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11/05/24
NWOIBM FEST VOL VI
DISSESTO CULT, VIA DEL BARCO 7 - TIVOLI (RM)
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Dark Angel - We Have Arrived
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Autentica istituzione del thrash metal ottantiano, i leggendari Dark Angel si formano nel 1981 come Shellshock, acquistano il monicker che li ha resi grandi nel 1983 e debuttano nel 1985, dopo tre demo di rito: è così We Have Arrived a far conoscere al grande pubblico il celebre logo con le ali di pipistrello e le caustiche sonorità del quintetto a stelle e strisce, dedito a tematiche come l'horror, la depressione, la pazzia e la morte. La spinta e lo sviluppo che questa band ha conferito al movimento thrash metal è di primissimo livello, alla pari di quanto fatto dai maggiori nomi di punta del genere; il merito è ancora maggiore, se si pensa alle difficoltà con cui una band emergente si muoveva nell'underground dell'epoca, come racconterà anni dopo lo storico e chirurgico chitarrista Jim Durkin, membro fondatore e figura di spicco nella scena americana ('Non c'era quasi promozione, era tutto basato sul passaparola. Facemmo solo singoli concerti con Savage Grace, Slayer e Agent Steel e suonammo a molte feste, ma fino a 'Darkness Descends' non facemmo un vero e proprio tour'). La Metalstorm Productions, dunque, punta sulla band ma la abbandona quasi a sé stessa, e forse è proprio quest'attitudine poco propensa ad aiuti ed eccessive cure da parte delle label a rendere più coriaceo il carisma delle band di un tempo: oggi le giovani band si trovano il piatto pronto e la strada spianata dall'operato delle case discografiche, mentre una volta bisognava farsi il cosiddetto mazzo, sudare sangue di fronte a platee ardenti e sgomitare con una pletora sterminata di concorrenti di grande rilievo, molti dei quali destinati all'oblio ma potenzialmente tutti capaci di fare epoca e di valere, singolarmente, molto più di tante band contemporanee che arrivano al successo senza niente di considerevole da dire, soltanto perché costruite a tavolino dai volponi del music business.
Quello di We Have Arrived è un thrash grezzo e ancora verace, lontano dai tecnici virtuosismi di Time Does Not Heal ma anche dalla ferocia caustica di Leave Scars o Darkness Descends; è un thrash molto eccitante e vicino allo stile accattivante della Bay Area, costruito su rapidissime sfuriate ritmiche, riff taglienti e vocalizzi a tratti persino acuti. I suoni non sono eccezionali ma comunque più che accettabili, con la natura primordiale della registrazione ad immortalare la foga giovanile e la rabbia irrefrenabile dei cinque ragazzi. Eloquente è, in tal senso, l'opener e titletrack: una frustata ricca di riff insalubri e ripartenze probanti, un classico pezzo di thrash ottantiano con refrain da pugni al cielo. Talvolta il riffato è talmente grezzo da sembrare collocarsi quasi al confine col primo black/death (Welcome to the Slaughter House), mentre gli assoli al fulmicotone -per quanto non certo atonali o eccessivamente confusi- ricordano alla lontana lo stile lancinante degli Slayer. Nei solchi dell'opera, tuttavia, si avvertiva già sensibilmente la volontà di dare un minimo di strutturazione ai pezzi, come dimostrato da un brano come No Tomorrow, che prima di scatenarsi nella consueta sfuriata si districa in quasi due minuti di preambolo strumentale, sciorinando una valida serie di riff tonanti e truci melodie. Tutti i brani della scaletta sono tirati e infuocati da secche mitragliate ritmiche, contesto perfetto per vigorose maratone di headbanging: il tiro irresistibile di pezzi come Falling from the Sky o Hell's on Its Knees manifesta a pieno la forza d'urto dei Nostri, le cui chitarre imbastiscono riff elettrizzanti e pericolosi. Alla batteria non vi è ancora Gene Hoglan, ma Jack Schwartz dimostra comunque doti notevoli ed un tocco tellurico, il quale conferisce una spinta ulteriore alle varie composizioni: le sue velocità spietate e lo scrosciante utilizzo del doppio pedale (Merciless Death) creano un wall of sound davvero notevole per l'epoca, pur senza arrivare alle soglie di estremismo degli Slayer stessi o dei tedeschi della Triade. Anzi, come detto la voce di Don Doty rende il tutto molto orgasmico e affine al Bay Area-sound, con alcuni acuti addirittura riconducibili all'heavy metal classico (Hell's on Its Knees) e strutture vocali decisamente meno estreme rispetto a quelle dei dischi successivi.
Il singer se la cava più che egregiamente e la timbrica ancora da ragazzino che traspare in certi momenti del disco non è affatto un punto a suo sfavore: anzi, rende ancora più affascinante questo viaggio nel tempo, a ritroso nei lustri, alla ricerca di una polverosa cantina di qualche sudicia metropoli americana. La già citata Welcome to the Slaughter House rappresenta uno dei picchi più aggressivi del lotto, in un lavoro privo di cali o momenti di tregua: un gran merito, quello di aver composto soltanto tracce killer, pur facendo i conti con l'inesperienza e la giovane età. L'attenzione rimane altissima fino all'ultimo dei trentatre minuti -e trentatre secondi- di musica, grazie a riff sempre in grado di sorprendere e ferire i padiglioni auricolari anche in brani leggermente meno veloci degli altri, per quanto sempre dinamici e urgenti (Vendetta). La scaletta consta solo di sette pezzi, discretamente lunghi: cinque minuti, in media, a traccia, ma con ben cinque episodi ad aggirarsi attorno ai quattro e due soli pezzi capaci di spingersi rispettivamente a cinque e sei minuti e mezzo di durata. Anche questo contribuisce alla grande scorrevolezza e alla forte longevità di un disco bellissimo e di importanza storica primaria, che lancia alla grande una band destinata a scrivere importanti pagine di metal estremo, definendo fin dal secondo lavoro uno stile ancor più personale e brutale.
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11
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Esordio pazzesco per un Gruppo che avrebbe meritato molto di più a livello di successo planetario.. Album tanto \"semplice\" rispetto ai successori, quanto efficace a livello di violenza sonora.. Non concordo col Recensore, visto che è lo stesso di questo Debutto, col Voto \"basso\" dato a Leave Scars. |
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10
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Che belli questi vecchi album thrash dove la chitarra sembra un Minipimer |
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9
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I veri dark angel cominciano con il successivo |
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8
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Debutto di quella che è per me la miglior thrash band di sempre, che ancora oggi rimpiango..qui non c'è ancora Hoglan, siamo ancora all'inizio..dopo arriveranno 3 album da capogiro, uno più bello dell'altro. Anche per me è 80. |
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7
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Nonostante facciano molto di meglio gia dal successivo, questo album non mi dispiace affatto. Thrash bello grezzo e diretto..sfrontato, ancora lontano dalla tecnica futura. L'ho sempre sentito molto Show no "Mercyano". |
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6
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Mi è piaciuto subito perché fresco e immediato lo preferisco ai successivi proprio per questi motivi. |
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4
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Quello che mi piace meno del gruppo, gli altri 3 sono da paura, capolavori, questo x me è acerbo... |
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3
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Disco d'esordio mediocre,il meglio arriverà dopo |
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Dark Angel sinonimo di qualità ASSOLUTA anche meglio di tanti nomi più famosi |
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1
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qui non erano ancora estremi come sul disco successivo io ho pure il demo di quando si chiamavano shellshock ed era uno spasso sentirli oltre tutto alcune canzoni le hanno poi riutilizzate per i primi demo dei dark angel come metalhead. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. We Have Arrived 2. Merciless Death 3. Falling from the Sky 4. Welcome to the Slaughter House 5. No Tomorrow 6. Hell's on Its Knees 7. Vendetta
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Line Up
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Don Doty (Voce) Jim Durkin (Chitarra) Eric Meyer (Chitarra) Rob Yahn (Basso) Jack Schwartz (Batteria)
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RECENSIONI |
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