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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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SCHELETRO + NABAT + GÜERRA + DIARIO DI BORDO + SKYTEA FOR WARRIORS - Libera Officina, Modena (MO), 29/10/22
10/11/2022 (1433 letture)
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L’occasione era di quelle ghiotte fin dalle premesse: sia io che il mio fidato compagno di avventure Pez abbiamo apprezzato parecchio Farfalle Dentro il Vomito, il disco di debutto dei romani Scheletro uscito nel 2018, e il fatto che la band passasse da Modena proprio in occasione del release party del nuovo album - Un Feto Schiacciato Senza Tre Falangi – uscito lo scorso settembre, ci ha fatto tenere sotto controllo la data. L’evento si è arricchito man mano di altri nomi interessanti, tra cui sicuramente spiccano i leggendari Nabat (o quel che ne è rimasto, come vedremo). La location è di quelle a cui sono affezionato: nell’adolescenza con il mio primo gruppo, ma anche in seguito con altri progetti, sono passato anche io sul palco di Libera Officina, spazio sociale di chiara matrice anarchica che oltre ad organizzare eventi e manifestazioni di vario genere sul territorio ha spesso dato modo ad artisti di diversa estrazione e calibro di esibirsi all’interno dei propri locali. In questo caso il concerto si sommava alla campagna di sensibilizzazione sul corteo che sarebbe avvenuto il 5 novembre a Modena per protestare, tra le altre cose, contro le recenti manovre sull’allargamento dell’autodromo, organizzato sia dagli esponenti di Libera che da numerose associazioni ambientaliste della provincia. Non è questa la sede dove discutere di politica: le scelte e le decisioni qui presentate possono ovviamente essere condivisibili o meno, ma com’è logico che sia il luogo non è stato scelto a caso e le idee circolanti durante la serata sono esplicitamente chiare a tutti. Arriviamo sul posto poco dopo le 20:00 ed anche se l’evento sarebbe dovuto iniziare addirittura un’ora prima quando entriamo nel capannone che ospita gli spazi del centro sociale ascoltiamo parte del soundcheck dei bolognesi Diario di Bordo, capendo quindi che la serata sarebbe andata per le lunghe come da prassi per eventi simili, con evidenti pregi e difetti. Dunque paghiamo i 6€ richiesti per sostenere le band, acquistiamo la prima birretta della serata al costo di 2€ (con possibilità di ricevere indietro 50 centesimi riconsegnando la lattina vuota), e cominciamo a guardarci intorno, sbirciando anche il tavolo del merch, ancora poco fornito. Rimanendo piacevolmente sorpresi dal rapido affollarsi di ragazzi e ragazze punk di ogni tipo che riempiono la zona “relax” di Libera ci buttiamo senza paura in un torneo di biliardino – perdendo clamorosamente – e all’improvviso una voce si staglia sulla folla annunciando l’inizio dei concerti intorno alle 21:00.
SKYTEA FOR WARRIORS Dietro questo moniker così curioso si nasconde Camilla, capelli giallo fluo e accento inequivocabilmente romagnolo, che da sola sul palco e munita di ukulele propone un repertorio fatto di cover che pescano dal repertorio punk e hardcore internazionale, ma non solo. L’idea di prendere brani originariamente elettrici e rabbiosi per trasformarli in delicate ballate folk o in audaci valzer acustici forse non è del tutto innovativa, ma funziona tremendamente bene per due motivi: l’ottima voce di Camilla, spesso soffice ma capace di graffiare quando serve, è protagonista tanto quanto il carisma della ragazza, che tiene il palco con sicurezza anche di fronte ai numerosissimi – purtroppo – imprevisti che minano la sua performance: dai cavi non funzionanti al microfono che salta di continuo fino ad un calo di corrente che spegne tutto, lasciando che l’inerme Camilla si esibisca in modalità “unplugged” sostenuta calorosamente dall’ancora sparuto, ma decisamente carico, pubblico. Tra i brani che spiccano di sicuro c’è la versione dal retrogusto reggae di Waiting Room dei Fugazi, ma i pezzi che vengono cantati a squarciagola da tutti i presenti sono Ace of Spades dei Motörhead, Fucking Hostile dei Pantera e la ruffiana Laida Bologna dei Nabat, che apprezzano e ringraziano. Al di là dei problemi tecnici il set di Skytea for Warriors è piacevole e funziona molto bene, venendo apprezzato all’unanimità. Dal momento che Camilla è stata presente sui cartelloni di molti eventi punk di quest’anno ci auguriamo di ascoltarla di nuovo presto, su un palco più consono alla sua proposta.
DIARIO DI BORDO La scaletta della serata verrà modificata quasi radicalmente in corso d’opera, così che a salire sul palco sono ora i Diario di Bordo, combo bolognese dalla storia sì recente – nascono nel 2012 – eppure già decisamente conosciuto negli ambienti punk di estrazione “street”. Appena i cinque attaccano gli strumenti sembra di avere davanti agli occhi un gruppo di grande esperienza, con tonnellate di palchi alle spalle e nessun timore di urlare a squarciagola i propri testi fatti di rivalse personali e vita di strada: il cantante Max catalizza l’attenzione grazie ad un look da skinhead inconfondibile fatto di immancabile testa rasata, polo firmata Fred Perry, cappellino, tatuaggi e un vistosissimo orologio argentato al polso, mentre i suoi compagni risultano decisamente più casual ed anzi, paradossalmente hanno quasi tutti i capelli lunghi. Leo e Mauro alle chitarre attirano l’attenzione per via di alcuni ottimi cori ed armonizzazioni di chitarra di stampo melodic hardcore, ma in generale tutta la band funziona come un meccanismo oliato alla perfezione. Lascia ancora più piacevolmente sorpresi il fatto che il pubblico, ora molto più folto, canti tutti i pezzi suonati dai bolognesi con un trasporto ed una foga eccezionali, alternando le prime invasioni di palco della serata con numerosi passaggi di microfono tra Max e alcuni fan particolarmente esagitati nelle prime file. Il live va alla grande e la voglia di approfondire il materiale dei Diario di Bordo mi porterà ad ascoltare con gran soddisfazione il loro ultimo album Al di Là del Buio, uscito proprio quest’anno. Sono proprio i brani di questo disco a riscuotere maggiore successo, con il ritornello di Dentro una Sporca Canzone – Da soli e sempre contro / Sul filo di un rasoio! – gridato da tutti quanti con un trasporto impossibile da ritrovare ad un concerto normale, ma possibile quasi solamente in ambienti come questo. Un concerto davvero eccezionale, sebbene rovinato da suoni sbilanciati che penalizzano la voce e che fanno risultare il tutto un po’ troppo impastato. D’altronde però anche questo fa parte del gioco, quindi va bene così. Se non conoscete i Diario di Bordo non fate l’errore di ignorarli, vi perdereste una piccola gemma dell’attuale punk italiano.
GÜERRA Non che i forlivesi Güerra siano male, tutt’altro – e anche stavolta il pubblico agitatissimo e partecipe ne è la conferma – ma dopo i Diario di Bordo non è facile tenere il palco in maniera altrettanto coinvolgente. Tra l’altro il cambio palco si fa un po’ più lungo e siamo già vicini alle 23:00. I quattro romagnoli iniziano il loro set in maniera un po’ freddina, ma si scaldano insieme agli astanti nel giro di tre, quattro brani; il loro è un oi! punk abbastanza standard, con testi che risultano un po’ un bignamino delle tematiche trattate abitualmente nella scena e un songwriting che lascia poche sorprese. Nonostante ciò la musica dei Güerra piace alla folla, che canta ancora una volta tutti i pezzi e si lascia guidare dall’esaltato frontman che si muove senza sosta da una parte all’altra del palco. I brani della band sono in parte in italiano e in parte in inglese, ma è indubbio che a risultare migliori nella resa e nell’apprezzamento generale siano quelli in lingua madre, resi più sentiti e vissuti dalla voce grattata del cantante che rimane l’elemento più caratteristico della proposta del gruppo. Anche per i forlivesi si parla di un’esperienza breve, ma già colma di palchi calpestati ed anche se la sicurezza non è la stessa della band precedente, non si può dire che i quattro non sappiano il fatto loro. Forse in questo caso la scaletta dura un pelo troppo e l’avvicinarsi della mezzanotte inizia a farci temere per il rientro a casa. L’album omonimo dei Güerra è uscito nel 2019, la speranza perciò è quella di ascoltare materiale nuovo da questi ragazzi che, anche se non hanno colpito me, hanno di sicuro portato a casa una promozione piena nei confronti del pubblico, che alle fine è la cosa più importante.
NABAT L’avevo previsto poco dopo l’inizio della serata: i Nabat avrebbero suonato a mezzanotte. E non mi sbagliavo purtroppo. Ok, i gruppi sono tanti e ognuno di loro ha una strumentazione leggermente diversa, ma il tempo per il cambio palco stavolta inizia ad essere davvero troppo. Comunque è sabato sera e tutti sono carichi all’idea di poter cantare i brani storici del quartetto di Bologna capitanato oggi come nel 1979 dall’iconico Steno. È il cantante l’unico sopravvissuto della formazione originale e fa sorridere che oggi sia accompagnato da tre musicisti giovanissimi, con il bassista che potrebbe essere il nipote del frontman. Ammetto di non essere informato sull’attuale line-up del gruppo, che con buone probabilità cambia di frequente, ma in ogni caso bisogna andare al di là dell’apparenza perché i Nabat di stasera sono una realtà che annichilisce, spettina, esalta ed emoziona. Fin dalle prime note il cambio a livello di sound lascia di sasso, i suoni trovano un maggiore bilanciamento, la voce di Steno risalta sull’amalgama strumentale e il pubblico impazzisce senza sosta per quasi un’ora. È un assalto senza fronzoli quello dei bolognesi, che non hanno bisogno di fare nient’altro che suonare: i tre strumentisti stanno immobili al loro posto, solo il chitarrista (qualcuno dice sia il figlio di Steno, sinceramente non ho trovato nulla a riguardo, ma effettivamente sono due gocce d’acqua) si lascia visibilmente trasportare dall’entusiasmo della folla. Menzione speciale per il batterista che pesta come un forsennato e si rivela la vera marcia in più del quartetto. Steno interviene con poche battute per caricare ancora di più i presenti, criticando le varie creste che si vedono in sala e parlando del “suo” quartiere San Donato, ma sono i suoi testi che rubano l’attenzione e strappano urla di gioia da parte di tutti i presenti. I classici ci sono tutti, nessuno escluso, ma sono pezzi come Nichilistaggio – cantato praticamente solo dal pubblico che si passa il microfono – e la tanto attesa Laida Bologna a far scoppiare il caos, con le invasioni di palco che non si contano, ragazzi e ragazze che corrono ad abbracciare Steno e i primi, composti, poghi della serata. I cori di Tempi Nuovi sovrastano l’intera band, mentre su Skins & Punks è Steno ad essere più esaltato del pubblico stesso, seguito a ruota dal chitarrista. Il magnetismo che provoca il cantante è inspiegabile: gli basta mettersi in posa, guardare dritto negli occhi i propri fan e lasciare che la sua voce, ancora piuttosto in forma, faccia il resto; eppure è impossibile staccargli gli occhi di dosso. Il concerto si conclude tra l’entusiasmo generale della folla (ora nutritissima), con coppie che si baciano, gruppetti che continuano ad intonare gli immancabili “oi! oi! oi!” e altri che si ritirano nella sala principale per riposare ossa e orecchie, prima del colpo finale preparato dall’ultima band in scaletta.
SCHELETRO L’orologio segna l’1:00 di notte e sembrerebbe proprio che i componenti degli Scheletro siano arrivati a Modena proprio poco fa, infatti entrano nel capannone muniti di strumenti ed amplificatori ancora chiusi nelle custodie. Capiamo quindi che non solo la band dovrà montare la propria strumentazione, ma dovrà anche fare un veloce soundcheck, che si rivelerà più lungo del previsto (ho dato una mano anche io a un certo punto). Prima che il gruppo inizi a suonare passa infatti un’altra mezz’ora abbondante, durante la quale – con un certo fastidioso senso di arroganza, forse dato solo dalla stanchezza e dall’orario improponibile – i quattro musicisti cercano di trovare il proprio equilibrio a livello di suoni con buona pace dei fonici, che cercano di accontentarli non senza problemi. Demian dietro al microfono sembra particolarmente provato, mentre il chitarrista Hell Nenni pare essere completamente disinteressato a tutto ciò che gli capita attorno. Diciamo che l’impatto degli Scheletro sul palco non è il massimo, ma fortunatamente ci pensa la musica a farci cambiare idea. Conosciamo abbastanza bene il repertorio dei romani e sappiamo che il punto di forza del gruppo sta nel mescolare hardcore punk, grindcore, d-beat e suoni prettamente metal (ben rappresentati da basso e chitarra), ma dal vivo la formula rende bene allo stesso modo che su disco? La risposta è positiva, anche se è ovvio che ancora una volta il capannone dove ci troviamo non renda un granché bene la resa sonora finale. Ad ogni modo il set dei quattro è velocissimo e finisce nel giro di una mezz’ora, alternando estratti dell’ultimo album – ottima la risposta del pubblico su L’Accollo Sei Tu – a brani iconici del primo disco come La tua Opinione. Demian si sgola alternando screaming, growl e urla senza soluzione di continuità, tracannando dopo ogni pezzo un abbondante sorso di superalcolico e interagendo poco con i presenti. Presenti che nel frattempo sono purtroppo diminuiti, ma tra gli irriducibili si scatena presto un pogo piuttosto violento condotto tra l’altro da Sara Burzucco, piccola star dei social ben conosciuta negli ambienti punk. È la ragazza dai capelli blu a tenere (anche troppo) vivo il pit, anche se indubbiamente il pubblico è molto meno coinvolto rispetto ai concerti precedenti e questo è un peccato perché gli Scheletro sanno il fatto loro e tengono bene il palco, ma purtroppo l’orario è quel che è. Demian per primo lascia il palco dopo aver eseguito il classico La Capra Punk – che sberla il rallentamento doom finale! – ringraziando, ma lamentandosi del caldo che lo ha lasciato completamente bagnato.
CONCLUSIONE La musica finisce ufficialmente alle 2:00 di notte inoltrate, ma io e Pez decidiamo comunque di aspettare qualche membro degli Scheletro per acquistare la maglietta dedicata all’ultimo album. Il tempo passa, ma finalmente arriva Demian, con cui scambiamo un po’ di chiacchiere e che infine ci regala un paio di spille. Usciamo dal centro sociale poco prima delle 3:00, ricordandoci che proprio quella notte ci sarebbe stato il cambio dell’ora e questa scoperta ci rincuora leggermente: almeno possiamo convincerci di dormire un’ora in più rispetto alle poche previste. Il bilancio della serata comunque è più che positivo e torniamo a casa soddisfatti. Certo, con un’organizzazione diversa e una gestione più oculata degli orari l’evento avrebbe potuto concludersi prima, ma alla fine – e qui parlo da musicista o aspirante tale, con una bella esperienza anche nei centri sociali – bisogna mettere in preventivo anche di rincasare all’alba quando si partecipa a serate come questa e in un certo senso è anche il bello dell’evento in sé. Dove si potrebbero ascoltare altrimenti cinque band di buonissimo livello pagando solo 6€ senza fare tessere o pagando il doppio per prendere da bere? Per questo motivo io continuo a ringraziare realtà antagoniste e alternative come Libera Officina di esistere e spero di partecipare di nuovo ad altri concerti di questo tipo, conoscendo persone nuove e sicuramente divertendomi. Un appunto finale riguarda un aspetto politico: praticamente tutte le band della serata provengono da ambienti street/oi! punk, notoriamente associati ad idee politiche di estrema destra. Basterebbe conoscere la storia dei Nabat per capire che le cose non stanno così, ma è innegabile che gli skinhead, negli anni, siano stati inquadrati in un certo modo. Lo spazio dove si è tenuto l’evento di questa sera è dichiaratamente anarchico e non c’è stato alcun “conflitto d’interesse” durante tutto lo svolgimento dei concerti. Al contrario l’atmosfera è sempre stata rilassata e di estrema condivisione, con i soliti soggetti più agitati ed alterati degli altri, ma in generale un senso di tranquillità assoluto, che ha reso una serata già musicalmente interessante anche piacevole sotto tutti gli aspetti. Alla prossima a questo punto!
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In effetti El Faffo credo fosse proprio così... Poi se uno effettivamente era sempre e solo interessato a vedersi un concerto in pace posso anche capirlo, il problema è che molti erano Herbert o apolitici solo se in minoranza ... N.b. ho usato verbi al passato solo perché non frequento da ormai un po' di tempo ambiente strettamente skin , ma non penso sia cambiato molto... |
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5
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Il titolo dovrebbe partire con 'Nabat' + chi del caso a scendere.
Chissà perché a un certo punto qualcuno cominciò a proclamarsi Herbert... Forse per non fare a legnate ogni volta con gente dai lacci di colore differente? |
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4
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Concordo pienamente che come ogni sottocultura anche quella skinhead ha molte complessità che difficilmente si comprendono senza viverla in prima persona. La cosa positiva di gruppi come Nabat (ma potrei citarti Colonna Infame, Raptus, Erode, Los Fastidios o in ambito più combat rock la Banda Bassotti, e molti altri) è che hanno quantomeno sdoganato (ovviamente assieme ai movimenti Sharp di città come Milano, Genova, Roma, Torino ecc) gli skinhead in ambienti politici come i centri sociali aiutando a superare l'equazione errata tra skin e nazisti. |
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Immagino sia stata una bella serata
Nabat e Scheletro insieme non male |
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Sì, diciamo che la verità sta nel mezzo secondo me. Le origini della sottocultura sono chiare e non hanno niente a che fare con orientamenti di destra estrema, così come è chiara l'origine di band come Nabat, che nascono anarchici con esplicito orientamento nichilista. In entrambi i casi poi c'è stata una strumentalizzazione netta a livello culturale che ha fatto sì che gli skinhead venissero accostati a certe idee, finché effettivamente questo accostamento non si è effettivamente verificato e anche questo è innegabile. Oggi un ragazzo che viene a conoscenza della cultura skinhead e della scena oi! è molto più facile che si identifichi in un certo pensiero di destra purtroppo (per me), ma non bisogna mai dimenticare le origini di qualunque movimento o sottocultura, per poterlo osservare, studiare o vivere con cognizione di causa. Non a caso a un certo punto c'è stato bisogno di parlare di orientamenti diversi come SHARP e RASH, ma contemporaneamente sorgevano anche realtà inquietanti come Skin88 e GASH (quest'ultima per me davvero paradossale). Ad ogni modo è un universo culturale complesso, che secondo me va comunque conosciuto per sapercisi rapportare come meglio si crede. In conclusione comunque serate come quella qui descritta esulano dalla politica e personalmente le vivrei anche ogni weekend.  |
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Meno male che c'è qualcuno che diffonde un po' di cultura sulla sottocultura skinhead e il punk-oi. Ricordiamoci che lo stile skinhead nasce negli anni 60 su ispirazione dei rude boys neri giamaicani. La verità è che la maggior parte degli skinhead non ha nulla a che fare con razzismo e neonazismo. |
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