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26/04/24
ELECTRIC VALLEY RECORDS FEST
BLOOM, VIA EUGENIO CURIEL 39 - MEZZAGO (MB)
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FRANCESCA TASSINI - Come Mosche nel Miele
20/07/2020 (1328 letture)
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Milano, anni 90. Il Ramazzotti che ancora scorre, i locali, i ragazzi bene che vanno a scuola, alle feste, studiano o fanno finta di farlo e se i genitori hanno i soldi – e molto spesso li hanno – qualche trasgressione concessa ai figli della casta prima di iniziare la vita adulta tra lavoro, casa, vacanze e tutto il resto. Per molti e non certo solo a Milano, la vita era e resta un percorso segnato e tutto in discesa. Altri, invece, seguono una spinta interna verso vie molto più tortuose e pericolose, cercando un’autodistruzione che non sembra avere spiegazione se non in una paradossale voglia di bruciare di vita, annichilendosi per amarla troppo. La storia che Francesca Tassini ci racconta in Come Mosche nel Miele è una di queste.
IL GRUPPO DELLE MOSCHE Nata a Milano nel 1979, Francesca Tassini si è diplomata in sceneggiatura alla Scuola Civica di Cinema nel 2004, poco dopo la conclusione delle vicende narrate nel libro. Oggi è sceneggiatrice, scrittrice e si occupa di adattamenti da romanzi a serie TV e film, collaborando nel contempo con riviste di musica e arte. La storia che ci racconta in Come Mosche nel Miele, che in parte è la sua, è però quella di una ragazzina che in quella Milano bene, dove i soldi e l’agiatezza sono di casa, dove apparire è molto, se non tutto e dove ognuno sembra nascere con un destino segnato (verso l’alto o verso il basso) e ad essere raccontato è sempre il copione di una metropoli dove tutti arrivano a una meta seguendo percorsi segnati, prende una direzione che la porterà più volte in prossimità della morte. Senza un’identità interiore definita, confusa sullo sfondo delle fermate della metro e dei sottopassi, il suo percorso è solo marginalmente scolastico. Seguendo un crescendo che quando è ancora largamente minorenne la porterà dalla musica all’alcol e infine, per step sempre più pesanti, verso la droga. Niente compagni di scuola e amici "normali" o genitori a scortarla lungo un cammino che l’accosterà molto da vicino anche alla criminalità organizzata legata allo spaccio – molto forte questa parte del libro – ma al loro posto il gruppo/madre, il branco che accetta tutti, specie i rifiuti degli altri. Tossici, alcolisti, drop out, quelli scavati dentro dal popper, dalla cocaina o altra sostanza e dalla frattura culturale con una Milano alternativa figlia degli anni 60 e 70 che stava scomparendo. Compagni di viaggio incamminati sullo stesso sentiero che in realtà è un tunnel dall’uscita strettissima in cui solo pochissimi riescono alla fine a infilarsi per riemergere alla luce, ma tante figure diverse e a loro modo romantiche. A volte si tratta di incontri estemporanei che le cambiano in qualche modo la vita, altre volte si tratta di "compari di perdizione" che per la maggior parte cadono lungo il cammino. Massi il punk, Rame il nichilista, André, Alex, Pallina, la Lele, il Bergo e tutti gli altri. Tra il clan dei Russi, fabbriche abbandonate e centri per la disintossicazione. Con la musica a punteggiare tutto.
FANTASMI NELLA CITTà LIQUIDA Un viaggio senza sconti nell’adolescenza di una ragazza la quale non ha ritenuto opportuno mascherarsi dietro pseudonimi o dichiarare che si tratta di fatti integralmente inventati, come sarebbe stato più comodo fare.
Non è un’autobiografia, anche se ripercorre le mie esperienze personali tra i 13 e i 22 anni. Non lo nascondo, per cui non ho sentito l’esigenza di cambiare il mio nome. Ho modificato invece quelli degli altri e alcuni luoghi. (Da un’intervista della Tassini rilasciata a Andrea Federica de Cesco per il corriere.it del 7 gennaio 2019)
Una ragazzina diventata donna, che con la sua scrittura fa trasparire forse una voglia di "catartizzare" anni che molti avrebbero preferito rimuovere dalla memoria, ma che qui, invece, vengono usati come mono seduta psicanalitica a uso e consumo della scrivente e di chiunque accetti quel mood languido e quel taglio da sceneggiato che sono perfettamente coerenti con la Tassini di oggi. Sempre, però, a venire fuori da una scrittura che procede in modo caoticamente ordinato e ti fulmina spesso con descrizioni poetiche e struggenti di situazioni orribili, lasciandotele quasi tatuate in mente, è la ricerca di una dimensione dell’esistenza che porti ad altro rispetto alle miserie della normalità. Che tra episodi di una brutalità desolante, un incontro in albergo coi Motley Crue, arresti, pestaggi, fughe, romantici black metallers e la routine della droga, soddisfi quella inspiegabile, ustionante voglia di vivere. A costo di morirne. E più ancora, una Milano liquida, che consente alla protagonista ed a tutti gli altri personaggi di muoversi quasi trasparenti rispetto alla città degli altri e contemporaneamente abbraccia, ma senza mai stringerti davvero. Presenti, ma paralleli, fluidi anche nel passaggio da un branco a un altro, dediti alla sperimentazione oltre la ragione, evanescenti e irrintracciabili come incorporei bosoni di Higgs urbani. Solo materia viva che si perde, fisicamente e metaforicamente, per poi emergere in non luoghi evitati dagli altri. Gli unici momenti in cui forse acquisiscono massa. Raccontando tutto come se si trattasse di un’amica intima, con la distanza necessaria a dare senso al tutto, per immagini e con un tocco inconfondibilmente, serenamente femminile.
E’ l’estate. D’estate moriamo come mosche nel miele
::: ::: ::: RIFERIMENTI ::: ::: ::: AUTORE: Francesca Tassini EDITORE: Solferino PAGINE: 352 ANNO: 2019 ISBN: 978-88-282-0122-9 COLLANA: Narratori FORMATO: Brossura con alette PREZZO DI COPERTINA: 18 Euro
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Insomma si tratta dell'evoluzione urbana, il passo successivo dei "100 colpi di spazzola prima di andare a dormire". A pelle direi che Le Marquis non ci è andato molto lontano ed è assai probabile che l'abbia "sgamata" subito. Poi per carità sarà tutto vero, ma in effetti ti lascia quel senso di perplessità (notare il "dai 13 ai 22"). Adesso andrò a cercare le sue interviste. E se cambio idea prometto che torno ad annunciarlo urbi et orbi |
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Voilà, Monsieur Raven. Le mie considerazioni erano rivolte al contenuto del libro e a cosa c'è probabilmente dietro. Non a come lei ha voluto comunicarne il senso. No so se ho tempo di leggere le interviste della Tassini ma immagino ripeteranno il solito refrain che ho evidenziato nel mio post. Nel caso torno in merito.
Le auguro sempre una buona estate. Au revoir. |
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Evidentemente non sono riuscito a comunicare esattamente il senso del libro. Non era questo l'intento dello scritto. Le consiglio di leggere le interviste della Tassini, facilmente reperibili in rete. |
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Sinceramente non capisco il senso di queste narrazioni, se non nel voler dire a tutti "io ce l'ho fatta, altri no" oppure (e se nota, Monsieur Raven, i giornali online li riportano spesso) "si certo adesso sono al top (sceneggiatrice, scrittrice, TV, arte, film) ma ho avuto un'infanzia/adolescenza difficile". Leggo spesso di attrici/starlette, ora ricche e famose (magari sposate a lucrosi stilisti) che da piccole sono state violentate o hanno subito angherie. Non capisco perché nessuno dei nostri vigneron o contadini/paysan che vivono solo con lo stipendio, ha avuto un'infanzia difficile o subito violenze. Chissà perché. Questi ex "Pallina, la Lele, il Bergo" che ti trovi alle feste o agli eventi (noi ne facciamo spesso, nel mondo del vino/spirits) ora tutti presi dal loro successo (quasi sempre nei media o nell'arte) hanno sempre da raccontarti queste storie, come a giustificarsi, che meritano il successo e i soldi che hanno, perché hanno un passato triste. Personalmente vengo da una famiglia nobiliare, abbiamo grandi patrimoni, ma ho sempre studiato e lavorato, pur non disdegnando qualche simpatico joint, molto vino, feste, donne, Lamborghini, cavalli, mountain bike. Non scrivo libri o rilascio interviste o scoop su questo. Non devo giustificarmi. Secondo me, oltre alla sindrome del riscatto, questa spera che qualche produttore ne ricavi una serie TV, tipo Gomorra o Romanzo Popolare che porterà delle sicure royalties. Auguri. Au revoir. |
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In realtà i personaggi che circondano la protagonista e la protagonista stessa, non appartengono a famiglie "off". Semmai a quelle figlie degli anni 60 e 70 e non necessariamente crescono in ambienti disagiati. Piuttosto ne vengono attirati a causa di un vuoto interiore che li porta verso la sperimentazione di qualsiasi cosa faccia loro provare la sensazione di essere vivi, per mancanza di stimoli dopo un decennio (gli anni 80) di assoluto disimpegno e azzeramento di certi valori. Il contesto metropolitano "normale" nemmeno li vede e quando li nota, fa finta di non vederli. Ed a loro va bene così. |
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La descrizione del libro mi ha ricordato, pur in un contesto spaziale e temporale diverso, quei "ragazzi di vita" raccontati da Pasolini, pescati tra le borgate della Roma del secondo dopoguerra. E' probabilmente il segno - e qui mi rendo conto di scrivere una terribile banalità - che quella parte della società giovane, povera, dimenticata se non espressamente rifiutata dai contesti metropolitani più agiati, non tramonti mai ma piuttosto si evolva con la stessa dimensione urbana che li confina ai suoi margini. |
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