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The Ruins of Beverast - The Thule Grimoires
05/02/2021
( 2212 letture )
Già ci aveva deliziati l’anno scorso, il progetto The Ruins of Beverast, con lo split che ha visto il progetto protagonista assieme agli islandesi Almyrkvi. La one-man band teutonica, non paga del risultato buono ma non eccezionale del suddetto lavoro, torna a distanza di pochi mesi, sempre per la conterranea Ván Records, con The Thule Grimoires.

L’abilità compositiva di Alexander von Meilenwald, mastermind del progetto tedesco, non è certo sconosciuta al pubblico ed è dunque lecito, ad ogni nuova uscita, aspettarsi qualcosa che sbalordisca e che tenga incollati alle cuffie. In fondo non si può certo dire che al Nostro piaccia giocare semplice. Anzi, si potrebbe anche affermare, senza timore di smentita, che egli apprezzi mettere alla prova sé stesso ed il suo pubblico. Ed è dunque spiazzante Ropes into Eden, posta ad apertura del disco e caratterizzata da un loop elettronico singhiozzante (che ricorda le modificazioni vocali computerizzate poste all’inizio di Malefica, terzo brano di Blood Vaults) che, accompagnandosi a synth sinistri, sorregge sussurri effettati e distorti e che, con l’esplodere della carica black metal, la accompagna affiancandovisi, formando un ibrido cyber-ritualistico che elettrizza. La sezione centrale del brano è un lungo intermezzo assai atmosferico che coniuga inanimate martellate industrial ad una distensione sonora spirituale che sembra ispirato da qualche sostanza psicotropa che apre la mente su dimensioni altre, informi ed indecifrabili. È proprio questo primo tassello del disco ad essere quello più bizzarro e sperimentale. La successiva The Tundra Shines si muove attorno a coordinate già note agli ascoltatori di The Ruins of Beverast, senza tuttavia adagiarsi sugli allori o affidarsi ad un facile e sicuro riciclo di idee precedentemente usate. Il black metal qui proposto, fortemente atmosferico, si fonde alle fangose distorsioni fangose e umidicce dello sludge (elemento, quest’ultimo, che attraversa l’intero disco): l'atavico spiritualismo che pervade le note di von Meilenwald assume così connotati ancor più primitivi. L’andamento del brano è assai altalenante ed oscilla incessantemente tra velocità folli e rallenty che lasciano col fiato sospeso, come nella straordinaria sezione conclusiva nella quale il metronomo sembra ubriaco ed incerto circa il tempo da tenere. Nella successiva Kromlec’h Knell la componente di black metal primordiale viene momentaneamente posta in secondo piano. Lo scream ora riveste un ruolo secondario, subordinato al cantato in clean profondo e ieratico e, anche musicalmente, latitano i momenti che possano definirsi black. La trama è composta da un’intelligente stratificazione di chitarre, un sovrapporsi di riff cristallini e di ritmiche melmose, producendo così un atmospheric sludge di pregevolissima fattura. Mammothpolis stordisce sin dall’inizio, con i suoi gravissimi colpi che fanno tremare i timpani come i pesanti passi degli antichi animali estinti che danno titolo alla canzone, segni d’interpunzione precisi e puntuali che scandiscono il crescendo elettro-tribale composto da Alexander von Meilenwald. Anche qui il black metal non è altro che una meteora che attraversa i marcescenti cieli di uno sludge sempre più protagonista, ora contaminato dai riverberi post-metal che rendono Mammothpolis uno dei momenti più complessi del disco. È questo il brano dalla durata più contenuta, che si attesta attorno ai sei minuti, ma, a discapito di ciò, è anche tra quelli che richiedono un maggior impegno all’ascoltatore, il quale non può che sentirsi turbato e, al tempo stesso, attratto dal suo andamento serpentino. Il secondo singolo estratto dal disco, dopo Kromlec’h Knell, è Anchoress in Furs, il cui inizio è affidato a vocalizzi femminili che sanno di Medio Oriente. Quinta canzone dell’album, essa sancisce la definitiva metamorfosi della componente doom che da sempre ha accompagnato quella black in sporchissimo sludge. I momenti più lenti sono infatti caratterizzati da perentorie plettrate della chitarra ultra-distorta che trascina l’ascoltatore in una pozza di fango senza fine. Notevole di menzione è la prestazione canora di Alexander von Meilenwald, che in questa traccia mette in mostra tutte le proprie possibilità vocali passando dal clean liturgico al profondissimo growl e, ancora, allo scream ruvido con una facilità ed una disinvoltura straordinarie che appartengono a pochissimi cantanti (per fare un solo nome, Mikael Åkerfeldt). Con Polar Hiss Hysteria, The Ruins of Beverast torna a calcare la corrotta terra del black metal, dopo esservisi allontanato per un paio di tracce, comunque contaminata da elementi esterni e, nello specifico, è evidente una deriva death nelle ritmiche martellanti ed ossessive che attraversano il brano. Esso è variopinto, come tipico della one-man band di Alexander von Meilenwald, e si destreggia con grande eleganza ed intelligenza tra le diverse declinazioni della musica estrema, senza mai risultare ridondante. Deserts to Bind and Defeat è il capitolo conclusivo, nonché il più corposo nella durata, di questo lungo viaggio. L’intro lascia presagire tutta la qualità che investirà l’ascoltatore nel corso di questi ultimi quattordici minuti, grazie ad una tensione musicale crescente, sapientemente smorzata dalla quiete calda della voce profonda del Nostro. Quanto seguirà questa breve sezione iniziale è una dimostrazione di forza ed abilità che al cupo doom/sludge alterna un furibondo black metal preciso e meticoloso, il tutto condito dalle ormai abituali atmosfere eteree e trasognanti costruite con arpeggi puliti e riverberati di chitarra e con synth cosmici. Nonostante la considerevole durata del brano, non c’è un secondo che risulti di troppo, non una nota inutile, non un istante superfluo. È una traccia il cui equilibrio lascia di stucco e non può che suscitare ammirazione per un talento musicale simile.

The Thule Grimoires è un disco con gli attributi. Ciò non stupisce, ovviamente, considerando la mente che lo ha composto. Era difficile, comunque, pubblicare un album dopo l’eccezionale full length precedente, Exuvia, che ha inevitabilmente proiettato su quest’ultima fatica la propria ombra. Un’eredità ingombrante e difficile da gestire, insomma. Ma c’è poco da fare: The Ruins of Beverast vuol dire, anzitutto, capacità di sbalordire.



VOTO RECENSORE
81
VOTO LETTORI
79.23 su 17 voti [ VOTA]
Immolazione
Sabato 6 Febbraio 2021, 23.21.54
2
Molto bello. Mi piace molto come ad ogni disco Alexander cambi leggermente qualcosa, ma tutti i suoi album sono veramente fighi. Mi sento di concordare anche con il voto.
d00m
Sabato 6 Febbraio 2021, 19.56.43
1
Ascoltato per ora solo una manciata di volte, sufficienti per dire il solito enorme album da parte di AVM, a primo impatto anche forse meglio di Exuvia. Effetti, echi Dark, Riverberi, Doom, Black, il tutto mescolato alla perfezione da un maestro. In numeri non saprei e non avrebbe senso, forse l'unico che gli sta sopra è il terrificante Blood Vaults.
INFORMAZIONI
2021
Ván Records
Black
Tracklist
1. Ropes into Eden
2. The Tundra Shines
3. Kromlec’h Knell
4. Mammothpolis
5. Anchoress in Furs
6. Polar Hiss Hysteria
7. Deserts to Bind and Defeat
Line Up
Alexander von Meilenwald (Voce, Tutti gli strumenti)
 
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