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26/04/24
ELECTRIC VALLEY RECORDS FEST
BLOOM, VIA EUGENIO CURIEL 39 - MEZZAGO (MB)
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17/11/2016
( 821 letture )
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Di tutti gli scenari che lo stoner ha evocato nel tempo, dai deserti lisergici alle buie foreste incantate, dai canyon assolati agli scoscesi fiumi di montagna, dallo spazio profondo alle giungle misteriose, dalle paludi alle piramidi di antiche civiltà scomparse, il meno probabile ed evocativo in assoluto parrebbe essere quello di una città industriale della Norvegia. Eppure, gli amici Tiebreaker non sembrano curarsi affatto dell’apparente contrasto tra il caldo che normalmente siamo abituati ad associare al genere e il freddo involucro di una città nordica dedita all’acciaio e al carbone. Una noncuranza che li porta agevolmente a rilasciare due album in due anni e che con il presente Death Tunes sembra elevare i ragazzi norvegesi a nuovi protagonisti assoluti della scena, quasi a voler prendere subito il trono lasciato libero dai disciolti Graveyard. Un’ambizione spavalda e senza alcuna remore, che forte di una qualità compositiva degna di nota e di una ottima produzione curata da Bjarte Rolland (Kvelertak), pone Death Tunes piuttosto in alto nella classifica delle migliori uscite di genere dell’anno che va chiudendosi.
La musica proposta dai Tiebreaker non nasce per essere innovativa, questo lo diamo per scontato visto il genere e difatti bastano pochi secondi per cogliere subito quell’inflessione blues/southern/garage/hard rock, appena velata di alternative, che molte altre band del genere hanno sfruttato per dare vita alle proprie canzoni, a partire dai Clutch, fino ai Rival Sons. Il tutto naturalmente con una distorsione terrosa e ferrigna al tempo stesso, carica di ruggine e tagliente come una lamiera arroventata. A coronare il quadro, l’ottima vocalità di Thomas Espeland Karlsen, carica di pathos e melodia, con un approccio che ricorda quello di Phil Anselmo nei Down, a dare spessore a linee melodiche riuscite e dannatamente piacevoli, nella loro ruvidità soul/blues. Con una grinta e una dinamicità notevoli, i ragazzi sparano riff su riff ponendo al centro il lavoro delle chitarre, con l’approccio di chi si sta giocando sul tavolo tutto quello che ha in mano senza temere niente e nessuno. Già l’entrata di Hell ci presenta la band al suo meglio, con Karlsen a prendere subito l’ascoltatore per mano per portarlo nel mezzo di un turbine sonoro coinvolgente dalla prima all’ultima nota, impossibile resistere ad un opener del genere. In effetti non c’è una sola canzone che non vada dritta al punto, girando attorno ai punti di forza della band, ovverosia un ottimo singer, una sezione ritmica instancabile e due guitar player degni di questo nome, capaci in fase di riffing come nei solismi, con continui spunti hard rock che impreziosiscono le trame chitarristiche, donando sostanza a brani come Building Up to Die, Killer e Float Away, mentre la prima parte del disco è un colpo a segno dopo l’altro, con menzione particolare per il micidiale trittico iniziale e per la fiera Anywhere but Here. L’album si chiude su Heavy Lifting, piece de force superiore ai dieci minuti, nella miglior tradizione crepuscolare dello stoner rock, con un crescendo blues sotterraneo che incatena all’ascolto e mette in luce tutte le qualità di Karlsen e l’abilità dinamica dei suoi compagni.
Non ci sono difetti apparenti in Death Tunes. Tutto gira a meraviglia in una riuscita miscela di hard rock, garage e stoner che esalta le ottime basi strumentali del gruppo e il cantato vincente di Karlsen. Le canzoni, pur girando quasi tutte attorno alle stesse coordinate, con risultati comunque sempre convincenti e qualche momento di vera ispirazione, sono piacevoli e hanno il pregio di non pretendere troppo dall’ascoltatore, dando il loro meglio in un minutaggio mai sopra le righe, con l’eccezione della citata Heavy Lifting. Probabilmente manca qualche pezzo realmente superiore, capace di trasformare Death Tunes da buon album di genere a ottimo disco tout court, ma i Tiebreaker non sembrano aver concluso affatto la loro crescita di band e c’è da credere che il meglio debba ancora arrivare. Assolutamente da ascoltare per gli amanti del genere, probabilmente risulteranno interessanti anche a chi non mastica polvere e deserto tutti i giorni, grazie al riuscito connubio tra melodia e urgenza.
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Hell 2. Pan American Grindstone 3. Cannonball 4. Commando 5. Anywhere But Here 6. The Deep 7. Building Up To Die 8. Killer 9. Float Away 10. Heavy Lifting
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Line Up
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Thomas Espeland Karlsen (Voce) Eirik Wik Haug (Chitarra) Olav Vikingstad (Chitarra) Patrick Andersson (Basso) Pål Gunnar Dale (Batteria)
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RECENSIONI |
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