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Minsk - With Echoes In The Movement Of Stone
( 3849 letture )
Il doom è di per se un sottogenere molto difficile, quando poi si fa progressivo o semplicemente “alternativo” mischiando influenze esogene provenienti da ogni dove diviene un vero e proprio “mattone”.
Tutti coloro che hanno provato ad infilare nel genere più semplice ed emotivo del metal qualche inutile orpello stilistico, fatto di pretese technical o più semplicemente di derive eclettiche, hanno ben presto abbandonato la strada oppure, come nel caso di Paradise Lost e Amorphis (tanto per citare casi celeberrimi) l’hanno definitivamente variata. C’è però una nicchia particolarissima, fatta di sludge/stoner fans piuttosto versatili, che ama crogiolarsi in un mix sonoro che riconduce alla psichedelia anni ’70. Tra i prodotti potenzialmente apprezzabili da questi pochi ed introvabili metallari ci sono proprio i Minsk.

Forti di un contratto con la Relapse Record che mostra tra le sue fila anche prodotti accostabili quali Unearthly Trance e Birds Of Prey, i nostri sciorinano il terzo album dopo soli due anni di assenza dalle scene. Il successore di The Ritual Fires of Abandonment è infatti un perfetto ensemble della bandiera che questi americani dell’Illinois hanno sempre sventolato: uno sludge doom dai fortissimi connotati allucinogeni. Brani come Means To An End sfociano addirittura nel goth alla Fields Of The Nephilim grazie ad espedienti quali le percussioni, sempre sperimentali e anticonvenzionali, ed il possente utilizzo delle keyboards, per una volta vere prime attrici sul palco; inutile dire che all’orecchio giungerà lo stoner tradizionale quando le 6 corde imbroccano la strada dell’incisività metallica; e cosa dire dei richiami ai primissimi Cathedral in Almitra's Premonition… certo, l’atmosfera è più terrena e meno fiabesca, ma i loop – ricorsivi ed ipnotici – sono evocativi di quell’insana ispirazione: pure la “decostruzione” ritmica – a volte davvero esasperata – richiama scenografie (per l’appunto) eteree e spirituali. I più attenti scoveranno pure un approccio folkeggiante nell’overture Three Moons ed uno orientaleggiante nella parte centrale della seconda The Shore of Trascendence, poi conclusa curiosamente con accenni di Hammond annegati sul monolitico riffing.
Che dire… un bel (?) mischione!

Tecnicamente le “maniere” d’uso dei Minsk suonano piuttosto atipiche.
Le chitarre accompagnano il lento (ma non troppo) procedere senza recare particolari benefici (e men che meno danni), facendomi riflettere su come uno dei grandi temi di questo With Echoes In The Movement Of Stone sia proprio l’assenza di un guitar work costantemente tagliente ed incisivo, come invece ci si aspetterebbe da un prodotto targato doom metal; le intromissioni decise ci sono (ne è un fulgido esempio Almitra's Premonition, “chiusa” e funerea com’è), però non sono stabili o regolari provocando un forte disallineamento all’interno dei brani della lunghissima (in timing) tracklist, aggressivi e subito dopo magnetici in una turbinosa ed insistente rincorsa stilistica. Nemmeno le comparsate “melodiche” decidono la partita: qualche ricamino in single notes (Three Moons, Requiem: From Substance To Silence) e qualche solo (Consumed By Horizons) non bastano a convincermi del tutto. La distorsione applicata alla 6 corde trae spunto dalle sperimentazioni di nonno Iommi, rese moderne da un grattare non saturo e dai connotati simil-drone, il che non facilita l’ascolto e nemmeno lo definisce in un cluster ben chiaro.
Il basso di Parker è forse lo strumento più “consueto”: ancorato alla sua distorsione un po’ punkeggiante e confinato in giri piuttosto semplici fa da supporto a Cuori, il quale scatena la sua lucida follia sul drumming – vero punto forza dell’album: vario, tecnicissimo, complesso quando la base strumentale si fa rarefatta, più morbido quando l’amalgama volge al rumorismo post-industriale; trovo un solo grande difetto: l’uso eccessivo dei piatti e dei tom-tom lo rende spesso interlocutorio; è come percepire una grande forza che però non si sprigiona… che non si scatena.
Energia potenziale che non si trasforma in energia cinetica: un vero peccato.
Altro tema di grande difficoltà interpretativa è la voce. Mead possiede una timbrica poco invitante e troppo sforzata: in alcuni punti il suo clean urlato (e un po’ effettato) mi ricorda i peggiori thrash chorus degli anni ’80. In realtà questo approccio (da me storicamente non gradito) è un vero e proprio metodo, criticabile, ma sistematico ed appositamente artefatto. Prova ne è l’atteggiamento impostato da darkettone goticheggiante che assume all’avvio di Almitra's Premonition, oppure il mezzo parlato del finale di Crescent Mirror, intervento in cui riesce a cambiare totalmente la restituzione del suo registro. La migliore espressione del vocalism di Mead si ha però nella vorticosa Pisgah in cui la tendenza sludge si fa più espressiva che mai: un avvio quasi industrial declina ben presto in una bolgia infernale in cui le sofferenze più terrificanti sono metaforicamente percepibili dalle sgolate urla di Mead, sovraincise e magistralmente intrecciate tra loro. La linea cantata vera e propria vi scorre sopra con la solita, eccheggiante distorsione e con marziale aggressività. Cruda e terribile: la migliore traccia del lotto.

Tutti questi s(at)tacchi, è ora di focalizzarlo, non sono però semplici corollari di un teorema bello e dimostrato: essi stessi sono il cardine del ragionamento… gli assiomi in senso stretto! Senza queste stupefacenti (nel senso più “narcotico” del termine) divagazioni, eterogenee ma pur sempre riconoscibili e caratterizzanti, il lavoro dei Minsk sarebbe piatto ed incolore, nonché confuso (e confondibile) con quello di decine formazioni deturpate dalla troppa attenzione ai canoni del metal post-sabbathiano. Il piatto servito è invece vario ed invitante seppure di difficilissima comprensione.

Detto ciò qualche difetto lo si può scovare ed anche facilmente. Mi spiego.
Primo: 60 minuti, per ciò che viene proposto, sono davvero troppi, il che fa abbassare – e di molto – la tensione emotiva accumulata nei primi 3-4 brani. Ho provato ad ascoltare il disco tutto d’un fiato, ma a metà ho sempre sentito il bisogno di intramezzare con qualcosa di violento, di molto violento. Mi è capitato almeno 4-5 volte, il che significa essere sintomatico…
Secondo: un po’ di melodia “costruita” ogni tanto avrebbe giovato, anche se capisco non rientri nelle priorità di una band che intravedo essere arrogante, ma attenta all’etichetta. Non sorniona… diciamo furba…
Terzo: il risultato è originale, ma la complessità armonica ottenuta (volutamente ed attraverso una produzione che tratta ogni strumento come prioritario) leva freschezza. Scovare i vari contributi è un’impresa da titani; un’opera da sommelier dello sludge/stoner… francamente lo ritengo inadeguato per la storia stessa del genere, molto più legato alla semplicità che non ad una contraffatta “noblesse oblige”.
Ovviamente di questi tre punti terrò conto nella sintesi numerica.

Terminiamo infine con le sensazioni. With Echoes In The Movement Of Stone è colmo di turbinose spirali che traducono il richiamo della terra in musica. I Minsk non sono una band “cosmica” ovvero “distaccata” dalla realtà. Il trascendente che c’è nelle note delle varie Means To An End e Requiem: From Substance To Silence nasce da una profonda conoscenza della realtà, vero spauracchio dell’uomo. Le sonorità ipnotiche, le melodie annegate nella pienezza armonica, il martellio di quella voce così “stonata” ed anacronistica fanno sprofondare i sensi nella più cupa delle illusioni, invece che elevarli al karma. Questo disco è uno dei prodotti più impenetrabili di questa prima metà del 2009: comprendere l’ombra settantiana e “floidiana” dei Minsk è missione per veri coraggiosi o per moderni seguaci del “mescalinico” Huxley.

Che Le Porte Della Percezione siano immediatamente riaperte…



VOTO RECENSORE
73
VOTO LETTORI
38 su 24 voti [ VOTA]
Amfortas
Giovedì 2 Giugno 2016, 12.53.49
3
Concordo sulla lunghezza un pò eccessiva, anche se secondo me non penalizza così tanto. Ci sono tante cose da poter dire di quest' album, e già questo la dice lunga sul fatto che non è certo qualcosa di convenzionale. Sono rimasto sorpreso dalla produzione, così vecchia, grezza, sporca (volutamente, certo)... certo non è una novità assoluta, ma portata a questi livelli poteva essere un rischio, invece secondo me alla fine è un elemento convincente. L' unica nota negativa, il rullante della batteria, inascoltabile! Sono rimasto sorpreso anche dal duplice suono della chitarra: nelle corde basse, una grattugia; in quelle alte, un suono così atmosferico, psichedelico, quasi "limpido". In parte la stessa cosa si può dire della voce, a me quella voce pulita sforzata che spesso sfocia in uno scream lacerato piace. Dualismi di cui si può discutere tanto, a me nel complesso, ripeto, convincono. Molto interessante l' aspetto "esotico" dell' album. C' è psichedelia, una struttura per certi versi progressiva dei brani, ma personalmente vorrei rimarcare l' aspetto "folkloristico" di brani come The Shores Of Transcendence e Means To An End. Dove la chitarra tratteggia lidi mediorientali in una maniera parzialmente rinnovata rispetto allo standard, e dove la batteria piazza dei tappeti percussivi che veramente rendono l' idea. Davvero valido. 83
Lello
Martedì 16 Giugno 2009, 17.10.56
2
Affiancarli ai Mastodon? Ma va semmai Neurosis e Swans. Album Capolavoro!
.ilsegugio.
Lunedì 15 Giugno 2009, 12.50.32
1
Lavoro poco definibile come genere, produzione del tutto anacronistica e a tratti sorprendente. nel complesso un disco molto interessante. E' probabile che la critica li accosterà a band come i Mastodon con cui, del resto, hanno ben poco a che spartire
INFORMAZIONI
2009
Relapse Records
Sludge
Tracklist
1. Three Moons
2. The Shore Of Transcendence
3. Almitra's Premonition
4. Means To An End
5. Crescent Mirror
6. Pisgah
7. Consumed By Horizons Of Fire
8. Requiem: From Substance To Silence
Line Up
Chris Bennett - Guitar
Tim Mead - Vocals, Conga Drums, Keyboard
Sanford Parker - Bass
Tony Wyioming - Drums
 
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