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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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The Ruins of Beverast - Rain Upon the Impure
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26/11/2016
( 4780 letture )
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Un nome solo dietro un progetto vasto, eterno, che da più di dieci anni si pone in cima alla sconfinata montagna costruita da miriadi di composizioni black metal. Alexander Frohn, meglio conosciuto come Alexander Von Meilenwald è uno dei più grandi artisti-compositori di musica estrema della zona della Renania Settentrionale. Nato ad Aquisgrana, ha cominciato la sua carriera nel 1993 come batterista e compositore nei Nagelfar, band black dedita alla mitologia ed al paganesimo, con tre full-length all’attivo di altissimo livello, ormai storia dell’underground europeo. Poi, nel 2002, lo split con i compagni di band e la ricerca di un nuovo progetto: così nascono i The Ruins of Beverast, una delle migliori -se non la migliore- rappresentazione dell’atmospheric black metal in senso assoluto. Il progetto vede Von Meilenwald come unico compositore ed esecutore, ad occuparsi di tutti gli strumenti registrati in qualsiasi album mai uscito sotto questo monicker. Beverast è una derivazione studiata dallo stesso Meilenwald della parola Bifröst, il ponte che collega Miðgarðr ed Asgarðr nella mitologia norrena. Il progetto dell’artista di Aquisgrana si basa sulle ipotetiche rovine di questo ponte mitologico, in una chiara distruzione di ogni possibile collegamento tra la vita terrena e l’ultraterreno. Il primo album dei The Ruins of Beverast esce due anni dopo lo scioglimento dei Nagelfar e si intitola Unlock the Shrine, da molti considerato un vero e proprio masterpiece dell’atmospheric black che non teme alcun paragone con le realtà più blasonate del nord Europa. In questa disamina, tuttavia, trattiamo l’uscita successiva che, alla prossima vigilia di Natale, compirà il suo decennale: Rain upon the Impure. Il disco black metal definitivo. L’arte, la poesia, la crudeltà e la violenza di un genere musicale che vengono condensate in un’opera omnia, inarrivabile per la stragrande maggioranza degli artisti militanti nella scena e vero e proprio baluardo del metal estremo europeo, senza temere accostamento alcuno con nessuna band del passato, norvegese e non.
La ricercatezza sonora, i testi complessi e l’elaborazione strumentale che vengono schiacciati in una produzione asfissiante, cruenta e sulfurea, sono gli elementi preponderanti del capolavoro dei The Ruins of Beverast. Ottanta minuti di maestosa violenza che cadono come pioggia sugli impuri, travolgendo senza remora alcuna tutto ciò che si para davanti alle casse dello stereo. Alexander Von Meilenwald si dimostra, oltre che paroliere eccezionale, un musicista di tutto rispetto su ogni strumento, per quanto il suo punto di forza rimangano le pelli. 50 Forts Along the Rhine è un pezzo annegato tra lo sciabordio delle acque, che introducono e concludono i tredici minuti composti da furibonde sfuriate di chitarra e batteria, opportunamente interrotti da sezioni più lente e ragionate, con la presenza di cori claustrofobici che elevano l’atmosfera dell’album a livelli epici. Il growl di Von Meilenwald è rasposo, corde vocali che sembrano essere state levigate con la carta abrasiva e che ben si adattano ad una produzione ben lungi dall’essere perfetta, ma che calza in maniera clamorosa all’ambientazione costruita dagli strumenti registrati su Rain upon the Impure. Rispetto al debut-album, le composizioni dei The Ruins of Beverast hanno compiuto un ulteriore passo avanti verso la soffocante accoppiata tra atmospheric black e doom metal, che raggiungerà il top della sua rappresentazione con il più recente Blood Vaults - The Blazing Gospel of Heinrich Kramer ed i suoi eccelsi bilanciamenti sonori. Tornando a Rain upon the Impure, si passa per un altro brano lunghissimo e più lento e cadenzato: Soliloquy of the Stigmatised Shepherd ci offre un contrasto devastante tra i suoni distorti della chitarra e le sue controparti in clean, se possibile ancora più claustrofobiche e malate in questa loro registrazione "nature". Il viaggio continua, fluido e maligno al tempo stesso, travolgendoci come se fosse un fiume in piena, causato dalle violente piogge cadute sugli impuri, in un mondo disagiato. L’andamento è più doom che altro, interrompendo le distorsioni da un momento all’altro, lasciando spazio ad arpeggi sinistri e sospiri che si intersecano con ruggiti appena accennati. La voce di Von Meilenwald, a tratti raggiunge quell’efferatezza inconcepibile che già si è potuta ascoltare in un’altra pietra miliare della musica estrema: Obscura dei Gorguts. Per quanto i due generi siano quanto di più diverso ci sia in ambito metal, l’influenza a livello vocale nella sezione centrale di questo secondo brano è risulta piuttosto evidente. Ed è estremamente calzante. Ma Alexander non si ferma qui, ponendo cori epici e sinfonici che sembrano aleggiare sulla seconda parte del brano, amalgamandosi in un composto perfetto. L’inquietante intermezzo Rapture ci conduce dritti alla prima parte di un concept che verrà poi ripreso nel successivo Foulest Semen of a Sheltered Elite e darà il nome con la sua terza parte, al più recente Blood Vaults - The Blazing Gospel of Heinrich Kramer. I - Thy Virginal Malodour è un viaggio di quindici minuti nel delirio e nella violenza sonora, in un sontuoso bilanciamento tra growl raspante, riff di chitarra che rimangono impressi nella mente con clamorosa brutalità e, ancora una volta, cori epici. Il terzo lato del disco è occupato dalla sola Soil of the Incestuous che si può ritenere tra le migliori, se non la miglior traccia dell’intera discografia dei The Ruins of Beverast: il contrasto tra la ritmica prepotentemente distorta e l’arpeggio cupo è la miglior rappresentazione di ciò che la one-man-band di Aquisgrana propone. Sedici minuti di pura rabbia teutonica, in grado di rendere “leggera” buona parte del black metal ascoltato sino a quel momento, aiutato anche da una produzione non ottimale, ma estremamente tenebrosa. L’ultimo lato del disco contiene l’intermezzo Balnaa-Kheil the Bleak e la title-track, per un’ultima cavalcata di quasi un quarto d’ora nei meandri oscuri della mente geniale di Alexander Von Meilenwald. Ciò che è stato sentito sino a questo momento, non è altro che la rappresentazione totale dell’atmospheric black metal e sarà in grado di penetrare lentamente nella vostra testa, sino a non uscirne mai più.
Posto tra Unlock the Shrine e Foulest Semen of a Sheltered Elite, questo Rain upon the Impure si conferma come il capolavoro dei The Ruins of Beverast, spiccando tra album di livello assoluto ed assurgendo di diritto a vera e propria pietra miliare degli anni duemila. Alla fine è inutile spendere tante altre parole su quello che, usando una terminologia recentemente fin troppo abusata, è un vero e proprio capolavoro del genere. Se vi piace il black metal più cupo, fosco e pregno di influenze doom, atmospheric e, a tratti, addirittura sludge, i The Ruins of Beverast sono una di quelle band che non potete non ascoltare. E custodire gelosamente tutte le loro opere. Lontano dalla pioggia che cade su ognuno di noi, esseri impuri dediti all’ascolto del metallo nero.
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11
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Album impegnativo, registrazione indecente e canzoni lunghissime, ha bisogno di un pò di ascolti per essere apprezzato. |
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10
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Album clamoroso. A parte che tutti i suoi album sono monumentali. Questo però è tra i top. Unico neo la produzione con una registrazione molto bassa. Voto 9,5 |
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9
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Non conoscevo questo progetto e me ne pento. Mi procuro subito il disco e alla prima vera giornata di inverno me lo godrò ala grande. |
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8
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Dovrò andare a rispolverarlo, all'epoca mi piacque veramente tanto. In tutti questi anni però non mi è mai venuta voglia di ascoltarlo... |
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7
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Recuperato con qualche difficoltà tre anni fa, confermo che si parla di un grande disco, tanto che poi ho preso anche il resto. Forse 97 è un voto impegnativo, io vado sul 90. Numeri a parte, un discone. |
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6
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@Red Rainbow, effettivamente quando si parla di quei generi la media è questa!! E' che il prototipo di disco perfetto per me sono i 28 :59 di Reign in Blood! Scherzo, di sicuro seguirò anche il tuo consiglio e dovrò recuperarlo! |
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5
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Capolavoro ben oltre i confini del black, come dice giustamente Davide arricchito da magnifiche venature doom e sludge (mi è capitato di definirlo a tratti "atmospheric industrial", se è lecito un orribile neologismo di genere ). @ Doomale: vai tranquillo e immergiti, da quando noi cronicamente devoti al doom e al post metal ci facciamo scoraggiare dalle lunghezze monumentali?  |
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4
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Ciao Monky! Sono assolutamente d'accordo; non avrebbe stonato nemmeno un 100! Disco meraviglioso! |
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3
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Non sono per niente d'accordo col voto. Musica da perless. Voto 45 |
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2
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Ho sempre sentito parlare benissimo di questo album..e qui anche Voi me lo confermate con un mega votone davvero alto e un ottima recensione! Devo dire però di essere stato sempre scoraggiato dall'eccessiva lunghezza dell'album. Vedremo se sarà la volta buona. |
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1
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Per me questo è senza dubbio tra i 10 album black metal più belli mai scritti. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. 50 Forts Along the Rhine 2. Soliloquy of the Stigmatized Sheperd 3. Rapture 4. Blood Vaults (I - Thy Virginal Malodour) 5. Soil of the Incestuous 6. Balnaa-Kheil the Bleak 7. Rain upon the Impure
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Line Up
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Alexander Von Meilenwald (Voce, Chitarra, Basso, Batteria)
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RECENSIONI |
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