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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Porcupine Tree - In Absentia
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( 15048 letture )
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I RETROSCENA Ha venduto il triplo di ogni disco precedentemente uscito sotto il monicker Porcupine Tree, superando le 100.000 unità. È considerato l’album di rottura, per via di una musicalità completamente differente dai precedenti, è stato l’apriporta di un nuovo cammino compositivo, uno spostamento verso lidi puramente metal con conseguente perdita di identità. È stato accompagnato dalla scelta di accasarsi alla Lava, una major con ambizioni da classifica. Ha rappresentato il risultato di una metamorfosi, avvenuta grazie ad alcuni incontri particolari, uno di questi durante il tour di Lightbulb Sun, che ha visto come protagonisti Steven Wilson ed il musicista israeliano Aviv Geffen; da lì a poco sarebbero nati i Blackfield con la conseguente nascita di nuovi stimoli. Il cambio di batterista, l’ingresso di Gavin Harrison al posto di Maitland, ha portato i desideri metal a radicarsi ancora di più nella mente del leader. Sopra ogni cosa, sopra ogni avvenimento occorso in quegl’anni alla band britannica, c’è stato l’incontro dell’Opeth tipo, un amore a primo ascolto e la nascita di una delle coppie più ambigue degli ultimi decenni in campo musicale, la premiata ditta Åkerfeld / Wilson. Il tutto è adornato, da una copertina bianca e blu ambigua e criptica, come i migliori narratori hanno tentato da generazioni, così criptica che avvicinarsi al mondo che ti si spalanca una volta premuto il pulsante play è ambizione allo stato puro. Tutto questo, più semplicemente, è In Absentia.
IN ASSENZA Il tutto è legato ad alcuni dei testi. Si tratta di persone ai margini, ai margini dell'umanità e della società. Ho un interesse per i serial killer, per i pedofili e per che picchia le mogli... non per quello che hanno fatto, ma per la psicologia del perché: cosa li ha portati a diventare scardinati e contorti? Perché sono in grado di entrare in empatia? "In Absentia" è una sorta di metafora - c'è qualcosa che manca, un buco nero, un cancro nella loro anima. È un periodo di assenza nell'anima. (Steven Wilson riferendosi al titolo durante un’intervista).
Anche se non si può parlare di concept album in senso stretto, come detto dall’autore, si può comunque riscontrare un filo rosso che abbraccia tutto il disco. Dare così tanta importanza ai testi in una composizione come questa è fondamentale, senza di questi la musica proposta muterebbe il suo intento verso l’ascoltatore. Le atmosfere proposte dai Porcupine Tree non si sono mai prestate a ritornelli semplici, sensazioni gioiose e scanzonate, passeggiate sulla spiaggia d’estate. C’è sofferenza, angoscia, desiderio di perdersi nell’oblio interiore dell’uomo. Esiste una costante che abbraccia la vita, si chiama dolore: questo non abbandonerà mai nessuno, prima o poi legherà le vite di tutti noi, accomunandoci e facendoci sentire vicini, a tratti conviventi di una entità più grande di noi. Ciò che si percepisce ad ogni album del "porcospino" sta tutto in questo semplice concetto, cioè nell’amara accettazione che accompagna la vita dell’uomo quando è soggetto a dolore fisico e ancora di più a quello morale e nella sua narrazione con note tanto eteree quanto taglienti. La presa di coscienza, riuscire a comprendere tutto questo non è facile, ma l’obbiettivo è lì a portata di riff e non lo sbaglierà per nulla al mondo: questo dev’essere passato nella mente di Wilson durante la stesura dei brani. L’aver lavorato pochi mesi prima a Blackwater Park ha influito enormemente sul risultato finale, al punto che a mio avviso non esisterebbe nessun In Absentia senza l’esperienza con gli Opeth. Meglio dire che non esisterebbero queste canzoni, poiché il concept alla base del tutto era già stato preventivato tempo addietro. Potrebbe essere visto come il vero punto di rottura tra passato e presente, un ritorno al futuro in versione musicale. Le coordinate che nel precedente Lightbulb Sun erano state solamente sfiorate ora vengono prese e maltrattate. Il metal si sente, si respira e il tutto è aggravato da chitarre violente, da un batterista dalla tecnica cristallina e soprattutto da un’ispirazione che altrimenti avrebbe rischiato di accomodarsi, piegando il fianco, qualora non avesse avuto le molle giuste al momento giusto sui fianchi per il balzo finale. Non esistono canzoni particolari da segnalare, non esistono momenti, bisogna prendere il pacchetto e goderselo appieno; tra le 12 tracce dell’edizione standard risulta ostico trovarne una che possa essere definita filler. Solo i gusti personali riescono a far provare emozioni contrastanti durante i sessantotto minuti e venti secondi di durata del disco; scegliere Trains piuttosto che The Sound of Muzak a dispetto del singolo d’apertura Strip the Soul è difficilissimo. Gli attimi che si susseguono sono anacronistici, rimandano ad altri tempi ma, rivisti con gli occhi di oggi, cambiano pelle giorno dopo giorno, come se fossero in costante e perenne mutazione. Si può facilmente passare da un ritornello orecchiabile, di quelli che sotto la doccia ricanti storpiando le parole, a pure sfuriate di doppia cassa dove i tecnicismi non sono mai fini a se stessi. La semplicità che porta un ascoltatore neofita a sdoganare il tutto come canzonette qualunque (dico questo per esperienza vissuta), taglia le gambe a chi merita di apprezzare queste sonorità e chi preferisce rimanere nella massa dei silenti. Logico, i riff sono quanto di più banale si possa trovare nel mondo del prog, il "ma" si nasconde dietro l’angolo. Il "ma" in questo caso è l’ammettere la "banalità" di passaggi chiave combinata con la meticolosità, la perizia chirurgica nella scelta dello stacco, della ritmica ed anche un singolo cambio tra acustico e distorto è uno dei marchi di fabbrica di In Absentia; la genialità diventa alla portata di tutti, lasciando interdetti, dando vita all’espressione in forma canzone di un’onirica catarsi. La scelta è stata coraggiosa: provenire da un passato fatto di elogi a scena aperta, con un pubblico affezionato e dedito a sonorità poco inclini a passaggi superficiali, poteva essere l’anticamera per una comoda permanenza nei sobborghi del prog. Prendere l’asticella e portarla più in alto è un atto che in pochi compiono e solo i migliori riescono in questo intento: la volontà deve vincere sula paura di precipitare verso il fallimento. Probabilmente si arriva alla fine stanchi, emotivamente provati per via dei testi scomodi e duri. Probabilmente ci si potrebbe (anche solo lievemente) identificare con una delle storie di serial killer raccontate, iniziando a farsi qualche domanda. Probabilmente, come per ogni grande ispirazione, si può anche soffrire; l’arte è sofferenza e qui dentro e ne trova a iosa, la sensazione di vuoto prevale ed i treni scorrono di fronte, solitari, lasciando percepire la solitudine che regna dietro la maschera di ognuno di noi. Sicuramente non si rimane indifferenti.
LA SENTENZA FINALE Non ho parlato di musica, piuttosto di stati d’animo, ho scelto questo taglio per comprendere ed accettare una volta per tutte che In Absentia è un gioiello da assaporare in solitaria, guardando dentro se stessi. Non è un disco estivo, da mettere nello stereo con gli amici mentre si va ad n concerto. Contiene musica che fa riflettere, un’introspezione pura volta a porre quesiti dentro ognuno di noi. Chi non abbia mai ascoltato i Porcupine Tree potrebbe benissimo partire da qui, avvicinandosi piano piano al loro capolavoro, quel Fear Of A Blank Planet arrivato cinque anni più tardi. Un giudizio come quello espresso, estremamente positivo, per qualcosa che fa soffrire e fa cadere in un vortice di pensieri senza fine sembrerebbe paradossale, ma questa è la dura verità. Provate a fare una conta dei momenti di felicità (sempre se esistano) e di quelli in cui avete provato un dolore lancinante: avrete un mancamento, avrete assenza.
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27
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"non è un disco estivo..."
Io che ascolto In Absentia in spiaggia alle 4 di pomeriggio ad agosto 🤘😎
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Ondarock diede un buon 5,5 (!) come votazione della recensione di In Absentia... |
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100 CUM LAUDE - Meraviglia tra le loro Meraviglie |
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Quoto Jericho, per me il loro miglior lavoro. |
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Fear Of a Blank Planet sarà anche il loro capolavoro, ma questo gli si avvicina molto più di quanto si possa immaginare. Da ascoltare almeno una volta nella vita. Voto troppo basso, meriterebbe almeno un 93 |
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Votazione troppo bassa pere uno dei disci migliori del neoprogressive. |
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Oggi sto riscoprendo questo enorme capolavoro. Dio mio che gran disco!!! Era da tantissimo che l'avevo abbandonato, solo ora mi sono reso conto dell'errore che feci allora. |
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Concordo con Undertow:triade di altissimo livello, dove IA ha aperto una nuova strada poi affinata e rimaneggiata verso la perfezione. Gruppo per il quale è d'obbligo l'ascolto in cuffia!! |
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19
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La tripletta In Absentia-Deadwing-Fear of a Blank Planet è il periodo apice de PT. 3 capolavori uno di seguito all'altro, tanto che è difficile eleggere il migliore. Per me è Deadwing, ma so di andare controcorrente. Comunque, In Absentia assolutamente over 90. |
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Il suono si indurisce sensibilmente anche se alla fine i pezzi che preferisco sono Heart attack in a..., la ballata Collapse the light e 3 degne del loro fulgido passato. |
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Davvero complimenti ad Andrea Poletti per l'ottima recensione, anche se io sono del parere che quest'album un 90 bello pieno se lo merita. Che dire ai Porcupine Tree? Immensi. |
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95, ma il successivo gli è superiore! |
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Ascoltato recentemente, il mio primo dei PT e l'ho trovato suonato alla grande, pulito, elegante, espressivo ma nonostante questo anche molto metallico. Un disco di una band in grandissima forma, questo è indubbio. Mi è piaciuto molto, voto 85. |
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Apri i tuoi occhi ora Ascoltami fino alla fine, prima che perda la testaho aspettato per ore lascia che il fiume scorra, senti il mio gomitolo che si scioglie - Sorridimi per favore Conta la quiete e guarda il mio respiro lento - che mi carica Entra nella mia testa e falla vedere palpebre di gravità... palpebre di gravità si chiudono Toccando la tua pelle morbida le mie mani scivolano giù per trovare i tuoi fianchi - ho aspettato per ore lascia che il fiume scorra,senti la mia spirale rilassarsi vai al confine nuota gli castani occhi che dormono sono diventati ciechi palpebre di gravità scendono vieni amore giovane con le tue braccia dorate, così posso svegliarla - c'è una volontà che brillerà nel buio........ HTEPO |
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Un disco magico, niente da dire. |
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Il disco è straordinario (Gravity Eyelids è fantastica, come tutte le altre canzoni, del resto) e mi piace tantissimo, ma gli preferisco Stupid Dream. VOTO 91 |
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vado controcorrente e, da grande amante dei PT lungo tutto l'arco della loro carriera, trovo questo In Absentia una delle loro prove più altalenanti. l'ingresso di una marcata componente metal altera gli equilibri compositivi, ed infatti a brillare sono le canzoni che con il metal hanno meno a che fare (Trains, Heartattack In A Layby, Collapse The Light e quel capolavoro di geometria ritmica che è The Sound Of Muzak). intendiamoci, il disco resta estremamente piacevole, ed anche quando la scrittura non è al top Wilson e compagni si dimostrano intriganti, ma il capolavoro del periodo metal resta senza dubbio Fear Of A Blank Planet. Gavin Harrison invece è allucinante lungo tutto l'arco del disco |
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10
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Gran disco è dire poco! |
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Per me questo è il loro più bel disco. Voto 96 |
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Poco da aggiungere, un album emozionante come pochi e, aggiungo tra parentesi, anche un'ottima compagnia per chi deve affrontare lunghi viaggi. |
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6
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Condivido a pieno il commento di waste. Questo certamente è un ottimo prodotto. JimiTG |
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5
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Uno dei pià grandi dischi del Rock moderno. Penso che non sia perfetto come Stupid Dream (secondo me il loro migliore) ma contiene dei capolavori: il riff di Blackest Eyes è uno dei più esaltanti che si possano sentire, The Sound of Muzak ha un ritmo irresistibile, Collapse the Light Into Earth fa emozionare come quasi nessun altro pezzo al mondo e poi Trains... beh, non c'è nemmeno bisogno di commentare. 95 |
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4
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Bella recensione , un album veramente favoloso , suonato molto bene , con delle ottime atmosfere , anche per me è il loro album più ispirato , comunque anche Fear of a Blank Planet, mi piace parecchio. Insomma una band che nel loro genere merita , secondo me . |
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3
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Per me il capolavoro dei PT è fear of a blank planet, questo lo segue a ruota! Discone! |
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2
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Molto bello, io non sono un grande fan del prog-rock ma questo disco spacca a cominciare dall'ottimo guitar-work. Il loro migliore anche per me. |
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1
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Il mio preferito in assoluto di tutta la discografia de PT in gradi di rivaleggiare con i mitici album prog dei seventies ed il che e' tutto dire |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Blackest Eyes 2. Trains 3. Lips Of Ashes 4. The Sound Of Muzak 5. Gravity Eyelids 6. Wedding Nails 7. Prodigal 8. 3 9. The Creator Has A Mastertape 10. Heartattack In A Layby 11. Strip The Soul 12 Collapse the Light Into Earth
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Line Up
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Steven Wilson (Voce, Chitarra, Chitarra Acustica, Pianoforte) Richard Barbieri (Sintetizzatore, Hammond, Mellotron, Organo) Colin Edwin (Basso) Gavin Harrison (Batteria)
Musicisti Ospiti: Aviv Geffen (Voce su tracce 4 e 7) John Wesley (Voce su tracce 1, 4, 7, chitarra su traccia 1)
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