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VOIVOD + RANCHO BIZARRO - Musica Forte, Fortezza Vecchia (LI), 07/08/2022
20/08/2022 (1143 letture)
Se la prima serata ha rappresentato per certi versi una sorpresa, anche a livello di partecipazione di pubblico e per una organizzazione davvero buona, la seconda serata ha confermato appieno le ottime impressioni iniziali. Stavolta, invece di una veloce quanto divertente passeggiata per il quartiere Venezia e cena all’interno della Fortezza, optiamo per un ottimo fritto di pesce al porto con una temperatura decisamente più piacevole di quella incandescente e umida di sabato, per poi goderci un giro all’interno della Fortezza stessa, tutta visitabile gratuitamente e piena di bellissimi scorci interni, sulla città e sul porto. Ma il momento turistico lascia presto spazio all’evento musicale ed è già tempo di tornare nell’arena concerti, per l’inizio della seconda serata.

RANCHO BIZARRO
Del tutto a digiuno della proposta del trio di apertura, ci avviciniamo senza remore al palco, guadagnando la prima fila. A occhio, si percepisce come stasera il numero dei presenti sia sensibilmente più basso della sera precedente, ma comunque in numero più che sufficiente per sostenere la band di apertura, i livornesi Rancho Bizarro. I quattro stasera giocano in casa, ma tutti sappiamo quanto questo possa essere insidioso, specialmente se dopo di te si deve esibire un monumento come i Voivod che, oltretutto, musicalmente hanno tutt’altro approccio e sonorità. I livornesi infatti propongono uno stoner heavy psichedelico interamente strumentale (e non a caso il debutto Rancho Bizarro del 2017 è uscito sotto Argonauta Records) che forse si ricollegava molto più ai due gruppi della sera precedente. Ma si tratta alla fine di particolari: il primo a salire sul palco è il bassista Izio Orsini, t-shirt dei The Obsessed, barba lunga e piglio birbone, seguito dalle due chitarre di Matteo Micheli e Marco Gambicorti e dietro la batteria prende posto invece Federico Melosi. Stoner doom strumentale, dicevamo e, infatti, sul palco non c’è neanche un microfono, riducendo di fatto a zero la comunicazione col pubblico. Una scelta drastica e che rivela una forte personalità: non è da tutti presentarsi su un palco “protetti” unicamente dalla propria musica e questo va a merito dei quattro. Ma appunto è la musica a farsi notare: se i brani sono interamente strumentali, il gruppo sa comunque costruire tracce ben composte e dotate di senso, melodiche e che mettono in luce le qualità tecniche e strumentali dei quattro senza essere delle lunghe sbrodolate ipertecniche senza gusto, né infinite session di autocompiacimento strumentale senza costrutto. Al contrario, ogni brano ha una identità ben precisa, fortemente ancorata anche all’hard rock classico dei seventies, ma con un certo gusto anche nelle scelte solistiche, con i due chitarristi che si scambiano spesso e volentieri gli assoli, senza lesinare spazio al basso e all’ottima batteria di Melosi, gran picchiatore dall’ottimo groove. Alla fine, pur rinunciando totalmente al comparto vocale, i quattro non fanno annoiare i presenti, grazie a una musicalità di ottimo livello che viene premiata dai sempre presenti applausi e incitamenti degli astanti. Forse manca ancora qualcosa alla loro formula che li renda più personali e riconoscibili, ma bisogna ammettere che i cinquanta minuti a loro disposizione vanno via piuttosto bene e in maniera variegata, il che davvero non è poco. Da tenere in considerazione.

SETLIST RANCHO BIZARRO
1. Intro + Zico Roll
2. King of the Van
3. High on Stage
4. Iron Maiden
5. Fu Rancho
6. Open Bar Deluxe
7. The Vengeance of Lord Humungus
8. Mondo Rancho
9. Low Energy Salad


VOIVOD
Lo spazio concerti si è andato via via riempiendo, ma resta comunque l’impressione che stasera i numeri raggiunti siano più bassi ed è un vero peccato, perché non capita spesso di vedere i canadesi all’opera. Forse la vicinanza geografica della precedente esibizione al Metal Valley del giorno precedente può dirci qualcosa in merito, ma alla fine resta sempre un po’ di dispiacere. In compenso, quello che manca in numero di presenti (comunque alla fine non pochissimi, azzardiamo un duecento presenti) viene assolutamente recuperato in termini di calore, coinvolgimento e partecipazione. Raramente si assiste a un tale trasporto, con tutti i presenti che incitano continuamente la band e i singoli musicisti senza risparmiarsi un attimo. D’altra parte, che i canadesi non siano propriamente delle altere superstar lo si capisce anche dal fatto che appena i Rancho Bizarro hanno finito di portare via la strumentazione, salgono sul palco e si montano tutto da soli, scherzando con il pubblico assiepato in attesa e mostrandosi fin da subito rilassati e amichevoli, nonché incuriositi e compiaciuti dalla location.
Ci vogliono solo i pochi secondi dell’introduzione di Experiment, storica opener del capolavoro Dimension Hatross, per scatenare sul palco e tra la gente il delirio: Mongrain e Laroche sono delle molle, in particolare il simpaticissimo chitarrista, che sciorina riff e assoli con una tecnica a dir poco spaventosa, per pulizia e timing e un eterno sorriso stampato in faccia. Ma l’accoglienza riservata all’ingresso sul palco di Denis “Snake” Bélanger va ancora oltre ed è un vero e proprio boato, che sorprende anche il carismatico e divertentissimo cantante, il quale non ci mette molto a fare propria l’audience, con le sue buffe e particolari movenze e il consueto ghigno. Dietro a tutti, ma davanti a tutti, Michel “Away” Langevin, con la sua inconfondibile capigliatura, ormai totalmente bianca e una prova strumentale che ha del clamoroso. Il batterista è una macchina da guerra, potente e preciso, compiaciuto e anche lui con un sorriso quasi continuo, picchia come un dannato e dona un groove clamoroso a brani come The Unknown Knows e, naturalmente, Tribal Convictions. Accoglienza calorosa anche per la titletrack, dal quale saranno estratti tre brani a fine serata, con lo spettacolare balletto asincrono di Snake sul break centrale. Il cantante riceve a più riprese ovazioni personali, ma riesce quasi sempre a dirottarle sul gruppo o sul brano, dimostrando così umiltà e buon senso e chiedendo semmai una ovazione per il compianto Piggy. Molto divertente anche il siparietto ordito con Mongrain prima di The Prow, con Snake che chiede al pubblico se gradisce il rock’n’roll e poi chiede “cos’è il rock’n’roll?”, con il chitarrista che accenna il riff iniziale di Johnny B. Goode, per poi passare ad altri classici e, infine, parte col celeberrimo intro di Sweet Child O’Mine, suscitando un vespaio di grida e finendo per storpiarlo tutto, per poi dare il via al brano. Ottime reazioni anche per la nuova Planet Eaters, ma naturalmente Overreaction scatena il caos, con i “ragazzi” sul palco che veramente non stanno fermi un secondo e quelli sotto che non sono certo da meno. L’incitamento “voivod” urlato a ogni fine canzone da tutti è testimonianza dell’assoluto trasporto del pubblico, che si quieta in silente adorazione solo per Astronomy Domine, nella quale letteralmente rapiti tutti affondiamo, per poi scatenare un pogo furioso sull’inno Voivod, con i tre davanti che a un certo punto si sdraiano sulla pedana della batteria e addosso l’un l’altro, salvo scatenare nuovamente il brano e, ringraziando tutti, uscire dal palco. Inutile dire che rare volte si è sentito un così potente invito a tornare, con la divertente quanto coinvolgente Fix My Heart che chiude l’esibizione, ma non acquieta il pubblico, che continua a chiedere nuova musica, costringendo i quattro musicisti a continui ringraziamenti e a stringere mani a praticamente tutti i presenti, per quella che è stata un gran bella serata condotta da un gruppo semplicemente eccellente, avanti anni luce, unico e inimitabile e, purtroppo, per questo ancora oggi poco capito.

SETLIST VOIVOD
1. Experiment
2. The Unknown Knows
3. Tribal Convictions
4. Synchro Anarchy
5. Iconspiracy
6. The Prow
7. Planet Eaters
8. Overreaction
9. Pre-Ignition
10. Sleeves Off
11. Astronomy Domine
12. Voivod

---- Encore ----

13. Fix My Heart


QUALCHE NOTA CONCLUSIVA
E’ giusto a questo punto riconoscere i meriti all’organizzazione del festival, gestita dai ragazzi del The Cage, storico locale labronico. Il contesto della Fortezza Vecchia è splendido e trovarsi dentro all’evento “Effetto Venezia” aumenta il fascino del festival, che può davvero svolgersi nel momento di massimo splendore della città. Certo, qualche problema di parcheggio la concomitanza di eventi lo provoca, ma è davvero un prezzo risicato. La politica dei prezzi, con il biglietto della serata a venticinque euro (senza rincari in cassa) e quaranta per l’abbonamento alle due serate, è senz’altro onesta e abbordabile. Stessa cosa può dirsi per i prezzi ai due bar interni della Fortezza, che offrono comunque un più che abbondante apericena a dodici euro, pizze a taglio, toast, panini, frutta, gelati e birre a cinque euro, che diventano sei al bar interno all’arena concerti. Il posto come detto è affascinante e merita anche da solo la visita, i suoni sono buoni fin dal gruppo di apertura, con l’unico neo della voce che nelle prime due/tre file è risultata praticamente inudibile per entrambe le serate, costringendoci a spostarci indietro durante i Voivod. Peccato per il poco merchandising a disposizione e ai prezzi non proprio abbordabilissimi (venticinque euro per la maglietta dei Voivod e trenta/quaranta per quelle dei Pentagram, che notoriamente non si trovano spesso, non sarebbero tantissimi, ma se li sommi al biglietto, alla cena, al beveraggio, al viaggio… tanti invece i venticinque euro per la maglietta del festival, che pure poteva vantare un bellissimo disegno). Nel complesso, si è trattato di una due giorni assolutamente meritevole e che speriamo diventi un appuntamento fisso. Molto bravi e grazie per averci creduto.



Lizard
Martedì 30 Agosto 2022, 20.40.53
2
Ehm… caz..pita… hai perfettamente ragione. Corretto, grazie della segnalazione
Testamatta ride
Martedì 30 Agosto 2022, 20.12.35
1
Sempre i numeri uno. Ogni volta che leggo una recensione di un live dei Voivod, oltre a morire d'invidia, noto sempre che viene rimarcato il loro modo di fare totalmente affabile. Grandissimi. Numeri uno, ribadisco. PS: Saverio una correzione: Away si chiama Michel Langevin, Denis D'Amour era Piggy. Ovviamente sarà stato il classico lapsus 🍻
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