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GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE - L'analisi del libro di Claudio Tedesco
12/02/2022 (1408 letture)
Pubblicato come prima edizione nel 2011, Grunge – Il Rock dalle strade di Seattle è stato poi riveduto, ampliato e aggiornato dall’autore, Claudio Todesco, che ne ha fornito una ultima versione nel 2017, ristampata poi fino al 2020, giungendo quindi forse alla versione definitiva di quella che è un’opera bella, ambiziosa e importante.

UNA CITTA’, UNA STORIA
Il presupposto su cui si fonda il libro è il viaggio compiuto dall’autore nella capitale dello Stato di Washington. Da vero e proprio turista, Todesco non si limita infatti a raccontare la storia del movimento grunge, raccogliendo materiale, tra libri, interviste, video e quanto disponibile tra internet e pubblicazioni varie, ma decide di recarsi fisicamente a Seattle, girando per la città in cerca dei luoghi e dell’identità di una città speciale. L’ambizione dell’autore, insomma, non è solo narrare una vicenda artistica, dai suoi albori alla sua realtà attuale, ma quella di immergersi e quindi immergerci nell’humus culturale, storico e sociale che ha dato vita al movimento grunge, spiegandone quindi l’identità, il perché, la natura, i protagonisti e i posti nei quali la storia si è sviluppata, partendo dalla città e dai suoi dintorni. E’ così che i primi passi che compiamo sono proprio quelli di immedesimazione nella particolare condizione geografica della città, tra mare, laghi, montagne impervie e in quei nomi diventati mitici, nel frattempo: il Puget Sound, il Monte Rainier e le cittadine che gravitano attorno a Seattle, come Tacoma, Olympia, Ellensburg, Aberdeen. Todesco parte dalla piazza nella quale è ospitato il monumento al capo indiano Seattle, che ha dato il nome alla città e ci racconta la sua fondazione, lo sviluppo urbano e i protagonisti di quegli anni pioneristici. Da lì, cominciamo a immergerci nella realtà economica e culturale di una città che si caratterizza fin da subito per la propria lontananza fisica dalle altre metropoli, dal suo isolamento e dal particolare rapporto con la meravigliosa e totalizzante natura selvaggia che la circorda. Un isolamento culturale e uno sviluppo economico basato sul duro lavoro che creano una mentalità: fiera e indipendente, affatto impressionata dai venti che provengono da altrove e determinata a essere diversa, a fare di questa lontananza un tratto di originalità e orgoglio, che porta a non subire e non percepire come tale la superiorità della cultura modaiola, musicale, teatrale, artistica ed economica che domina nel resto del Paese. Una mentalità che basandosi su lavori duri come quello del legname e della pesca, mantiene i piedi per terra e detesta la pretenziosita', ma non rinuncia all’orgoglio locale di voler essere comunque una metropoli a tutti gli effetti, con un teatro di dimensioni e ambizioni paragonabili a quelle di Chicago, ad esempio, con una dimensione di città importante e rigogliosa. Tutto questo ci viene raccontato strada dopo strada, quartiere dopo quartiere, mentre piano piano il quadro si allarga e cominciano a fare capolino i luoghi e i protagonisti dell’epopea grunge, che Todesco visita e intervista, facendosi poi presentare agli altri e quindi allargando sempre più il giro di interviste e luoghi visitati, finché tutti o quasi vengono citati ed esaminati.
Il racconto in effetti non segue un ordine strettamente cronologico, anche se alla fine più o meno il percorso è abbastanza lineare, ma l’autore dopo una introduzione alla città e i primi contatti con le persone intervistate, torna indietro e ci narra del particolare rapporto di Jimi Hendrix con la propria patria, portandoci dove è nato e vissuto e alla sua scuola, per poi tornare ancora più indietro, allineandosi a quello che è il racconto di un altro fondamentale libro su Seattle e sul grunge, ovverosia Grunge Is Dead di Greg Pato. Anche quella monumentale opera corale, nel raccontare la storia del movimento, non può fare a meno di partire dalla primeva scena musicale rock cittadina, quella degli anni sessanta, con The Wailers, Sonics, The Kingsmen, Blue Notes e tutti gli altri complessi che crearono il primo Seattle sound, con la celeberrima Louie Louie a costituire il primo vero inno musicale cittadino e la prima attestazione di fiera diversità della scena musicale locale. Un movimento che ruotava attorno ad alcuni locali cittadini, tra i quali il celeberrimo Spanish Castle, cantato proprio da Hendrix e che anche a causa delle improvvide decisioni delle istituzioni politiche locali, altre grandi protagoniste della vicenda, finì per collassare, portando la scena locale al silenzio per oltre vent’anni. Todesco ci parla naturalmente del difficile rapporto con quella che era diventata l’unica grande industria cittadina, la Boeing, che rischiò di portare la città alla rovina con se stessa, della grande Esposizione Universale del 1962, che aprì finalmente la città al mondo e portò con se la costruzione del simbolo cittadino, il grattacielo Space Needle e poi la monorotaia.

IL GRUNGE: LA SCENA, I LUOGHI E I PROTAGONISTI
In mezzo a questo grande affresco, ecco comunque che prende piano piano vita anche il racconto della nascita della scena grunge e il racconto dei luoghi e dei protagonisti di quella epopea, che erroneamente si reduce spesso a una fiammata durata pochi anni e che in realtà ha una lunga incubazione, iniziata negli anni ottanta, per giungere quindi al Big Bang nei primi anni novanta. La conseguente sovraesposizione mediatica voluta e perseguita, ma al tempo stesso osteggiata e mal gestita, finita letteralmente sotto il controllo delle case discografiche, che spolperanno l’osso fino a non lasciarne nulla, porterà alla fine della scena, alla chiusura delle caffetterie tipiche, dei locali e allo scioglimento di quasi tutti i gruppi, quelli che ce l’avevano "fatta" nel frattempo e quelli che invece erano rimasti ai margini, per poi essere risucchiati dall’onda di ritorno, fino anche alla crisi della Sub Pop. Il racconto ci parla quindi di Chris Hanzsek, DJ e produttore giunto in città nel 1983 in cerca di una scena da fondare e responsabile della creazione dei Reciprocal Studios, prima incubatrice del Seattle sound e poi organizzatore della prima compilation che portò luce sulle band locali, quella Deep Six che all’epoca fu odiata da tutti i musicisti coinvolti a causa del basso budget a disposizione e che finirà presto dimenticata, per poi essere riscoperta quando il movimento esploderà. Troppo tardi per dare il giusto merito ad Hanzsek, che aveva intuito il potenziale dietro a quelle band: Melvins, Skin Yard, Malfunkshun, Soundgarden, Green River, U-Men. E’ il turno poi del fotografo della scena, Charles Peterson, le cui foto campeggiano sui singoli e sulle copertine della prima Era e dei due della Sub Pop, Pavitt e Poneman, per arrivare all’artefice del Seattle Sound, Jack Endino e al profeta del movimento, Mark Arm, chitarrista e cantante dei Green River prima e dei Mudhoney poi, col fido Steve Turner. Da qua in avanti, ecco arrivare tutti: da Andrew Wood a Jeff Ament e Stone Gossard, da Chris Cornell a Kurt Cobain, da Tad Doyle a Van Conner degli Screaming Trees, dai Pearl Jam ai Nirvana, dai Soundgarden agli Alice in Chains, dalle Riot Grrlls di Olympia a Duff McKagan. Tutti i protagonisti vengono raccontati a partire dai luoghi di provenienza, analizzando la connessione tra le cittadine di provenienza e Seattle, tra la tragica realtà della droga e la mentalità particolare che portò la scena locale a manifestarsi come rivoluzione contro la decadente scena di Los Angeles e la falsità del mondo dello stardom, in nome di una purezza hardcore identitaria e locale, per essere poi fagocitata ed esposta da quello stesso stardom, che la svuotò e la vendette a pezzi a una nuova generazione.
Il libro chiude infine sulla Seattle odierna, su quello che è rimasto, su quello che è rinato e cambiato, sulla Microsoft, su Amazon e su Starbucks, nuovi simboli cittadini, sul Museo voluto proprio dal vicepresidente della Microsoft che in teoria doveva diventare l’esaltazione della scena musicale cittadina e che in realtà, proprio a causa della sponsorizzazione della multinazionale, finisce per essere poco amato da una città che ancora adesso rimane poco attratta dalle luci del successo e del potere economico, pur essendo diventata suo malgrado una delle capitali mondiali del capitalismo e dello sviluppo tecnologico, a un passo dalla selvaggia natura dello Stato di Washington.

IL LIBRO
Opera bella, concepita in maniera sentita e approfondita da un autore che ha evidentemente vissuto sulla propria pelle l’epoca e ha cercato di raccontarla da un punto di vista originale e mediamente molto più approfondito e “vero” di quanto compiuto normalmente, Grunge – il rock dalle strade di Seattle è un libro che appassiona e si legge scoprendo pagina dopo pagina qualcosa di nuovo e interconnesso a un quadro ampio e ben tratteggiato. Lo stile di Todesco è quello del narratore di qualità e probabilmente abbiamo tra le mani uno dei testi meglio scritti tra i tanti che hanno raccontato il grunge, oltre che uno dei più completi e interessanti. Certo la perfezione non è di questo mondo e qualcosa di quando in quando perde un po’ di definizione e lucentezza. Succede quando si vuole raccontare tutto, che inevitabilmente qualcosa risulti esaustivo e definito e qualcosa resti invece più in superficie, scollegato o, invece, rifletta l’idea/ideologia di fondo dello scrittore, che naturalmente offre una sua visione al racconto e non si limita a riportare i fatti. E’ abbastanza chiaro che, almeno per quanto emerge dal racconto, le simpatie di Todesco vadano quasi tutte verso le band originarie, quelle che hanno creato il Seattle sound e che poi sono state quasi tutte dimenticate: Green River, Melvins, Mudhoney, Tad e via discorrendo. Certo scoprire che oggi Steve Turner e Mark Arm hanno dei lavori normali, per ironia della sorte proprio alla Sub Pop, risorta dopo una crisi che sembrava irreversibile, non fa piacere, ma è nella natura stessa del loro approccio alla musica, che così bene ci viene raccontato. Allo stesso modo, dispiace che band come i Soundgarden e la figura di Chris Cornell vengano raccontate in un certo modo, quasi come fossero aliene e lontane dall’identità cittadina, quasi un "caso" a parte, quando di quella scena hanno fatto parte fin dal primo giorno, quasi colpevoli di aver avuto successo e di averlo voluto. In tal senso, la contrapposizione narrativa tra Andrew Wood e Cornell, compagni di stanza, uno destinato alla morte prematura, l’altro al successo e però comunque a una tragica scomparsa, resta un nodo non risolto e forse tratteggiato in maniera fin troppo dura nei confronti di Cornell, accusato non troppo velatamente di aver approfittato della propria avvenenza fisica e del proprio charisma per far colpo e diventare una star, salvo poi pentirsi della piega presa dagli eventi. Come colpevoli alla fine risultano i Nirvana, mentre l’apologia accoglie i Pearl Jam, in fuga proprio dal successo, anche se le sottili stilettate ai “troppo professionisti” Ament e Gossard non passano inosservate. Come non passa inosservato il trattamento riservato agli Alice in Chains, colpevoli di aver trasmesso un’immagine che è diventata la maledizione della scena locale, quella dei drogati depressi, marchio che si è esteso a tutte le band locali loro malgrado. Anche in questo caso, l’autore non riesce a mascherare un proprio giudizio sul gruppo, nato da un humus musicale diverso dagli altri immersi nella mentalità hardcore, che si manifesta nel quasi totale silenzio che lo tiene quasi sempre ai margini della narrazione, come se i quattro musicisti della formazione originaria non avessero fatto parte attiva della scena dal primo giorno, per poi lasciargli dei paragrafi conclusivi che si chiudono di fatto con la commemorazione a Layne Staley, ignorando totalmente il ritorno e la connessione con Seattle che, di fatto, non si è mai sciolta.
Un silenzio che accoglie peraltro tutta l’altra parte della scena musicale cittadina, ancora oggi totalmente ignorata dai media: parliamo ovviamente della scena metal locale. Band di totale valore come Queensryche, Metal Church, Fifth Angel, The Mentors, TKO, Prowler, Q5, Forced Entry, Sanctuary, Culprit, Bloodgood, Myth, Heir Apparent, The Accüsed, Rottweiller e Nevermore, solo per citare forse quelle più famose, restano totalmente ignorate e non cantate, come se non combaciando col quadro di “Seattle città del grunge”, non riuscissero a trovare un posto nella narrazione musicale generale e venissero di conseguenza considerate avulse al contesto cittadino che, in questo caso, costituirebbe non un humus particolare e fecondo, ma un puro accidente di casualità, senza valore. Una sciocchezza, evidentemente, dato che lo spazio fisico e musicale era necessariamente lo stesso, anche se i circuiti diversi. Questa non è di per sé una colpa da imputare a Todesco, d’altra parte il titolo del libro resta Grunge, ma costituisce a oggi una curiosa mancanza che apparentemente nessuno vuole colmare.
Al netto di queste considerazioni, che non vogliono togliere nulla a un racconto così approfondito e vissuto intimamente dall’autore, Grunge – il rock dalle strade di Seattle è una di quelle pubblicazioni che fanno la differenza, che hanno davvero qualcosa da raccontare e lo fanno a un livello superiore, sia per qualità dello scritto, che per contenuto. Assolutamente consigliato a tutti, in primis a coloro che su quella scena ancora oggi hanno un pregiudizio. Probabilmente, non cambieranno idea, ma almeno sapranno di cosa parlano.

::: ::: ::: RIFERIMENTI ::: ::: :::
AUTORE: Claudio Todesco
TITOLO: Grunge – Il rock dalle strade di Seattle
PRIMA EDIZIONE: Luglio 2017
EDITORE:Arcana
COPERTINA: Flessibile
PAGINE: 255
ISBN-13: 978-8862315210
PREZZO: € 16,50



blackiesan74
Lunedì 14 Marzo 2022, 10.49.38
21
L'ho comprato e ho iniziato a leggerlo, le descrizioni riguardanti l'ambiente e il paesaggio mi stanno facendo venire voglia di andare a Seattle. Negli USA sono stato ormai 14 anni fa e visitai Boston, dalle descrizioni fatte nel libro mi sono fatto l'idea che le 2 città non siano molto diverse (forse Boston è un po' più grande, ma in quanto a qualità della vita non ha rivali almeno sulla costa Est)
Evil never dies
Domenica 20 Febbraio 2022, 15.25.53
20
Comprato anni fa. Bello.
Rob Fleming
Domenica 20 Febbraio 2022, 8.15.59
19
Libro che mi intriga parecchio, perché con quella scena io ci sono letteralmente cresciuto. Erano gli anni dell'università e la qualità dei dischi era elevatissima. La frase menzionata dall'amico @No Fun la cito spesso anch'io. È magnifica come magnifico è l'attore che la recita nell'altrettanto magnifico film. Però anch'io non la condivido. Quelli sono stati gli anni migliori e più spensierati che ho vissuto. E quella colonna sonora non mi ha impedito un solo secondo di divertirmi. E anche molto
No Fun
Sabato 19 Febbraio 2022, 11.27.44
18
...sono stati QUELLI che il grunge... (serve un caffè)
No Fun
Sabato 19 Febbraio 2022, 11.12.24
17
Grande Skull! A proposito di viaggi in America, un mio amico invece ha optato per la Louisiana, perché, testuali parole "voglio vedere dove Phil Anselmo alleva i maiali". Sul libro, leggendo l'inizio della rece mi interessava parecchio, gli ultimi due paragrafi hanno un po' raffreddato gli entusiasmi, presentare la scena rock di Seattle, perlomeno quella che ha dato vita al grunge, senza nominare gruppi come The Mentors ai quali secondo me i Melvins devono abbastanza, o gli Accüsed, "compagni di viaggio" di diversi "grunger" mi sembra un po' limitativo. Ma solo un po'. Su grunge e depressione, sono convinto che gli unici depressi in quel periodo sono stato quelli che il grunge lo hanno subito, gruppi e fan che si sono sentiti seppelliti dalla nuova ondata, come ad esempio il personaggio di Mickey Rourke nel magnifico The Wrestler che dice "poi è arrivato quel finocchio di Kurt Cobain e ha rovinato tutto, noi volevamo solo divertirci" Beh, mi dispiace, ma io mi sono divertito un sacco in quel periodo.
fasanez
Venerdì 18 Febbraio 2022, 23.37.17
16
Non posso che quotare Shock. Ricordo pure una serata a Firenze dove beccai una studentessa di Seattle che conosceva Cobain e mi raccontò diversi aneddoti legati al suo tumultuoso carattere. E io che pensavo "cosa mi tocca sentire per......."
Salvatore
Venerdì 18 Febbraio 2022, 20.00.35
15
Comunque, credo che a distanza di molti anni esistano ancora nei confronti della scena di Seattle dei forti pregiudizi, che hanno contribuito peraltro, fin da allora, a creare un’immagine distorta del movimento, legato alla presunta depressione degli artisti più rappresentativi e alla negatività dei messaggi da essi veicolati. In ambito metal, questa insofferenza nei confronti di quel fenomeno musicale è stato, a mio avviso, palese, esagerata e, il più delle volte, sorretta da motivazioni risibili, che tradivano e lasciavano trasparire comunque un’avversione che era, e rimane fondamentalmente, di tipo ideologico, e che nasce da un conformismo musicale di bandiera (tipico di alcuni metallari). Proprio in questi giorni ho avuto modo di leggere alcune dichiarazioni rilasciate da Blaze Bayley durante un’intervista, e non fanno altro che confermare la mia tesi. Innanzitutto, si sofferma superficialmente sulla contrapposizione tra metal e grunge, dimenticando (o facendo finta di non sapere) che quest’ultimo era una diretta emanazione del rock, e fornendo una descrizione di esso stereotipata, che gli consente dunque di parlare di una “differenza di valori messi in campo” dai due generi musicali. E poi, come un qualunque metallaro (conservatore e miope) dice delle inesattezze storiche, perché ad un certo punto afferma che il metal “stava sparendo”, cosa palesemente falsa, ma che rientra purtroppo in una modalità di interpretazione di certi eventi che si fonda sul vittimismo e sulla ricerca di un capro espiatorio su cui convogliare il disappunto per le trasformazioni in atto, in quegli anni, in ambito mainstream. Quindi, per concludere, dubito seriamente che taluni ascoltatori raccoglieranno l’invito fatto da Saverio a chiusura del suo articolo… penso che solo chi ha apprezzato, senza paraocchi e chiusure ideologiche, certe sonorità possa essere interessato in qualche modo alla lettura di questo libro.
Lizard
Venerdì 18 Febbraio 2022, 19.11.03
14
Eh gli episodi e i luoghi raccontati da chi c'è stato hanno tutto un altro sapore... io dagli States non sono particolarmente attratto, credo mi piacerebbe molto di più la parte naturalistica, i parchi e gli scenari, che non le città in quanto tali. Ma insomma, è ovvio che sarebbe bello fare un giro lungo l'Hollywood Boulevard a Los Angeles o nei quartieri hippie di San Francisco, nei club jazz e hardcore di New York, blues di Chicago, country di Nashville o un giro a Macon e Jacksonville a trovare i fratelli Allman e Ronnie Van Zant e gli altri Skynyrds e così via, arrivando fino a Seattle...
Tino
Venerdì 18 Febbraio 2022, 15.21.19
13
Anche a me però preferirei Miami o los Angeles
Tatore
Venerdì 18 Febbraio 2022, 14.29.51
12
Mi hai fatto venire voglia di andare negli USA
SkullBeneathTheSkin
Giovedì 17 Febbraio 2022, 16.32.21
11
A me è piaciuta moltissimo, al netto dell'impatto con gli states che sono proprio un'altra realtà a prescindere. La columbia inglese è molto verde (il canada è ad un’oretta di treno) e non mancano riserve o percorsi per bikers. Muovendosi con l'auto verso i paesi vicini si vedo paesaggi tipo la cover di Boggy Depot mentre in centro non mancano i grattacieli che però non prevalgono sulle moltissime zone residenziali con villette o piccole case per noi più comuni. Ci sono i mall enormi così come villaggetti commerciali più lontani dalla città con gli spacci dei grandi marchi (Tulalip a Marysville, tappa obbligata), un mercato imperdibile e coloratissimo a Pike street dove, fra l’altro, ci sono ancora negozietti dove comprare e scambiare dischi nuovi o usati. Ovvio, la musica la fa da padrona: ci sono una marea di posti dove assistere a live show, di ogni genere e praticamente ogni giorno. Sicuro vale la pena fare un salto al Club99, nei pressi del porto, un localaccio buio dove fanno solo blues (ecco, lì è meglio NON mangiare) tanto per non rimanere sempre e solo sul grunge. Poi, Renton, a poche miglia, la città natale di un certo James Marshall... eh, quanti ricordi
Lizard
Giovedì 17 Febbraio 2022, 14.24.00
10
@Skull: consigli del genere sono sempre benvenuti francamente, pur essendo appassionato del genere da allora, non mi era mai venuto in mente di andare a Seattle. Devo dire che il libro ha aperto un po' questa prospettiva smuovendo quella curiosità che finora non si era destata. A te è piaciuta?
SkullBeneathTheSkin
Giovedì 17 Febbraio 2022, 13.46.26
9
@Lizard: ci sono stato per molti mesi e confermo ciò che dici, Seattle non ha proprio nulla di deprimente ed è certamente un posto ambito per la qualità di vita garantita sia dal moltissimo verde sia dalla presenza di grandi aziende come la Boeing o la Microsoft (ma non solo). Non è nemmeno una metropoli, essendo piuttosto piccola rispetto ad altre città degli states... il clima è spesso piovoso, questo si, il freddo invece è tranquillamente paragonabile a Torino o Milano, poco di più forse. Se interessa, passo alla segnalazione dei posti dove mangiare un buon boccone... ahahahahah!
progster78
Giovedì 17 Febbraio 2022, 12.31.18
8
In quegli anni uscirono dischi splendidi,la scena grunge l'ho sempre apprezzata anche se il contesto depressivo e di disagio giovanile dell'epoca(non che adesso sia tutto arcobaleni e unicorni) non era il massimo. Quante band grandiose! Anch'io leggero' il libro.
Galilee
Giovedì 17 Febbraio 2022, 12.03.58
7
Anche se non è il mio periodo musicale preferito lo leggerò sicuramente, appena potrò.
Lizard
Mercoledì 16 Febbraio 2022, 21.14.31
6
@Salvatore: hai colto molti aspetti che hanno attirato anche me verso questo libro, per quanto io apprezzi invece anche le biografie. Personalmente ho apprezzato la parte relativa a Chris Hanzsek e Charles Peterson, due protagonisti assoluti e dimenticati, a differenza di Jack Endino che comunque resta un'icona. Molto bello che sia andato anche ad Aberdeen ed Ellensburg, dove ha intervistato Van Conner. Le parti dedicate alla descrizione della città e alla sua storia sono molto belle e danno un senso diverso all'opera, che non una cronologia di date e nomi con qualche commento dell'autore.
Salvatore
Mercoledì 16 Febbraio 2022, 20.34.25
5
Generalmente, i libri musicali (a partire soprattutto dalle biografie) non suscitano il mio interesse e difatti, li evito accuratamente; in questo caso, però, leggendo l’articolo, mi è parso di capire che siamo distanti dalla mediocrità mista a scontatezza che caratterizza le pubblicazioni di molti giornalisti o semplici appassionati di rock/metal, per cui sono quantomeno sollevato dal fatto che si tratta con ogni probabilità di un’opera, per così dire, diversa dal solito. Il fatto stesso che l’autore si sia recato negli Stati Uniti e abbia deciso quindi, giustamente, di levare le chiappe dalla sedia, per me è un fatto molto positivo, visto che oggigiorno in molti si prendono la briga di scrivere libri servendosi principalmente del materiale offerto dal web, o spulciando tra le vecchie riviste del settore…!!! Trovo, poi, interessante la scelta di Todesco di dare maggiore risalto alle prime avvisaglie del movimento e ai relativi gruppi (tipo i Green River, Melvins, ecc.), perché per quanto opinabile è una posizione che reputo coraggiosa; gli stessi Nirvana che diventeranno negli anni ’90 il gruppo che raccoglierà i maggiori consensi, con “Bleach” avevano già messo in evidenza le loro qualità ma in contesto sonoro votato al grezzume, che ben rappresentava la loro irruenza e la loro genuinità come band. I Mother Love Bone, poi, per quanto poco conosciuti, furono una delle migliori espressioni di quella scena, prima che Gossard e Ament dessero vita ai famosissimi Pearl Jam insieme ad Eddie Vedder e Mike McCready, mentre un caso a parte è rappresentato probabilmente dagli inossidabili e bistrattati Melvins i quali, per quanto lontani dalle luci dei riflettori, hanno dato tantissimo alla musica raccogliendo, per contro, pochissimo in termini riconoscenza del pubblico.
Lizard
Mercoledì 16 Febbraio 2022, 8.36.46
4
Io trovo che leggendo il libro, non essendo mai stato di persona a Seattle, l'immagine che viene fuori non è quella di una città depressa o depressiva. Naturalmente il clima è quello che ci immaginiamo tutti, pioggia, umidità e freddo, ma sembra sia il paradiso del trekking e degli altri sport di contatto con la natura, e che pur con le dimensioni della metropoli, garantisca comunque un livello di vita piuttosto buono e meno caotico, per gli standard americani. Credo che il binomio droga e depressione sia più da collegarsi al periodo storico, che alla città in sé.
Shock
Martedì 15 Febbraio 2022, 23.45.14
3
Al massimo Seattle depressive city🤣. Avendo vissuto il periodo, no grazie, mi è bastato viverlo in diretta.
Tino
Martedì 15 Febbraio 2022, 20.44.23
2
Seattle rock city. Da appassionato del genere all'epoca sarebbe veramente da leggere
blackiesan74
Martedì 15 Febbraio 2022, 13.49.37
1
Pur avendo sempre avuto una feroce avversione per il grunge la recensione mi incuriosisce, credo lo leggerò
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12/02/2022
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GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE
L'analisi del libro di Claudio Tedesco
 
 
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