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PENTAGRAM + THE ATOMIC BITCHWAX + STRAMONIUM - Magnolia Stone III, Circolo Magnolia, Milano, 03/08/2022
20/08/2022 (819 letture)
Evento che rende omaggio ad uno dei generi più apprezzati nelle ultime decadi, questa sera la terza edizione del Magnolia Stone ha registrato la presenza di tre band d’eccezione con, in qualità di cavalieri indiscussi, i Pentagram, formazione storica che insieme a pochi altri beati ha dato origine allo stoner/doom.

STRAMONIUM
Uno dei pregi del Magnolia è il rispetto degli orari di apparizione ed infatti verso le 20 salgono sul palco i nostrani Stramonium. Formazione a quattro (voce/chitarra, chitarra solista, basso e batteria), frontman dall’accattivante look hippie, asta del microfono adornata con un’inquietante collana che pare proveniente da un Sabba, jeans a zampa, maglietta degli Sleep per il bassista e una più classica Motörhead per il batterista, asce Epiphone Flying v e Gibson Sg, basso Fender Precision con paletta “matched”, l’impatto visivo, è il caso di dirlo, è dei migliori! Sul fronte musicale, il combo serve uno stoner serrato di matrice Kyuss/Monster Magnet, efficace e ben suonato; i musicisti hanno difatti una buona padronanza degli strumenti, sono precisi e si esibiscono senza esitazioni. Disinvolti ed affiatati sul palco, forniscono un’ottima prestazione e ben si incastonano in un contesto che vedrà come protagonisti, dei giganti del genere. Alcune curiosità, a metà performance il bassista si toglie la maglietta sfoggiando, lungo tutto il corpo, una serie di tatuaggi di (finalmente) elevata fattura, vere e proprie opere d’arte che è un piacere ammirare. Inoltre, prima di introdurre il brano Red Witch, il chitarrista effettua un breve intro farcito col famigerato Tritono, che riporta direttamente al primo album dei Black Sabbath e fa letteralmente accapponare la pelle!
Freschi di contratto discografico con la Argonauta Records, cortesi e disponibili anche a fine esibizione, vengono promossi a pieni voti, con auspicio di rivederli nuovamente sul palco.

SETLIST STRAMONIUM
1. Isolator
2. Son of The Moon
3. Night Preacher
4. Fire
5. Red Witch
6. Vampire
7. Overlords


THE ATOMIC BITCHWAX
Si prosegue di bene in meglio col trio statunitense degli Atomic Bitchwax. Già dalle prime note la creatura nata per volere del leggendario chitarrista Ed Mundell (già in forza ai Monster Magnet, cosi come il suo attuale sostituto Garrett Sweeny) si conferma come una delle realtà più apprezzate in campo hard-psych-rock/stoner a livello planetario. I tre anche in sede live riescono a ricreare un irresistibile muro sonoro che attinge e trasporta direttamente negli anni ’70. Pochi fronzoli, Sweeny si presenta con una Gibson Les Paul Traditional, Marshall Jcm800 monocanale e wah-wah del quale farà largo abuso durante tutto il set. Il bravissimo bassista Chris Kosnik è invece munito di un Fender relic, che a fine concerto ci rivelerà essere un assemblato con manico del Jazz e corpo Precision. Da evidenziare come egli suoni sia con le dita che col plettro, mettendo in mostra una tecnica e velocità da ergerlo allo Steve Harris dello stoner! Bob Pantella da par suo si avvale di un set scarno ed essenziale in pieno stile seventies, che martella incessantemente con furia e dedizione. Il livello tecnico dei tre musicisti è di assoluto riguardo, sia nella sezione ritmica che in fase solistica, ove le rasoiate di Sweenye colpiscono per disinvoltura, precisione e pulizia d’esecuzione. Quale ulteriore elemento di pregio, sono una band vecchio stile che gira e suona dappertutto col proprio tour bus e non risparmia il contatto coi fans, mostrando cortesia e disponibilità sia a inizio che termine esibizione. La scaletta si apre egregiamente con Hope You Die, opener dell’ultima fatica in studio, Scorpio del 2020, uno dei pochi episodi non prevalentemente strumentali che vede Sweeny e Kosnik alternarsi nelle parti vocali ed un incedere che ricorda molto da vicino Rat Salad dei Black Sabbath. Oltre i richiami ai citati maestri, visti i trascorsi di due terzi della band certe affinità coi Monster Magnet sono quasi una costanza, mentre in altri passaggi l’orecchio riporta ad altri mostri sacri del genere, il tutto senza nulla togliere a una proposta che mostra proprie peculiarità e tratti caratterizzanti, soprattutto nei cambi di tempo. Durante la performance c’è spazio anche per una cover dei Core, band dell’ex chitarrista Finn Ryan, che fu il primo sostituto di Ed Mundell. Premio altresì per il miglior merchandising della serata, in virtù di una maglietta con l’effige di mr. Spock che, nonostante diversi respiri profondi per non cadere in tentazione, non sono riuscito a non fare mia! Una band d’eccellenza che fa salire l’asticella in attesa dell’arrivo degli headliner.

SETLIST THE ATOMIC BITCHWAX
1. Frankenstein (Intro)
2. Hope You Die
3. Ain't Nobody Gonna Hang Me in My Home
4. Forty-Five
5. Giant
6. So Come On
7. Birth to the Earth
8. War Claw
9. Kiss the Sun (cover dei Core)
10. Ninja
11. Coming In Hot
12. Houndstooth
13. Liv a Little
14. Force Field
15. Shit Kicker
16. Frankenstein (Outro)


PENTAGRAM
Tour celebrativo dei cinquant’anni di attività per i diabolici Pentagram, quartetto capeggiato dal leader storico Bobby Liebling, unico sopravvissuto della formazione originaria, che nel tempo ha registrato numerosi cambi di lineup. Lo stesso, prima dell’inizio dello show si aggirava liberamente con fare beffardo all’interno del locale e, nonostante si approssimi alle 70 candeline, non pare abbia perso minimamente in carisma ed attitudine, a conferma del suo ruolo primario nella storia della musica metal. In seno all’attuale compagine ritroviamo al basso Greg Turley, rimasto relativamente stabile dal 1995 in poi, il mancino Matt Goldsborough alla chitarra e l’eclettico "Minnesota" Pete Campbell alla batteria.
Difficile fare paragoni quando si tratta di una band come i Pentagram in quanto, Black Sabbath a parte, sono loro il termine di paragone. Si accedono finalmente i motori e un Liebling col consueto sguardo spiritato muove le prime corde su Run My Course, brano partorito nel ’71 (giusto per dare un’idea dell’impatto di questa band su tutto l’universo del rock pesante), che ci introduce nel loro regno oscuro. Timbro di voce sostanzialmente inalterato, vocalizzi carichi di echo, t-shirt sulla quale campeggia un chiaro ed esplicito “Fuck’em”, movenze e vitalità, come se il tempo si fosse fermato, da far impallidire strumentisti con un terzo dei suoi anni, questa indemoniata leggenda vivente sfida tutte le leggi naturali e stupisce e strabilia ancora, sorretto nella sua missione da musicisti non certo di primo pelo, spesso cinti e spronati dal loro maligno condottiero. Liebling fa parte di quella venerata cerchia di rocker sopravvissuti a una vita di eccessi di ogni sorta che ciò nonostante trovano linfa per portare avanti la loro arte con energia e determinazione che paiono surreali! Avendolo in quest’occasione incontrato prima dell’esibizione, si è potuta verificare di persona la “trasformazione”, alla Angus Young, pre e post concerto ed infatti un Liebling inizialmente affabile ed amichevole si è poi tramutato in demone fuoriuscito dagli inferi non appena messo piede sullo stage! Inalterata anche la sua distintiva gestualità e mimica facciale degna di un Jim Carrey dopo la lettura di un libro di Clive Barker! Un concerto dei Pentagram è di difficile narrazione, in quanto rappresenta un’esperienza da vivere e assaporare dalla prima all’ultima nota, tenendo sempre a mente che gran parte degli episodi son stati concepiti mezzo secolo fa!
C’è tempo per annunciare l’uscita di un nuovo album (speriamo) e il bis che chiude il concerto così com’era iniziato, ovverosia con uno dei brani della primissima produzione, 20 Buck Spin.

SETLIST PENTAGRAM
1. Run My Course
2. Starlady
3. The Ghoul
4. Be Forewarned
5. Review Your Choices
6. Sign of the Wolf
7. Frustration
8. When the Screams Come
9. Dying World
10. Devil’s Playground
11. Relentless
12. Last Days Here
13. Forever my Queen
14. 20 Buck Spin


MUSICA FORTE, FORTEZZA VECCHIA (LI), 06/08/22
Report di "Saverio Comellini "Lizard"

In una cornice bellissima e inusuale come quella di “Effetto Venezia”, festa popolarissima che vede la città labronica ritrovarsi a festeggiare lungo i canali medicei, ha luogo anche l’iniziativa Musica Forte in Fortezza, all’interno della Fortezza Vecchia, splendido maniero all’ingresso del porto che unisce quindi l’architettura rinascimentale alla posizione praticamente “nel mare” per un effetto davvero unico. La prima serata, caldissima e umida, vede avvicendarsi due grandi band come The Atomic Bitchwax e Pentagram per un evento del tutto particolare e riuscito

THE ATOMIC BITCHWAX
A parte qualche difficoltà a trovare la biglietteria per il cambio delle prenotazioni (l’ingresso è di venticinque euro per la singola serata, quaranta per l’abbonamento), l’ambiente interno alla Fortezza è sicuramente studiato molto bene e quindi troviamo in un cortile l’attrezzato bar con tavolini che offre apericena, pizza a taglio, gelati e quant’altro serva per rifocillarsi e proprio qua incontriamo Chris Kosnik con indosso una maglietta del Desertfest di Berlino, intento a procacciarsi da bere e che ci accoglie con piacere e sorpresa per essere stato riconosciuto e col quale scambiamo due piacevoli batture, prima di lasciarlo al compagno Garrett Sweeny che lo attendeva al tavolo, in tutta tranquillità, in mezzo ai fan.
Consumata l’attesa, saliamo le scalette che ci portano in una corte superiore, nella quale è attrezzato l’ottimo palco. Il bar è sulla sinistra e lo spiazzo antistante più che congruo per il numero di spettatori che pur non raggiungendo il pieno mostra una partecipazione ben più che nutrita.
Pronti e via, il trio sale sul palco e salutati i presenti attacca subito con l’intro tratta dal celeberrimo riff di Frankenstein di Edgar Winter. I tre sono in forma e si percepisce fin da subito, anche se Kosnik lamenta un po’ di difficoltà alla voce, che infatti si sente non benissimo dalla prima fila. Ma poche ciance, gli Atomic Bitchwax non sono certo band da preoccuparsi per questi problemucci e il loro hard rock lisergico e carico di adrenalina freme per scatenarsi sul pubblico. Chiara l’impronta blues dei tre, come chiaro il tiro garage rock che caratterizza praticamente tutti i brani, con Bob Pantella a giocare il ruolo del motore ritmico potente e inarrestabile per tutta la durata dell’esibizione, con un groove davvero invidiabile. Il gruppo, a dire il vero, forse proprio per i problemi di voce del bassista, predilige brani con poche parti cantate e sfrutta al meglio il proprio potenziale strumentale e con un tiro micidiale, quasi incuranti del caldo tremendo che tutto avvolge, regala una cinquantina di minuti di hard rock furente e carichissimo. Sweeny affianca comunque ripetutamente Kosnik, come nel botta e risposta dell’opener Hope You Die, tratta dall’ultimo Scorpio, dal quale sarà tratto anche l’irresistibile Ninja. I tre si divertono come pazzi e come gruppo di apertura fanno il proprio dovere da veri performer, scherzando a più riprese col pubblico e invitandolo a urlare e farsi sentire. Cosa che peraltro i presenti non vedevano l’ora di fare, rispondendo con calore e partecipazione. I brani scorrono via piuttosto velocemente e anche se poi finiscono per assomigliarsi un poco l’un l’altro, la carica e la qualità strumentale dei tre è tale che risulta impossibile annoiarsi e non provare simpatia per i tre. Si arriva così velocemente a chiusura del set, dopo l’immancabile Shitkicker e la ripresa di Frankestein che chiude l’esibizione con grande soddisfazione di tutti.

PENTAGRAM
Inutile dire che l’attesa per l’esibizione degli headliner è fortissima. Il gruppo è in tour per il proprio cinquantennale e sta realizzando molte esibizioni, anche in Italia, come ottimamente raccontato dal collega Emanuele Spano “Rasta Back”. Considerato il lungo intervallo di silenzio discografico causato dalle traversie personali di Bobby Liebling e l’età certo non più fertile di quest’ultimo, aggravata da una condizione fisica che sembra tutt’altro che facile, sembrerebbe insomma che l’occasione del cinquantennale della band caschi a fagiolo per tornare a celebrare questa vera e propria leggenda e per constatarne lo stato, sulle assi di un palco.
Ebbene, alla fine il responso sarà ben più che positivo, anche grazie a una band solidissima che conduce alla grande lo show e consente a Bobby di essere se stesso, senza pressioni e preoccupazioni di ego. D’altra parte, il cantante appare oggi ancora più emaciato e visibilmente più vecchio dei suoi pur non verdi sessantotto anni. Eppure, la voce resta intoccata, totalmente presente e dopo i primi minuti, questo “ragazzo terribile” rompe ogni preoccupazione cominciando il proprio show personale, fatto di movenze, sguardi spiritati, battute dette a mezza voce, balletti e un continuo contatto col chitarrista Matthew Goldsborough, uno dei protagonisti della serata. D’altra parte, sia il solidissimo Greg Turley al basso, vera e propria “mente” dietro agli ultimi anni di vita dei Pentagram e l’ottimo Ryan Manning dietro le pelli offrono un bollo di garanzia ineccepibile sul comparto ritmico, mentre il chitarrista si carica sulle spalle la pesante eredità di Victor Griffin e Vincent MacAllister con umiltà e senza mai eccedere in personalismi, lasciando volentieri il proscenio a Liebling, senza perdere un colpo per quanto riguarda la prova strumentale, sudatissima e carica di energia e qualità tecnica. La band giustamente visto che si tratta di un tour celebrativo cerca di pescare da tutta la propria discografia, con una evidente predilezione per il proprio primo album ufficiale, d'altra parte composto di soli classici, dal quale sono tratte ben sei canzoni sulle quattordici complessive suonate. Una scelta se vogliamo obbligata e che comunque porta l’esibizione appena oltre l’ora e un quarto di esibizione, iniziata a dire il vero con qualche minuto di ritardo sull’orario ufficiale. Evidentemente le condizioni di Bobby -e forse anche il gran caldo- non permettevano molto di più. Il cantante comunque non rinuncia a esibire dei pantaloni strettissimi che avrebbero messo in difficoltà anche giovanotti ben più elastici e una maglietta tigrata verde che negli anni Settanta avrebbe fatto furore e, come detto, superata l’opener Run My Course, nella quale mette comunque in evidenza l’ottima forma vocale, inizia a scaldarsi e già nella successiva e spettacolare Starlady riesce a imporre il proprio carisma a un pubblico comunque in evidente stato di adorazione. Il riff spezzacollo e maledetto di The Ghoul miete vittime, mettendo in chiaro le gerarchie in campo doom con qualunque pretendente, ma è con la doppietta Be Forewarned / Sign of the Wolf che il pubblico subisce il primo colpo da KO tecnico. La spettacolare Frustration permette a Goldsborough di mettersi in luce, con un assolo da urlo e il salto all’indietro del tempo offerto da When the Scream Come (purtroppo unico estratto dal capolavoro Day of Reckoning) e Dying World, praticamente unita in medley a Devil’s Playground, fanno il resto alimentando l’isteria collettiva, senza sfamarla compiutamente. Tanto che durante la roventissima resa di Relentless ci sarà il primo episodio di stage diving (poi ripetuto altre volte sotto lo sguardo invero un po’ terrorizzato del roadie del gruppo) e perfino di vero e proprio pogo, che alza un discreto polverone.
E’ purtroppo già tempo di bis e il gruppo viene richiamato a gran voce sul palco, per quella che è la prima vera sorpresa della serata: laddove la scaletta recitava la presenza del megaclassico Last Days Here, troviamo invece una stupenda versione di Downhill Slope, forse meno iconica, ma spettacolare semiballad tratta dall’incompreso Review Your Choices, che mette in luce ancora una volta l’ottima forma vocale di Liebling, intenso interprete del brano, mentre il gruppo ne accentua la distorsione e quindi l’enfasi della parte distorta, per poi lanciarsi in un medley devastante tra il megariff di Forever My Queen, nella cui introduzione tutto il pubblico batte le mani a tempo e sulla quale lo stage diving sarà compiuto da una intraprendente bimba che avrà avuto a malapena dieci anni, col divertimento e la soddisfazione di tutti poi gentilmente posata a terra e recuperata dagli orgogliosi genitori e 20 Buck Spin, col suo treno di assoli finali che ancora una volta certificano l’ottima prova della band, a sugello di un grande concerto, il cui unico difetto è stata la lunghezza: davvero non ci sarebbe stato nulla di male se i Pentagram avessero suonato un’altra ora. Scocca la mezzanotte proprio sulle note conclusive e non resta quindi che mettere insieme le residue forze per recuperare la macchina, mentre la Fortezza viene presa d’assalto dal gruppo di giovani in cerca di discoteca che dà il cambio alla ciurma di metallari, fradici ma felici che sciamano tra le bancarelle in festa. A domani per i Voivod!



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