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19/04/24
MARLENE KUNTZ
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WATAIN + ROTTING CHRIST + PROFANATICA - Live Club, Trezzo sull'Adda (MI), 11/11/18
18/11/2018 (1405 letture)
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Gli attesissimi Watain, dopo la recente pubblicazione del loro ultimo full-length Trident Wolf Eclipse, si sono imbarcati in un tour di proporzioni a dir poco importanti, con una supporter di livello come i Rotting Christ e con i Profanatica a rappresentare una vera chicca per i cultori. Unica la tappa italiana al Live Club di Trezzo, della quale segue un resoconto.
PROFANATICA Nome di culto del panorama black metal statunitense, ma quello più underground, quasi tenuto segreto, i Profanatica vivono da alcuni anni una seconda primavera, trasformatisi da band dalle poche e rare release a un progetto continuativo e produttivo, attualmente coinvolto in una attività live piuttosto intensa. Saranno gli anni giusti, sarà la riscoperta di certe sonorità più primitive, ma anche la tenacia di Paul Ledney, leader, batterista e cantante, che ha sempre mantenuto una fedeltà quasi integralista all’essenza minimale e provocatoria della propria musica, di fatto mai evolutasi (piuttosto il contrario) dall’indomani della sua uscita dagli Incantation, che non gli parevano abbastanza estremi od offensivi, solo un anno dopo la fondazione del gruppo assieme a John McEntee, con cui già suonava nei Revenant. Parlando da estimatore del gruppo e del suo modo di essere (o non essere?) musicale, a caratterizzare i Profanatica sono i riff monocordi, al limite dell’elementarità, un drumming che ricorda la spontaneità (così come anche la limitatezza tecnica) dei primi vagiti del black metal di fine anni ’80 e inizio ’90, testi ed iconografia indubbiamente sopra le righe, e anche un sound oscuro, lo-fi sicuramente, che arricchisce di atmosfera e fascino una proposta musicale che si basa su poco, pur riuscendo ad avere quell’unicità che apparteneva alle prime release di questo filone.
Questa introduzione vale sia per chi fosse nuovo ai Profanatica, sia perché sia più facile contestualizzare l’apparizione di una band del genere accanto a due nomi di primo livello in termini di professionalità e di successo nel black metal. Il 2018 ha visto la prima apparizione italiana del gruppo statunitense al Titty Twister di Parma, in una situazione decisamente più underground (per quanto non mancherei di definire gremita), caotica, fatta di un contatto diretto tra la band e il pubblico regredito all’istintività primordiale: fu veramente notevole. Probabilmente nessuno avrebbe mai scommesso, in passato, che questa band sarebbe arrivata nel nostro paese, tantomeno due volte nello stesso anno. Ma questa volta, la situazione è ben diversa: la cornice del Live Club risulta decisamente più impressionante, e la band è esposta anche al pubblico ben più ampio di band che hanno anche avuto un riscontro commerciale (a differenza del pubblico di irriducibili che c’era a Parma). Inevitabilmente l’accoglienza è più fredda, con i comunque non pochi supporter diluiti tra molti astanti piuttosto indifferenti.
Naturalmente è stata l’occasione per godersi un concerto più calmo e con ottimi suoni, la band è sembrata convincente anche su un palco che faticava a riempire, e l’attitudine era comunque immutata, cosa decisamente da apprezzare. La scelta della scaletta, come nella scorsa occasione, ha selezionato giusto una manciata di pezzi della nuova era della band, premiando invece il materiale classico della band, quello delle demo dei primi anni ’90 e del full degli Havohej (continuazione dei Profanatica) e delle sessioni di Sickened By The Holy Host. Tra questi ricorderei certo I Arose, Spilling Holy Blood, Weeping In Heaven, Heavenly Father… Ma non dispongo della setlist completa, purtroppo.
ROTTING CHRIST I Rotting Christ sono al contrario un gruppo che pur avendo un peso storico innegabile, una forte identità, immediatamente riconoscibile, ha avuto modo di riscoprirsi in un nuovo modo di fare black metal, in un’evoluzione che ha segnato in pochi anni il raggiungimento di traguardi importanti per il gruppo, attualmente tra i più affermati sul panorama estremo mondiale. Le ultimissime uscite discografiche hanno cominciato, prima progressivamente e poi innegabilmente, a impiegare melodie più chiare e cangianti, molte più aperture in un ritmo generalmente cadenzato, un’atmosfera ritualistica (accentuata dalla scelta del greco e una voce quasi parlata, o meglio recitata), e un effetto complessivo quasi sinfonico. Il tutto viene accompagnato, dal vivo , da una coreografia evidentemente studiata, ed effetti di luce molto particolari. Che nel frattempo i fan di vecchia data non abbiano digerito il cambiamento di coordinate stilistiche è un dato di fatto, e si vedono tra il pubblico fazioni contrariate, ma sul bilancio complessivo vediamo un gruppo passare dal suonare degli “old school set” (l’anatema di ogni vecchia gloria) in club di dimensioni modeste, all’essere tra i nomi di punta di alcuni dei palchi europei più noti nel giro di pochissimi anni.
Sebbene non sia tra gli estimatori di questo nuovo tipo di proposta, che peraltro assorbe la totalità della setlist eccezion fatta per due o tre brevi classici comunque pesantemente ri-arrangiati, ammetto di non faticare a capire l’appeal che questa nuova evoluzione dei Rotting Christ possa avere, anche solo in termini di successo commerciale. I pezzi sono trascinanti, ossessivi e piuttosto ipnotici, e hanno tutti gli espedienti musicali che una band ormai arrivata legittimamente allo stato di mainstream (perlomeno relativamente all’estremo) deve sfruttare per scrivere canzoni che abbiano presa immediata, specialmente quelli dall’ultimo disco Rituals. Elthe Kyrie, che ormai suonano sempre, è un chiaro manifesto di queste nuove intenzioni musicali: un brano fatto di pochissime idee riuscite, e che gioca sulla voce femminile che ossessivamente recita un mantra in lingua greca (o qualcosa di simile) prima sfociare in un ritornello di immediata presa mnemonica. Ammetto che se non si trattasse di una band i cui classici conoscessi a memoria, farei decisamente meno fatica ad accettare ed apprezzare un set del genere, in cui quasi una Forest of N’Gai, o una The Sign of Evil Existence, risultano decisamente i pezzi meno rifiniti.
In conclusione, si tratta di un tipo di show radicalmente diverso da quello che proponevano fino a prima del 2013, circa. Sono anche un’ottima band da vedere in azione, convincente, sicura sul palco, con carisma e energia da vendere, che accoppiata a dei suoni adeguati ha un impatto sicuro ed impressionante, ragion per cui ne è valsa la pena cercare di giudicare la cosa, con più oggettività, dall’esterno, piuttosto che da fan dei loro album classici.
SETLIST ROTTING CHRIST 666 Fire God Death Elthe Kyrie Apage Satana The Sign of Evil Existence The Forest of N'Gai Societas Satanas (Cover Thou Art Lord) In Yumen-Xibalba Grandis Spiritus Diavolos
WATAIN I Watain dispongono come al solito di un’attrezzatura scenica impressionante, con un muro di casse (finte) a circondare la batteria tra forconi, catene, croci rovesciate, torce e il loro logo sagomato in metallo, largo quanto la batteria, a campeggiare sul loro telone da palco. Peccato solo che non abbiano (presumo) potuto accendere le torce, le fiamme e i bracieri che ho visto loro utilizzare in show all’aperto, con la conseguenza dopotutto non così sgradevole di un’atmosfera più tetra, buia, fatta di fioche luci rosse e fumo denso, a nascondere quasi le movenze della band se non proprio quelle di Erik, un frontman decisamente convincente. Questo perché da una band come Watain, a parte l’eccellenza musicale, ci si aspetta un concerto che sappia intrattenere, e che abbia quel carattere scenografico che lo renda unico.
Ammetto che non hanno goduto del miglior mixaggio live, ma credo che parte dell’effetto "blurry" fosse ricercato, dato che già da palco i suoni delle chitarre mi sono sembrati molto wet (in termini di effetti d’ambiente e riverberi), per non parlare ovviamente della voce, e considerato anche che molte band black metal sono solite usare anche un po’ di riverbero sui timpani (à la Mayhem, per intenderci) che aiutano a creare questo effetto un po’ cavernoso e claustrofobico, complessivamente riuscito senza troppo ledere al tiro o alla riconoscibilità complessiva dei pezzi, anche se sono stato più soddisfatto, da questo punto di vista, nella scorsa occasione in cui li avevo visti. Anche in termini di setlist, la scaletta di questo tour sembrava voler ricalcare la forte presa di posizione stilistica marcata dall’ultimo album Trident Wolf Eclipse, un album breve, molto veloce e parecchio diretto, soprattutto in contrapposizione al lunghissimo The Wild Hunt, che vedeva gli svedesi muoversi sul territorio, inevitabilmente più insidioso, dei pezzi più articolati, progressivi, in un certo senso anche sperimentali, in molti dei casi anche più lenti ed atmosferici. Se infatti la scorsa volta, in uno show a support dell’ormai penultimo disco, sembravano aver preferito una selezione di pezzi più lunghi, senza sdegnare anche quelli più lenti (nonché i momenti con voce pulita, che sembravano essere la nuova frontiera dei Watain), quest’ultimo set ha avuto ben pochi momenti di respiro, partendo a tuono con una Storm of the Antichrist che ha immediatamente gettato la parterre del Live in un degenero abbondantemente annebbiato dai fumi scenici.
Per quanto non arrivino al genio di Lawless Darkness, i nuovi estratti proposti, tra cui il singolo Nuclear Alchemy, sono feroci, funzionali e convincenti. Una selezione piuttosto democratica estrae un pezzo o due al massimo da ciascuno dei lavori del gruppo, con classici quasi immancabili come Malfeitor e The Serpent’s Chalice, per citare i più riconosciuti, ed altri meno scontati, tra cui l’ottima The Golden Horns of Darash, veramente letale in sede live, oppure The Child Must Die, uno dei pezzi migliori di The Wild Hunt e proposto dal vivo per la prima volta proprio in questo tour. A livello esecutivo, ormai la band si assesta su un livello professionale invidiabile, e la prestazione è praticamente ineccepibile, a partire dalla sezione ritmica, cuore dell’esibizione, fino ai lead di chitarra che a mio parere rendono così interessante la proposta dei Watain.
SETLIST WATAIN Storm of the Antichrist Nuclear Alchemy The Child Must Die Agony Fires Furor Diabolicus Sacred Damnation The Golden Horns of Darash Malfeitor Towards the Sanctuary The Serpent's Chalice
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5
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Presente! Bei concerti dei tre gruppi ma ho preferito decisamente i Watain. |
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4
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Senza conoscere le scalette sarei andato più per i RC che per i Watain, con il senno di poi e scalette qui descritte preferisco di gran lunga la scelta dei Watain. I RC dell'ultimo corso non riesco a farmeli piacere. |
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2
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Ieri, oggi e domani i Watain possono solo portargli gli strumenti ai Rotting Christ. Il biz và così, ma la storia è un altra. |
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1
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Recensione davvero ottima, complimenti. Ecco le mie note al concerto.
Profanatica: perfetti. Hanno svolto in modo compiuto il loro lavoro e si rivelano tra i migliori esponenti di un black metal grezzo e primordiale.
Rotting Christ: grande concerto, molto coinvolgente, ma talvolta al limite del ridicolo. L'ultima volta che li vidi erano gli anni novanta, quindi non sono la persona adatta per giudicare la loro prova in modo equilibrato. La nuova formula non mi dispiace su disco, ma vedere un gruppo una volta tanto malvagio simulare pose da gladiatori e culturisti non mi aggrada molto...
Watain: sempre grandi, anche se con qualche difetto. Manca la scenografia, ricercata e magica, di Romagnano (2014). Manca il fuoco (che, senza esagerare, avrebbe arricchito l'atmosfera). Manca la ritualità (che ci si aspettava da un concerto tenuto in una notte sacra per la teologia del gruppo). E. forse un po' nervoso e infastidito da qualche demente tra il pubblico. Comunque: concerto malvagio, diretto, efficace. L'anima ne esce rinfrancata!
Grazie. |
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