dei canadesi, nonostante la non immediatezza delle composizioni, emerga indiscussa da ogni riff e ogni groove, con un'energia che raramente si riesce a trovare nella storia del thrash. Un pezzo come Chaosmonger riesce a mescolare il thrash più punkeggiante con riff quasi memori dello space-prog anni '70, e linee vocali uniche, memorabili e appassionanti, senza che si perda mai la forza di fondo delle canzoni dei Voivod, ossia la tensione creativa della chitarra, resa eccellentemente da un Dan Mongrain che da qualche anno ha l'onore e grande onere di sostituire il geniale e compianto Piggy. Dall'altra parte del palco, Rocky viene calorosamente presentato come nuovo bassista della formazione, in sostituzione dello storico ma negli ultimi anni incostante Blacky, che ha lasciato di nuovo l'anno scorso. Come biglietto da visita, ci regala l'intro di basso che apre la veloce Overreaction, uno dei pezzi più nervosi, cupi e claustrofobici dei Voivod, lanciata in piena velocità verso le orecchie di un pubblico gremito di fedeli appassionati del moniker canadese. Una vera chicca è stata invece la nuovissima Forever Mountain, uscita circa un mese fa in occasione di uno split su 7'' con i Napalm Death, che ben fa presagire, assieme allo scorso singolo (qui non suonato), We Are Connected. Riff ipnotici e una prestazione vocale empatica, assieme a qualche sezione dall'attitudine rockeggiante e squisite progressioni musicali. Quindi, si ritorna di nuovo alle radici speed metal con l'immancabile Voivod, che raccoglie ampli consensi dal pubblico e scrosci di applausi meritatissimi.
SETLIST VOIVOD Ripping Headaches Tribal Convictions Kluskap O'Kom Chaosmöngers The Prow Overreaction Forever Mountain Voivod
NAPALM DEATH Qualche dubbio invece aleggia sull'imminente esibizione dei Napalm Death, dovuta all'assenza di Barney Greenway, storico e carismatico frontman della band inglese, il cui assentarsi momentaneo dal tour, per motivi personali in Inghilterra, è stato annunciato il giorno prima del concerto, e di Mitch Harris, il chitarrista della formazione più longeva (che dura, invariata, dal 1991), anch'egli assente come anche nel tour di quest'estate. Insomma, un'assenza annunciata a ridosso della data, anche se la pronta sostituzione farebbe pensare che l'impegno di Barney non fosse stato esattamente "imprevisto", e un'altra, quella di Mitch, passata in sordina, forse per non causare intoppi nell'affluenza di pubblico. A tutti gli effetti, fin dalle prime battute, non si ha proprio la sensazione di avere a che fare con i veri Napalm Death, che ho visto già in diverse altre occasioni, ma i sostituti, rispettivamente il vocalist dei Corrupt Moral Altar, Reese, e il chitarrista dei Venomous Concept, John Cooke, ce la mettono tutta per sopperire alla mancanza dei loro più illustri colleghi. Come se servisse specificarlo, l'accoppiata batteria/basso Herrera e Embury si riconferma come la più detonante (e meno esteticamente presentabile) del pianeta. La scaletta pesca da diversi album, soffermandosi poco più sul nuovo Apex Predator/Easy Meat, ma anche sui soliti cavalli da battaglia dal vivo della band, come la violenta Scum, title-track del seminale debutto grindcore dei Napalm Death, o la tripletta quasi noise-core The Kill, Life? e You Suffer. Nel frattempo la formazione, sembra essersi riscaldata, soprattutto il cantante che ora si muove più tranquillo sul palco, sebbene non manchi di fare qualche errore, anche se di fatto pochi effettivamente comprensibili, leniti comunque da molta umiltà e anche un po' di autoironia, come in You Suffer, sulla quale parte in ritardo, iniziando a cantare a canzone già finita (anche se non si fatica a crederlo, data la durata di poco più di un secondo…). Rispetto all'inizio un po' in sordina, la parte centrale e finale dello show dei Napalm Death vale l'attesa e ripaga anche con qualche momento tra i più intensi della serata, con l'acclamatissima Suffer The Children per esempio. In chiusura, infine, la caotica Adversarial/Copulating Snakes dall'ultimo album, anche se si capisce dal congedo finale che l'atmosfera è rimasta comunque più fredda di quella che solitamente si vede a un concerto del quartetto di Birmingham. Non mi fraintendiate, lo spazio sotto al palco dei Napalm Death non è stato certo comodo nemmeno questa volta!
SETLIST NAPALM DEATH Apex Predator – Easy Meat Silence Is Deafening When All Is Said and Done Smash a Single Digit Metaphorically Screw You Scum The Kill Life? You Suffer Cesspits Social Sterility Deceiver How the Years Condemn Suffer the Children Adversarial/Copulating Snakes
OBITUARY Parlando invece di certezze immutabili, l'esibizione degli Obituary è puntualmente la più intensa e vissuta della serata, grazie all'attitudine immutata dei musicisti, l'immediata presa dei pezzi e la forza esecutiva che vi viene fatta convergere. Il quartetto della Florida è ancora in forma smagliante, con un Donald Tardy che temiamo possa bucare le pelli da un momento all'altro, e con i suoni meglio settati dell'intera serata a garantire un muro sonoro sorprendente. Un'apertura di riscaldamento, come da tradizione, con Redneck Stomp, giusto per rodare il palco per una manciata di minuti, lasciare che il pit si affolli e che l'atmosfera si scaldi, per poi partire con l'accoppiata Centuries of Lies/Visions in my Head, tratte dall'ultima fatica discografica Inked in Blood, rispetto alla quale il tiro dal vivo è infinitamente maggiore. D-beat, chitarre dai suoni a dir poco rigonfi, il groove inimitabile di casa Obituary e un John Tardy che non sembra aver perso un'unghia delle proprie abilità vocali: una delle voci più abrasive e singolari della scena death metal si presenta ancora immutata e carica di energia. La scaletta riserva quindi solo classici fino alla fine dello show, con l'accoppiata Intoxicated/Bloodsoaked a caricare il pubblico come una molla e farla scattare con violenza inaudita, soprattutto considerando l'importante mole di partecipanti che ormai affolla l'Estragon di Bologna. La sezione ritmica pesantissima, guidata dal mastodontico Terry Butler al basso, scandisce l'incedere, ora veloce, ora cadenzato, dei classici del gruppo, tra i quali non manca all'appello anche Dying, in cui la supremazia degli Obituary dà prova di sé anche sui tempi più lenti, scongiurando qualsiasi dubbio si potesse avere sulla forza e la foga di questa formazione. Se da una parte Tardy si dimostra, come sempre, un frontman misurato nelle parole e nella gestualità con il pubblico, con cui scambia pochissime battute, Trevor Peres, come suo solito, è molto a suo agio sui palchi italiani, e in un paio di occasioni prende anche parola al microfono per dare prova della sua familiarità con la lingua, con anche un paio di bestemmie di rito. Risulta ben assimilato nella formazione anche il ruolo del più recente acquisto Kenny Andrews, solista della band da ormai 3 anni esatti, all'altezza dei suoi illustri predecessori (quali West e Santolla) e pienamente amalgamato con il gruppo sia per attitudine sul palco che per concreta capacità esecutiva. L'headbanging costante sul palco e la decisione mostrata nel calcarlo sono un'altra testimonianza di come gli Obituary, nell'intero lotto di questo martedì sera, siano rimasti più strettamente legati alla loro tradizione sonora, pur tra gli alti e bassi della loro carriera: un pubblico di fedeli appassionati apprezza e si mostra il più caloroso e partecipativo della serata, in buona parte per l'eccellente prestazione degli statunitensi, in parte per l'efficacia e l'immediatezza che la proposta degli Obituary ha in sede live –riff nudi e crudi come da tradizione ottantiana, groove di batteria definiti e sudore a palate per condire ogni pezzo e suonarlo col cuore. Sentimentalismi a parte, tra un classico e l'altro giungiamo alla rituale chiusura, affidata come sempre a Slowly We Rot, durante la quale le ossa degli astanti sono sottoposte a sforzo non indifferente, lasciando, va detto, un bel sorriso sul volto di Peres e soci.
SETLIST OBITUARY Redneck Stomp Centuries of Lies Visions in My Head Intoxicated Bloodsoaked Dying Find the Arise 'Til Death Don't Care Slowly We Rot
CARCASS Ben altra attitudine è quella mostrata dai Carcass, più misurati e heavy oriented sul palco, a cominciare da un Bill Steer quasi hard rock nell'outfit, che sembra quasi non essere mai stato toccato dal tempo, e di contro un più sciupato Jeff Walker, ancora in piena forma vocale, perlomeno. Come anticipavo, l'impressione dei Carcass non è la stessa da band death metal navigata come quella dei colleghi della Florida, dato che un po' di quell'attitudine è sacrificata in favore di una presenza più contenuta e un musicianship più attento: va infatti detto che gli inglesi si sono mostrati fin da subito i migliori sul palco, con un'accoppiata chitarristica eccezionale e il drumming puntuale dell'ottimo Daniel Wilding a rendere con dovuta perizia gli estratti di Surgical Steel, molto melodico ma anche tecnicamente provante, che idealmente ricongiunge il ritorno dei nostri con il periodo immediatamente successivo a Necroticism, lasciando da parte lo stile rockeggiante dei Carcass di metà anni '90, una tendenza che riecheggia comunque in quell'attitudine da palco un po' edulcorata di cui parlavo prima, e in qualche circoscritta scelta del set (come la sola Keep on Rotting in the Free World). Assieme ai ben numerosi estratti dal full del 2013, viene proposto anche un numero accettabile di classici da Heartwork o Necroticism, che ci regalano momenti melodici e solistici entusiasmanti, ma anche di intensità musicale non trascurabile –basti vedere la reazione del pubblico ad una Incarnated Solvent Abuse. Inoltre, si aggiunge anche un condimento a sorpresa di snippet, quali riff di intro od outro di altre canzoni del gruppo, collegate all'incipit o alla chiusura di altri pezzi, come le note di Genital Grinder alla fine dell'incalzante Captive Bolt Pistol. Devo comunque ammettere, un po' per gusto personale, un po' per evidente riuscita di quel momento musicale, che l'accoppiata migliore del concerto sia stata quella tratta da Symphonies of Sickeness, ossia Exhume to Consume e Reek of Putrefaction, in quest'ordine. Abbiamo infatti visto Walker e Steer divertirsi sinceramente, scambiarsi il ruolo al microfono, con un lavoro grandioso di doppie voci, come da tradizione dei primi Carcass, senza contare alcuni tra i momenti chitarristici e batteristici più riusciti del set –inutile negare che il rammarico di non aver sentito altro di quel materiale, piuttosto che dalla parte più melodica della loro carriera, ci sia stato, ma ci si riesce ad accontentare data l'innegabile qualità del concerto. Abbiamo anche notato un Walker come al solito brillante sia come frontman che come cantante, decisamente meno come bassista, nei panni del quale è amatoriale per usare un eufemismo, ma dato l'incastro del suo ruolo, è stato sufficiente anche sotto quell'aspetto. Il pubblico, ormai accaldatissimo e provato da un quartetto di band non indifferenti, fatica un po' di più a rispondere prontamente, ma ha anche modo di godere dell'esibizione più musicale e variegata rispetto a quella unidirezionalmente violenta degli Obituary. A scongiuro di collassi, però, Jeff e compagni ci lanciano un paio di dozzine di bottiglie d'acqua durante tutto lo show. Un altro highlight prima dell'inevitabile conclusione è rappresentato dalla groovy Corporal Jisgore Quandary, con anche qualche giro del riff finale di Forensic Clinicism, dallo stesso album, in conclusione. Puntualmente, circa un quarto d'ora prima della mezzanotte e piuttosto consistentemente con quanto guadagnato con la famigerata anticipazione dei Voivod, il finale è affidato alla celeberrima title track di Heartwork, salutata dagli applausi di un Estragon felicemente gremito.
SETLIST CARCASS Intro: 1985 Unfit for Human Consumption Buried Dreams Incarnated Solvent Abuse Cadaver Pouch Conveyor System This Mortal Coil The Granulating Dark Satanic Mills Captive Bolt Pistol / Genital Grinder Exhume to Consume Reek of Putrefaction Keep On Rotting in the Free World (con l'intro di Black Star) Corporal Jigsore Quandary (con il finale di Forensic Clinicism) Mount of Execution Heartwork (con degli snippet finali da Carneous Cacoffiny)
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5
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Ho avuto la fortuna di assistere a tutto il concerto,certo la decisione di anticiparlo non ha permesso a tutti di gustarsi lo show dall'inizio. Grande performance dei Voivod anche se a mio paprere doveveno suonare un po di piu. Noiosi i Napalm Death non sono riuscito a digerirli,i vecchi tempi sono passati purtroppo. Gli Obituary una macchina da guerra precisi,violenti non perdono un colpo dal vivo. Carcass,quando si dice che il tempo un pò ti cambia ma come sempre show ineccepibile. Premesso che ho iniziato a seguire live tutte le bands sul finire degli anni '80 ( Voivod e ND ) primi 90. |
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4
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Serata davvero epocale. Sciupata in parte dalla criminale anticipazione arbitraria e senza il benché minimo preavviso del set dei Voivod di cui ho visto solo gli ultimi 10 minuti (pur avendo spaccato il minuto in puntualità di arrivo), questa perdita la rimpiangerò fin che campo. Carcass semplicemente inarrivabili. |
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3
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Non sono potuto andare per un problema di salute. Ma rimpiangero' per anni l'assenza. |
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2
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Grande concerto però ho notato che nella Setlist dei Napalm Death manca On the Brink of the Extinction che hanno suonato anche quella |
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1
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Concerto death dell'anno. Peccato che l'assenza di Barney si è fatta sentire. |
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