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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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SADIST + ADIMIRON + FOG + DYING MUSES - Cycle Club, Calenzano (FI), 12/03/2016
16/03/2016 (3416 letture)
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Tra le innumerevoli espressioni artistiche che, nel corso dei secoli, hanno stuzzicato e animato l’intelletto umano, la musica rimane in mia onesta opinione la migliore rappresentazione della bellezza – da intendersi quale apollinea, dionisiaca e medusea, e della varietà della nostra propria sensibilità. Derivato dall’aggettivo greco μουσικός, cui è sottointeso il sostantivo τέχνη, il termine “musica” indicava nell’antichità non tanto un’espressione tecnica particolare, quanto tutte quelle arti che erano proprie delle Muse, dunque un qualcosa di perfetto e capace di trascendere e avvicinare l’uomo al divino. Oggigiorno, con questo termine, s’indica l’arte di esprimersi attraverso il suono, l’arte di vibrazione che usa l’aria, lo spazio e impegna l’udito, la mente, il sentimento ma soprattutto quegli aspetti profondi e misteriosi che possono vibrare all’unisono con tutto ciò in cui siamo immersi e, ancora di più, con tutto ciò che sentiamo non appartenere alle dimensioni ordinarie dell’esistenza. Così come il Sé abbraccia ciò che è oggetto d’esperienza e ciò che non lo è e rappresentando una complexio oppositorum, una sintesi degli opposti, esso può apparire anche come una diade unificata… come un giuoco di luce e di ombra, quantunque concettualmente esso venga intenso come un tutto organico e quindi come un’unità nella quale gli opposti trovano la loro sintesi (Psychologische Typen, Carl Gustav Jung), la musica stessa è una sintesi degli opposti e non è un caso che, in ambito mitologico, Armonia sia figlia di Venere e di Marte, ossia di opposti, e, contenendoli, in sé li fonde.
A rischio di ripetermi e di risultare pedante, vorrei sottolineare come è impossibile definire in Italia una qualsiasi scuola di pensiero musicale. Assorbiti da un pesante velo di noia, attratti in uno spleen infinito e intorpiditi da emozioni che non sono reali ma unicamente illusioni, viviamo le nostre vite completamente distaccati dalla bellezza che ci circonda e, cosa ancora più grave, dai nostri stessi sentimenti. Osserviamo lo scorrere del tempo con l’occhio del pendolare che vede il treno sfuggire anziché del vecchio che, sostando dinanzi al tramonto, con la compagna di una vita, ricorda ancora le danze e i balli nella piazza del paese nei giorni di festa, quando le Grazie tessevano nelle nostre mente le più belle parole e le più belle note mai udite sotto i raggi illuminanti degli astri del passato. Tutto ciò che ci circonda è pura illusione e, osservando lo specchio, constatando la vuotezza della nostra esistenza, ci perdiamo nei nostri stessi spenti occhi e riversiamo le frustrazioni altrove, offrendo uno spettacolo di crudeltà che non può che esser preso ad esempio da coloro che, ingenui, guardano il nostro mondo e, desiderosi di bruciare le tappe, cercano di comprenderlo.
Je suis l’Empire à la fin de la décadence, Qui regarde passer les grands Barbares blancs En composant des acrostiches indolents D’un style d’or où la langueur du soleil danse.
Io sono l’impero alla fine della decadenza, che guarda passare i grandi Barbari bianchi componendo acrostici indolenti in uno stile d’oro dove danza il languore del sole. (P. Verlaine, Langueur)
Pur contando innumerevoli band di valore, il nostro pubblico non riesce quasi a rendersi conto della vena e del genio intellettivo dei nostri artisti. E così, arriviamo a serate come quella di sabato, un concerto per pochi intimi, nemmeno quaranta persone, di fronte a una delle più belle realtà italiche, i Sadist. Mi rode il fegato immaginarmi nei panni di uno qualsiasi dei musicisti che quella sera si è trovato davanti questo spettacolo di desolate ignoranza. Però, d’altro canto, è più semplice apparire: perché presenziare a qualcosa, quando la si può passivamente assorbire per mezzo di tutti questi apparecchi elettronici che ci circondano? Perché effettivamente presenziare, rendersi protagonisti, quando possiamo, dall’altra parte di un computer cliccare su una spunta? Non è più semplice rimanere passivi, crogiolarsi in questo senso di eterna sconfitta che accompagna questi nostri tormentati anni? Le domande sono innumerevoli e, sinceramente, ho la nausea a ripetermele. Così, come mi dà la nausea continuare a leggere sui social stati paladini della cultura, quando questa è massacrata e stuprata in primo luogo proprio dall’ipocrisia regnante che regola il nostro comune sentire. Sinceramente, credo che da questo punto di vista, sabato sera al Cycle, si sia toccato uno dei momenti più bassi dell’intero panorama metal italiano. “Spes ultima dea”, ripetevano gli antichi, ma sinceramente, se non basta il curriculum di gruppi quali i Sadist, oppure l’interesse verso nuove realtà quali gli Adimiron o i Fog, non so davvero cosa possa migliorare questa putrida situazione nella quale volontariamente, nel corso degli anni, abbiamo deciso di naufragare.
DYING MUSES Giunti a Calenzano direttamente dal Lazio, i Dying Muses sono un giovane gruppo heavy. Il gruppo offre una buona prova, anche se non è esente da alcuni errori di natura tecnica. I pezzi scorrono bene, e in particolare mi riferisco a Muses’ Rebirth, anche se consiglio al gruppo di curare maggiormente l’impianto sonoro. In alcuni punti, ad esempio, la voce di Marco Romano sovrastava un po’ troppo e interferiva con quella di Spampinato, e la chitarra troppe volte risultava svuotata di frequenze basse e medie, andando a inficiare in maniera negativa in termini di potenza all’interno del sound generale. In ogni caso, questi sono solo piccoli passi in avanti che il gruppo deve compiere nel proprio processo di crescita, ed è comunque da sottolineare, come ho già detto in precedenza, il valore dei pezzi, capaci di coinvolgere l’ascoltatore e di intrattenerlo a dovere.
SETLIST DYING MUSES 1. Zombies 2. Like a Gleam 3. Muses’ Rebirth 4. Rock ‘n Love 5. The Persians’ March
FOG Descriverei la prova degli spezzini Fog come un’immensa montagna, più che come una fumosa illusione che ci impedisce lo sguardo verso l’orizzonte. Fautori di un death metal complesso, tecnico e veloce, il gruppo offre una ventata di violenza e di perversione ai pochissimi spettatori presenti. Innanzitutto vanno i complimenti a Mirko, chitarrista per la serata, che in poco più di due settimane è riuscito a inserirsi in un contesto complesso con pieno merito. Usciti da poco con il loro primo full-length, Mors Atra, il gruppo ne promuove appieno le immaginifiche melodie e la caotica bellezza nella serata toscana. Trascinati dai salti di un istrionico Guariglia e, soprattutto, dalla voce possente di Perfigli, ammanta e rinchiude il locale in una nera atra di morte. Anche qui, i pezzi girano bene, forse di quando in quando, almeno a mio personalissimo gusto personale, ripetitivi in alcune soluzioni compositive, ma ancora una volta ci ritroviamo di fronte al nulla in quanto a partecipazione che ha trasformato una piacevole serata in un concerto per pochi intimi.
SETLIST FOG 1. Mass Hysteria 2. Infecting the Weak 3. The Sick Part of Your Brain 4. Avid 5. Mors Atra
ADIMIRON Devo ammettere, fin da subito, che questo gruppo mi ha sorpreso. Quello che avevo ascoltato in preparazione alla serata non mi aveva né coinvolto né convinto. L’influenza dei Gojira, infatti, mi sembrava troppo netta e definita all’interno del complesso architettonico alla base dei brani. Tuttavia, in quei brevi ascolti (ahimè!), mi ero perso la vena di personalità che, così chiara e definita, scorre negli stessi e li alimenta a vita nuova, annebbiando così la mia capacità di giudizio. Di fronte alla prova live, sono rimasto letteralmente basito e, con molta soddisfazione, posso affermare quanto il mio primo giudizio fosse distante dalla verità. I pezzi attraversano l’ascoltatore, lo avvolgono tra le proprie spire e lo cullano in un continuo mutamento ritmico/melodico che, tuttavia, invece di confondere, ci trascina e percuote. Le chitarre di Castelli e Aurizzi s’intrecciano con ferocia, tessendo l’ordito caotico e ordinato dell’armonia, mentre la ritmica della Nappo e di Marragoni abbracciano il tutto. La voce acida di Spinelli si arrampica su uno stile essenziale e scevro di barrocchismi e inutili virtuosismi, consegnandoci un metal d’avanguardia ben studiato e composto.
SETLIST ADIMIRON 1. Collateral 2. Giant and the Cow 3. State of Persistence 4. Redemption 5. To Whom It May Concern 6. Liar’s Paradox 7. Furnace Creek 8. Ayahuasca
SADIST Ecco, adesso dovrebbe tacere ogni abbellimento e la mia stessa prosa dovrebbe ritrarsi, perché incapace di descrivere appieno le sensazioni provate. Ci ritroviamo di fronte a una delle grandi eccellenze musicali italiane che ha appena consegnato al pubblico un album di valore quale Hyaena. E proprio come questo sadico predatore, il gruppo genovese si fionda sul pubblico, travolgendolo e irresistibilmente trascinandolo in un maelstrom oscuro e seducente. Affogati tra le bianche onde del passato e del presente, non possiamo che rimanere storditi di fronte alla pochezza offerta, ancora una volta, da un pubblico inadeguato, in quanto a numeri, a un simile spettacolo. Interrogando le alte sfere di un intelletto provato e di un animo sconquassato fin dalle sue fondamenta dalle atmosfere e le furiose armonie di Talamanca, o dai mai banali e sempre immaginifici pattern ritmici e solistici di Marchini e Spallarossa, sul perché di un tale assenteismo, non possiamo che trovare la risposta nella pochezza culturale di un paese ormai allo sbando e con un piede nella fossa. Ogni pezzo è figlio di quella maestria tecnica e quel particolare e spettacoloso gusto estetico che ormai da più di vent’anni accompagna il gruppo genovese. Così, il concerto vola, con alti picchi, specie in corrispondenza di pezzi da Tribe o Above the Light (penso alla stessa Tribe o la conclusiva Sometimes They Come Back) e una chiacchierata con Trevor che, da perfetto anfitrione, regge i fili che governano la serata. Ma il ritorno, come si può immaginare, è amaro.
SETLIST SADIST 1. the Devil Riding the Evil Steed 2. Pachycrocuta 3. Bouki 4. The Lonely Mountain 5. 1000 Memories 6. Desert Divinities 7. The Attic and the World of Emotions 8. Esgogido 9. India 10. Perversion, lust, orgasm 11. Obsession – Compulsion 12. Tribe 13. Season in Silence 14. Tearing Away
ENCORE
15. Scavenger and Thief 16. Sometimes They Come Back
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5
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Direi che su questo non ci piove, Above the light ad esempio é un favoloso mix di aggressività ed atmosfere sinistre dovute all'apporto delle tastiere. Niente di nuovo sotto il sole sia chiaro,ma l'effetto é più che ottimo |
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4
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con zanna alla voce erano grandi.poi con sto trevor qui ho lasciato perdere |
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3
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Porca merda. Che amarezza. |
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2
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li ho scoperti tardi, quindi non ho visto/vissuto quanto detto da neilpower, però tutte le volte che li ho visti dal vivo in questi anni (4-5 volte) mi sono sempre piaciuti, anche dal punto di vista professionale, così come mi sono piaciuti gli utlimi album (anche se, secondo me, non sono capolavori come Above the light e Tribe) |
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1
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I Sadist per me erano uno dei gruppi fondamentali a livello mondiale all'epoca dei primi 3 album, ero totalmente dipendente dalla loro musica e credo di averli visti tra black screams e crust una dozzina di volte live. Credo però che con lego e le date di supporto ad esso si siano giocati la carriera. Oltre alla bruttezza di quell'album mi ricordo di averli visti alcune volte in quel periodo e non mi sono più ripreso...il cantante che per presentare i brani di Above e Tribe diceva "li suoniamo perché piacciono a voi che non capite un cazzo, ma a noi fanno cagare", oppure nelle parti atmosferiche si metteva a ridere dicendo cose tipo "oh, che paura!!!"...per non parlare poi dell'esecuzione. So che addirittura volevano fare un album all'epoca con riarrangiamenti nu metal dei brani storici che per fortuna non hanno mai concluso. No, mi dispiace, ma per me restano un gruppo patetico ora come ora, ritornati a suonare un genere che probabilmente non gli interessa solo perché con l'altra spazzatura che avevano provato a fare non se li è cagati nessuno. |
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