|
27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
|
|
Wytch Hazel - IV: Sacrament
|
11/06/2023
( 1582 letture )
|
Alzare continuamente l’asticella per soddisfare attese crescenti è un compito non facile e spesso, se le proprie sono le aspettative più alte, la pressione può rivelarsi il peggior nemico. Queste le condizioni nelle quali si trova Colin Hendra, mastermind dei Wytch Hazel, una band che negli ultimi anni ha saputo distinguersi nella folla delle nuove uscite, grazie alla qualità delle proprie composizioni e a un’identità ben marcata e immediatamente identificabile, che ha creato attenzioni sempre maggiori e, con esse, la tensione per nuove conferme al rialzo. Una situazione non facile, specialmente se a questo si aggiunge la vita: per chi non campa di musica, banalmente il lavoro principale, il matrimonio, i figli. E la pandemia. Un quadro complessivo molto provante, che nelle note introduttive di IV: Sacrament lo stesso Colin non nasconde. Il sodalizio col produttore Ed Turner è stato l’ancora a cui Hendra si è agganciato, superando anche le numerose difficoltà legate alla registrazione del disco, che hanno incontrato continui intoppi e problematiche, fino all’uscita dal gruppo del batterista Jack Spencer nel settembre 2022, che ha portato lo stesso band leader a farsi carico dello strumento per le registrazioni dell’album. Cosa aspettarsi dunque da un disco nato in queste circostanze, nelle quali anche la visione filosofica e lirica, così importante per i Wytch Hazel, finisce per essere influenzata dall’atmosfera dei tempi e dalle incertezze che questi comportano?
Il lavoro compiuto da Hendra e Turner è essenzialmente di definizione del sound e della proposta: i suoni sono i migliori che il gruppo abbia mai avuto, puliti, chiari, potenti e definiti e, al contempo, veri, profondi, vibranti. Le chitarre scintillano come lame al sole, esaltandosi nelle numerose e fluviali sezioni soliste e nelle armonizzazioni quanto nei riff. Basso e batteria sono presenti e pulsanti nel mix, molto ben settati, nonostante la prevalenza delle due asce e la voce di Hendra, come le numerose sovraincisioni e i cori, risalta nel complesso senza sovrastare il resto. Un lavoro eccellente, anche nella discreta gestione delle tastiere e della preponderante presenza dell’acustica nella parte conclusiva del disco. Parimenti, a livello compositivo Hendra ha cercato di rifinire la proposta della band al suo massimo livello espressivo, componendo brani che scolpissero lo stile dei Wytch Hazel per i secoli a venire nella loro miglior forma. L’heavy/folk epico del gruppo, con il suo connubio di heavy rock settantiano che assorbe tanto dai Wishbone Ash quanto dai Thin Lizzy, associato alla NWOBHM dei primordi e agli Angel Witch (o ai più recenti Slough Feg) in particolare resta protagonista assoluto, senza deviazioni e senza tentennamenti. Il disco che esce da questa volontà dovrebbe quindi rappresentare la miglior espressione della band e la sua maturità definitiva. Un risultato sicuramente raggiunto, che mostra però dei limiti finora inespressi. L’album risulta in effetti quasi diviso in due parti: la prima che corrisponde ai primi quattro brani e la seconda che comprende gli altri. Se nella prima parte a brillare sono i veri e propri inni della band, espressi in quello che ormai diventa una volta per tutto il “classico” stile dei Wytch Hazel, splendenti di luce e armonie, assoli e linee melodiche epiche a profusione, nella seconda qualcosa cambia e la luminosità si fa meno intensa, i brani diventano più meditativi e la componente folk viene più fuori, in particolare nel super-evocativo strumentale Gold Light e nella quasi totalmente acustica e “profetica” Future Is Gold, che ricalca gli stilemi della ballata per menestrell, con qualche tocco di modernità negli arrangiamenti, qui come in tutto il disco curati all’estremo. La conclusiva Digging Deeper fa praticamente storia a sé, con la sua partenza in acustico, che recupera la distorsione sull’epicissimo refrain e le armonizzazioni che conducono il riff ritornante, come di pragmatica, con una sensazionale sezione solista che apre a una parte conclusiva con tanto di piano e che ricorda quasi il prog rock settantiano, più di ogni altra cosa. Un brano che costituisce la lente attraverso cui arriviamo a leggere tutto il disco: brani come The Fire’s Control ed Angel of Light (Thin Lizzy fino nel midollo) nella loro esaltazione del percorso finora condotto dalla band rappresentano sì l’espressione totale dello stile del gruppo, dove tutto è maniacalmente al suo posto, ma appaiono proprio per questo meno trascinanti di quanto auspicabile, con refrain ripetuti fin troppe volte e la disperata ricerca della perfezione che toglie spontaneità. Meglio in tal senso sia l’epicissima Time and Doubt dotata di un buon tiro che, e soprattutto, Strong Heart, quasi hard rock alla AC/DC nel riffing portante e trascinante senza avere pretese di grandezza, con un gran bell’assolo che cambia atmosfera al pezzo. Il colpo a segno pieno arriva finalmente con Deliver Us: melodia perfetta, refrain perfetto, portamento fiero e una vena appena di malinconia che non guasta e che appare anche nella successiva e bella A Thousand Years, con l’ennesimo assolo spettacolare che fa volare letteralmente il brano. Peccato che la rincorsa venga fermata dalla citata Gold Light, comunque validissima, la quale ci traghetta direttamente in Endless Battle. Gran bel riff alla Judas Priest, armonie liquide della solista, l’acustica che fa la comparsa sulla strofa e un refrain ai primi ascolti un po’ “faticoso”, che però conquista nel tempo e mostra ancora un lato più riflessivo anche liricamente. Grande brano nel complesso che, come la traccia conclusiva, sembra anche mostrare delle vie evolutive.
Al tirar delle somme, i Wytch Hazel del quarto album, nonostante tutte le difficoltà emerse, sono a confermare non solo di essere una delle band in assoluto più interessanti e valide tra quelle emerse negli ultimi anni, ma di possedere un qualcosa che a pochi è riservato: una visione e la capacità di concretizzarla. Certo, IV: Sacrament perde il confronto con gli immediati predecessori in termini di spontaneità e sicuramente l’effetto sorpresa viene meno, a questo punto, ma la maniacale opera di rifinitura compiuta dal band leader e dal produttore ci offre comunque un risultato smagliante, nel complesso. Le caratteristiche e le qualità della band risaltano in tutto il loro splendore e per chi si approccia per la prima volta a questo gruppo ci sarà di che rimanere abbacinati. Chi invece li ha seguiti finora forse si accorgerà di questo eccesso di manierismo, che è sinonimo di maturità compositiva raggiunta, ma finisce per far apparire la band fin troppo rinchiusa nella propria dimensione. A supplire a questa sensazione arriva la seconda parte del disco, la quale mostra delle vie evolutive e un’atmosfera più riflessiva, come già era successo in III: Pentecost e forse anche più che in quell’occasione. Il risultato, in effetti, fa propendere la bilancia verso questa espressione, che regge meglio ad ascolti ripetuti, atteso che già nel disco precedente probabilmente il gruppo aveva raggiunto il picco dell’ispirazione e che negli ultimi brani non si percepisce la stessa chiarezza di intenti e direzione espressa nella prima parte. Come si diceva in apertura alzare l’asticella di continuo è un compito improbo, che in pochissimi riescono ad assolvere. Per i Wytch Hazel, dopo una crescita costante, arriva per certi versi una consacrazione definitiva e per altri si apre la strada della necessaria e futura evoluzione: la formula ha toccato i propri limiti massimi e quel che viene dopo dovrà per forza di cose essere diverso o diventare macchiettistico e ripetitivo.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
12
|
Al momento il mio disco del 2023. Bellissimo. Come fondere Warlord e Wishbone Ash. Per descrivere Endless Battle c\'è solo l\'aggettivo emozionante. Deliver us (chi ha parlato di Warlord?), Diggin deeper e Time and doubt sono perle assolute. Ciò che mi ha conquistato è l\'epica malinconia che pervade l\'album. 85 |
|
|
|
|
|
|
11
|
sicuramente una band che merita di essere ascoltata e supportata e che sicuramente riesce a rendere personali le proprie evidente influenze.85 |
|
|
|
|
|
|
10
|
@Rob Fleming: fantastici anche i Night. |
|
|
|
|
|
|
9
|
Lavoro di alta qualità. È vero che il sound dei Wytch Hazel appare ormai familiare a chi ha ascoltato i precedenti e bellissimi Sojourn e Pentecost. Ma Colin Hendra e i suoi non deludono neppure stavolta. Per chi ama la buona musica vale senz\'altro l\'acquisto. |
|
|
|
|
|
|
8
|
Alla fine mi avete convinto e l\'ho preso nel suo formato fisico dopo numerosi ascolti. Mi sembra bello, mi hanno ricordato gli Hypnos di Cold winds (il mio disco preferito del 2016) e i fantastici Night. Adesso andrò a ritroso |
|
|
|
|
|
|
7
|
ottima recensione e ne condivido in parte l\'analisi, nel senso che non mi aspetto chissà qualche evoluzione o colpo di scena dai Wytch Hazel. se dovessero continuare così, mantenendo un buon songwriting, come sta accendo, per me andrebbe benissimo così |
|
|
|
|
|
|
6
|
Sono d\'accordo con l\'analisi del Recensore.. Rispetto all\'Album precedente, non c\'è stato il \"cambio di passo\", rimanendo all\'interno del proprio recinto.. Livello sempre alto comunque. |
|
|
|
|
|
|
5
|
Mi era molto piaciuto il precedente Pentecost soprattutto per l\'affinità con i miei amatissimi Wishbone Ash. Qui si confermano con un bellissimo album, dai suoni heavy molto derivativi dai gruppi menzionati nella recensione ma il songwriting è indubbiamente notevole. Non ci sono filler. Il livello è sempre alto su tutti i brani. Girerà molto sui miei device nell\'estate incombente. Chapeau! Au revoir. |
|
|
|
|
|
|
4
|
quella nella foto più a dx è uguale a Olbrich giovane dei BG. |
|
|
|
|
|
|
3
|
Sicuramente a stretto giro sarà mio! Loro sono una vera garanzia: tanta roba. Gruppo che merita di essere ascoltato e seguito con attenzione! |
|
|
|
|
|
|
2
|
Bellissimo, bentornati! |
|
|
|
|
|
|
1
|
Spettacolo di album. Lo trovo un filo inferiore al predecessore,ma comunque rimane un disco da ascoltare più e più volte. Meravigliosi |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. The Fire's Control 2. Angel of Light 3. Time and Doubt 4. Strong Heart 5. Deliver Us 6. A Thousand Years 7. Gold Light 8. Endless Battle 9. Future Is Gold 10. Digging Deeper
|
|
Line Up
|
Colin Hendra (Voce, Chitarra, Batteria) Alex Haslam (Chitarra) Andy Shackleton (Basso) Aaron Hay (Batteria)
Musicisti Ospiti Ed Turner (Mandolino, Mellotron)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|