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Halestorm - Into the Wild Life
14/11/2017
( 2033 letture )
L’hard rock, così come il rock stesso, è morto. Nell’ultima decade si è sentito dire molto spesso questa frase e, dopo un lunghissimo periodo dove è riuscito a ritagliarsi un posto speciale nella storia della musica, sembra davvero che l’hard rock stia vivendo come un fantasma di sé stesso, destinato al lento ed inesorabile declino. Ma è davvero così? Se questa domanda venisse fatta ad alcuni agguerriti, seppur non più molti, gruppi del giorno d’oggi, la risposta sarebbe categoricamente no. Uno di questi casi è sicuramente quello degli Halestorm, con l’h davanti, che sono riusciti negli ultimi anni ad ergersi come uno degli ultimi baluardi dell’hard rock, con l’obiettivo di portare avanti l’essenza ribelle ed "In Your Face " che lo ha sempre contraddistinto dalle altre realtà musicali. Il compito non è semplice, se consideriamo che la sua epoca d’oro sembra aver esaurito la vena creativa già molto tempo fa, ma la grinta e la fame di rock n’roll della band sembra essere talmente genuina da voler impedire ad ogni costo il definitivo tracollo di un genere che già agli albori era molto più di giacche in pelle, guanti senza dita e cinturoni borchiati.

Dopo il debutto omonimo, che fece irruzione nel mercato discografico come il super inflazionato fulmine a ciel sereno, la band riesce a bissare il loro successo con un seguito al fulmicotone come The Strange Case of..., talmente convincente da poter essere considerato tutt’oggi come la loro miglior release. Ciò li ha lanciati tra i nomi del massimo circuito regalando loro la notorietà a cui ambivano, anche se regalato non è forse il termine più adatto, dal momento che la band trascinata dall’energica frontowman Lzzy Hale, oltre ad impegnarsi durante il lavoro in studio svolge un’attivita frenetica sul fronte live senza mai accusare colpi.
Gli Halestorm giungono così alla loro terza fatica, che pur presentandosi come un lavoro più ragionato non perde comunque una stilla di quello spirito selvaggio che li ha contraddistinti finora e di cui si fa manifesto già dal titolo. Ciò si può percepire già dalla roboante Scream, che assurge al ruolo di apripista ideale per introdurre l’ascoltatore alla nuova formula sonora del quartetto di Red Lion. Il mid tempo strizza l’occhio alle radio, gli effetti ci sono e si sentono, la canzone segue la scia delle produzioni moderne, ma c’è sempre quell’attitudine genuina di fondo. Stesso identico discorso vale per la successiva I Am the Fire, sebbene sia un esperimento nettamente migliore, con quell’esplosione rabbiosa da metà canzone in poi che mette in luce le capacità della rossa frontwoman dal nome strano. Il brano è un incitamento a rimanere sé stessi nonostante il tentativo da parte del mondo di cambiare l’individuo, mentre a denunciare lo show business ed in generale il mondo degli affari ci pensa Sick Individual, introdotta da un robusto muro di chitarre e da una strofa singhiozzante. Volendo rimanere in tema di denunce, la successiva Amen dimostra il suo disappunto, eufemisticamente parlando, ai perbenisti che si affrettano a giudicare chi non segue cecamente i dettami stabiliti dalla società conformista e dalla morale. Dopo quattro schegge impazzite talmente elevate da poter essere tutte possibili singoli, una pausa ci è data dalla ballad Dear Daughter, che da molti potrebbe essere considerata la tipica ballata ruffiana ma, pur soffrendo la vicinanza della grandiosa New Modern Love, si difende molto bene, con un’atmosfera malinconica accompagnata da coro e pianoforte evocativi. Con la successiva Mayhem torna sui territori tipici del quartetto della Pennsylvania, un hard rock che spesso e volentieri si avventura nei territori dell’alternative metal e dell’heavy classico. Come suggerisce il titolo sembra scritta apposta per scatenare il caos durante le esibizioni live e spingere tutti i presenti ad un headbanging collettivo, o almeno lo sarebbe stato prima che Lzzy Hale si tagliasse i capelli.
Apocalyptic è un inno anthemico, talmente radiofonico che se sostituissimo la voce dietro il microfono potrebbe essere tranquillamente una canzone dei Nickelback. Una di quelle belle, sia chiaro, dal momento che il brano avvolge sia durante la strofa sia nel ritornello, ma è in grado di dare un’inaspettata scossa adrenalinica durante il break, che mette finalmente in mostra l’abilità alla batteria di Arejay Hale, forse il più preparato a livello tecnico oltre ad essere il co-fondatore del gruppo, che prende il nome proprio dai due fratelli.
L’ultima ballad anticipa il brano di chiusura, I Like It Heavy, sorprendente sia perché sembra provenire direttamente dal repertorio dell’hard rock più classico sia per il titolo che lascia spazio a molte interpretazioni.

Tredici canzoni, più due bonus per la deluxe edition, tutte di buon spessore, e sebbene manchi il capolavoro da mandare ai posteri sapranno come farsi ascoltare più e più volte senza annoiare, con l’aggiunta di non presentare nessun passo falso grave. Certo rimarrà per molti la sensazione di non aver fatto particolari passi in avanti, ma questo è dovuto più che altro alle aspettative create attorno al nome dell’artista, non alla qualità effettiva dei brani. Il valore complessivo dell’album si assesta bene o male sullo stesso livello dei precedenti, mantenendo il risultato invariato, con delle canzoni che fanno presa subito già dal primo ascolto grazie al loro appeal diretto ed orecchiabile. Non si tratta però di una svolta commerciale del gruppo, bensì di uno step successivo della loro proposta, arricchendo il loro bagaglio compositivo senza perderne però il fulcro centrale. In pratica, la rabbia non è accantonata ma viene utilizzata con più consapevolezza dei propri mezzi, così come chi compie un processo di maturazione senza invecchiare dentro. Il sound evolve abbastanza da non riproporre la stessa formula trita e ritrita, ma rimanendo comunque con i piedi ben piantati nelle loro radici sonore, quelle che in fin dei conti li hanno resi la band che sono oggi. Una band che ha raggiunto da poco i vent’anni d’attività, celebrati rilasciando una raccolta di cover, ma che grazie allo spirito indomabile ed all’età ancora giovane dei componenti ha ancora molto da dire.
Nati per essere selvaggi.



VOTO RECENSORE
75
VOTO LETTORI
81.85 su 7 voti [ VOTA]
wingo
Mercoledì 24 Luglio 2019, 18.03.44
1
Hard-rock moderno suonato come Dio comanda,la voce della cantante a tratti ricorda quella di pat benatar,grande rocker degli anni '80. A quando le recensioni degli altri due album della band?
INFORMAZIONI
2015
Atlantic Records
Hard Rock
Tracklist
1. Scream
2. I Am the Fire
3. Sick Individual
4. Amen
5. Dear Daughter
6. New Modern Love
7. Mayhem
8. Bad Girls World
9. Gonna Get Mine
10. The Reckoning
11. Apocalyptic
12. What Sober Couldn’t Say
13. I Like It Heavy
Line Up
Lzzy Hale (Voce)
Joe Hottinger (Chitarra, Cori)
Josh Smith (Basso, Cori)
Ariejay Hale (Batteria, Cori)
 
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