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Imperial Triumphant - Alphaville
11/10/2020
( 2645 letture )
Nel variegato universo del metal estremo, pochi progetti sono così tanto divisivi come i newyorkesi Imperial Triumphant, band adorata quanto detestata dal pubblico alla ricerca di dissonanze e disagio sonico. Anzi, a dire il vero si potrebbe anche affermare che forse il terzetto metropolitano è più detestato che adorato. Ad ogni modo, il loro approccio libero da vincoli di creazione artistica difficilmente suscita tiepide reazioni, mentre più frequentemente stimola perentorie prese di posizione in un'estremità o nell'altra dello spettro di gradimento. È sempre stato così, per ogni loro nuova uscita.

E di certo l'ultima fatica, Alphaville, debutto dei Nostri presso la dimora della blasonata Century Media Records, non fa eccezione. Le nove tracce di questo terzo LP, la cui durata ammonta a circa un'ora, sono caotiche, incoerenti, disorganizzate, disturbanti. In due parole: straordinariamente metropolitane. Il piglio free-jazz tipico di Zachary Ezrin e compagni, che già aveva raggiunto un grado di entropia piuttosto elevato con il precedente Vile Luxury, si fa in Alphaville espressione della frenesia della Grande Mela, galassia isolata dal resto del mondo (come ogni grande metropoli, in fondo) e dominata da dinamiche endemiche indecifrabili, tanto per gli autoctoni quanto per gli estranei.
Il caos newyorkese si agita nelle note sbilenche, dando loro vita e forma. Ascoltare Alphaville è come guardare un film ambientato nella Grande Mela e la musica ivi contenuta ritrae paesaggi ed atmosfere che si sono ormai impossessati dell'immaginario comune. A partire dall'umidiccia introduzione della traccia di apertura, Rotted Futures, nella quale la macchina da presa degli Imperial Triumphant si muove, a pelo dell'asfalto, per le strade della città, deserte e cosparse delle piccole nubi che le animano nelle classiche immagini notturne del labirinto newyorkese. Il prosieguo del brano, sincopato e sgraziato, dominato da frequenti cambi di tempo, persino dal dispari al dispari, e di impulsi sensoriali (improvviso ed inaspettato giunge l'organo finale che chiude questa prima danza ubriaca), è un terremoto musicale. Una catastrofe che fa crollare l'ascoltatore su sé stesso e che si protrae per tutto l'album.
Excelsior, secondo rantolo rauco, può essere suddiviso in quattro parti: la prima, più schietta e immediata, persegue la strada di un violento black metal simil-canonico, per poi virare verso un sincopato progressive/jazz/black/death che si spegne in un breve intermezzo ambientale, per poi approdare alla terza, granitica sezione dal sapore industrial, la quale conduce infine ad una ripresa della prima. Più pacato l'inizio di City Swine, basato su un arpeggio di chitarra pulito che si sviluppa sulla rapida doppia cassa di Kenny Grohowski, senza mai però abbandonarsi al perverso piacere del metal ma crogiolandosi nel gelido calore delle sonorità jazz. La carica demolitrice delle distorsioni e dell'aggressività metallica monta a poco a poco, in sordina, ed esplode poi nella seconda parte della canzone (intervallata da un intermezzo di tamburi Taiko suonati da Tomas Haake dei Meshuggah), senza però rinunciare alle dissonanze della prima, addensate da un pianoforte in libertà: è la cacofonia nella sua forma più nobile e complessa.
Con Atomic Age la musica si disfa, marcescente, come pelle di un lebbroso. Stanca, arranca per la sua prima metà, prima di abbandonarsi ad una furia irrazionale ed isterica. L'alternarsi di emozioni ed atmosfere è costante, quasi si perde il conto delle diverse situazioni dinnanzi alle quali l'ascoltatore si trova: la batteria picchia forte sulle casse e sul rullante, avviluppata nell'abbraccio sinuoso e caldo dei synth; una voce robotizzata, un andamento marziale: questo e molto altro è ciò che abita la seconda parte del brano. Transmission to Mercury ci trasporta in uno di quei classici pub con pianista, le cui dita accarezzano i tasti in una composizione decadente e nebbiosa, accompagnato da una tromba deprimente e delicata. Una bomba fa saltare in aria il pub. E torna la violenza. E torna il blast beat. E torna il black/death metal. In una veste meno tetra ed asfissiante, le chitarre a zanzara usano tinte meno cupe, sebbene non meno cruente. Un crescendo apocalittico, con le trombe che accentuano la carica epica di una cavalcata sfiancante sulle macerie di una metropoli demolita dallo sfrenato lusso della civiltà avanzata, ricca, costantemente in vendita.
La title track apre la propria arringa con dissonanze estreme, le corde della chitarra lanciano vagiti discordi e disarmonici, alternandosi alla coppia batteria-basso, che rispondono in un duetto irrazionale. Quando i tre uniscono le proprie forze, un moloch sonoro, caratterizzato da un riffing estremamente accattivante accompagnato dalle solite storture musicali, si erge davanti alle orecchie dell'ascoltatore, colto da scossoni di terrore, angoscia e meraviglia (o disgusto, a seconda del rapporto che si ha con la band). Gli Imperial Triumphant non vogliono fare sconti e calano l'asso con quello che può essere dichiarato come il pezzo più affascinante ed efficace del lotto e tra gli highlight della loro carriera. I tre sacerdoti della corruzione lussuosa stordiscono e puniscono, ammaliano e seducono.

Asynchronous kingdom, systematic pointillism.

Regno asincrono, puntinismo sistematico: la sfaldatura sonora perpetrata dalla band vede in queste quattro parole il proprio mantra ed in questo brano il proprio manifesto.
La successiva The Greater Good, conclusione di questo viaggio sfiancante al centro del degrado contemporaneo, sebbene molto ben realizzata ed interessante, rappresenta, giunti alla settima traccia, un capitolo ridondante che poco ha da offrire in più rispetto a quanto sin qui udito. Al termine del disco, due regali vengono porti all'ascoltatore dagli Imperial Triumphant. Due regali che, forse, sarebbe stato meglio risparmiare: due bonus track, cover rispettivamente di Experiment dei Voivod (qui cantata dallo spagnolo Phlegeton) e di Happy Home dei The Resident. Sia chiaro, non si può affatto parlare di tributi mal fatti o sgradevoli. Tutt'al più di tributi fuori luogo, nell'organismo complesso e corrotto di Alphaville. In un universo così incostante e contraddittorio, dove il principio di non-contraddizione viene abolito, dove le convenzioni sono solo brutti ricordi ormai superati, la canonicità di due brani lineari e coerenti con sé stessi lascia l'amaro in bocca. La seconda delle due cover, forse, risulta meglio integrata con il resto del disco ma, ciononostante, non lascia l'ascoltatore soddisfatto. Non resta che chiedere: erano proprio necessarie?

Alphaville è un disco provocatorio, in perfetta sintonia con l'animo dei suoi tre creatori. Gli Imperial Triumphant sguazzano nella crepa del pubblico che, di pubblicazione in pubblicazione, contribuiscono ad allargare ed alimentare. Non sono sazi dell'amore provato dagli estimatori e ancor meno lo sono dell'odio dei detrattori. La sensazione che si ha ascoltandolo è che, forse, il terzetto newyorkese abbia (s)composto Alphaville proprio guardando a questi ultimi, piuttosto che agli ammiratori. È un album che vuole farsi detestare. Ed è per questo che si fa amare.



VOTO RECENSORE
83
VOTO LETTORI
95.66 su 6 voti [ VOTA]
DEEP BLUE
Martedì 13 Ottobre 2020, 20.50.49
4
meno male che ogni tanto esce un disco veramente valido
Malleus
Lunedì 12 Ottobre 2020, 12.08.08
3
Lavoro gigantesco, senza dubbio il loro album migliore
dnl.es
Lunedì 12 Ottobre 2020, 10.41.17
2
album dell'anno a mio parere. Voto 92
Andry Stark
Lunedì 12 Ottobre 2020, 0.14.05
1
Oh che piacevole sorpresa vedere gli Imperial Triumphant su Metallized, come ho amato il precedente Vile Luxury altrettanto lo è stato per quest'ultima fatica, Alphaville è un disco incredibile che riesce perfettamente a ricreare un immaginario della caotica New York con questo suo bellissimo mix di avant-gurde black, jazz, tech death dissonante. Voto 88.
INFORMAZIONI
2020
Century Media Records
Avantgarde
Tracklist
1. Rotted Futures
2. Excelsior
3. City Swine
4. Atomic Age
5. Transimission to Mercury
6. Alphaville
7. The Greater Good
8. Experiment (Voivod cover)
9. Happy Town (The Resident cover)
Line Up
Zachary Ezrin (Voce, Chitarra, Orchestrazioni)
Steve Blanco (Voce, Basso, Pianoforte, Tastiere)
Kenny Grohowski (Batteria)

Musicisti Ospiti:
Phlegeton (Voce nella traccia 8)
Yoshiko Ohara (Cori)
Sarai Chrzanowski (Cori)
Andromeda Anarchia (Cori)
Colin Marston (Chitarra)
J. Walter Hawkes (Tromba)
Tomas Haake (Tamburi Taiko nella traccia 3)
 
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