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Gong - Unending Ascending
24/02/2024
( 572 letture )
Pretendere di condensare la storia dei Gong in poche righe è un compito improbo. Quasi sessant’anni di musica, infiniti cambi di formazione, progetti paralleli e qualche sbandamento stilistico narrano di una delle più feconde e incredibili famiglie musicali di tutti i tempi. Famiglia formata dal leader e visionario compositore Daevid Allen, australiano d’origine e anglofrancese d’adozione assieme a Gilli Smyth nel 1967 e che ha avuto il suo picco di notorietà con la cosiddetta Radio Gnome Invisible Trilogy, aperta con l’album Flying Teapot del 1973 e proseguita poi con Angel’s Egg e You, nei quali anche l’apporto del grande Steve Hillage diede ulteriore sostanza al complesso e fantastico universo ideato da Allen. Lo stesso Allen, pur avendo lasciato la band nel 1975 -dando così vita a una girandola di cambi di formazione e alla leadership del batterista Pierre Moerlen- continuò a espandere l’universo dei Gong attraverso i propri dischi da solista e fondando altri progetti paralleli, Planet Gong e New York Gong, mentre Gilli Smyth fondava i Mother Gong, ad aumentare il caos. Numerose altre saranno le incarnazioni dei Gong e i progetti a essi collegati, ma dopo You la band “madre” tornerà solo nel 1992, con Shapeshifter e proseguirà la propria attività in modo discontinuo, pubblicando altri quattro dischi, finché il 5 febbraio 2015 Daevid Allen morì a causa di un cancro a settantasette anni, seguito il 22 agosto 2016 da Gilli Smyth. La formazione che aveva partecipato all’ultimo disco con Allen, I See You, fu da lui stesso incoraggiata a proseguire l’eredità dei Gong, con Kavus Torabi come nuovo frontman.
Da allora questa nuova formazione è rimasta inalterata e dopo Rejoice! I’m Dead! del 2016 e The Universe Also Collapses, ritorna con un disco in studio con Unending Ascending, uscito a novembre del 2023.

Con una formazione nella quale non compare nessuno dei membri storici e che comunque vede musicisti che ormai da più di dieci anni portano avanti il vessillo dei Gong è sempre difficile decidere “da che parte stare”. E’ giusto proseguire, pur con la benedizione del band leader? E come farlo, innovando e osando o preservando il classico stile, in assenza di chi lo aveva forgiato, la cui ispirazione è ovviamente non replicabile? Domande legittime, sia per chi compone e suona, sia per chi fosse fan del gruppo. La risposta, come si suol dire in questi casi, è personale e non univoca. E’ indubbio che il quintetto sia preparatissimo a livello strumentale e abbia per anni attinto direttamente alla fonte, interpretando e facendo propria la musica dei Gong e sia quindi assolutamente capace di realizzare dischi degni del nome in copertina. Seguirli o meno in questo percorso resta opzione praticabile, a seconda della propria sensibilità.
Unending Ascending, il cui sottotitolo completo è A Pan-Galactic Suite by Gong, sceglie di essere fedele alla tradizione, portando cioè con se quella profonda base di musica psichedelica e prog tipica del periodo Sessanta/Settanta, con chiare influenze jazz e qualche sprazzo folk che ha da sempre caratterizzato la musica della band. Questo non significa farlo in maniera impersonale e senza prendersi il rischio di qualche modernizzazione, qua e là, ma è chiaro fin dal primo ascolto che Unending Ascending è un disco fuori dal tempo. Un disco dal cuore antico e dalla realizzazione moderna, a partire dalla spettacolare produzione. E’ anche un atto di amore, perché il legame con lo space rock, con gli inserti di sassofono e flauto e con l’ideologia “cosmica” e hippie non appare affatto posticcio, ma perseguito con cura, attenzione e, cosa ancor più importante, ispirazione. Il tutto appare maledettamente solido, pur nella perenne nube cosmica che lo avvolge, splendidamente pensato e realizzato. Come suggerito dal sottotitolo, tutti i brani sono tra loro collegati e confluiscono gli uni negli altri, ma in realtà non esiste un tema portante e le canzoni appaiono invece molto diversificate e dotate di vita propria, con uno sforzo compositivo meritevole. Ottima partenza con il singolo Tiny Galaxies, che ci proietta immediatamente nel trip cosmico psichedelico hippie di fine anni Sessanta: arpeggio spaziale, melodie d’antan, sassofono che fa la sua comparsa e ingresso della distorsione tra Pink Floyd di Syd Barrett e Hawkwind, con Golfetti che piazza i propri fraseggi ultratecnici in maniera discreta quanto puntuale. Ottima presentazione e buona anche la melodia portante, che ci conduce direttamente in My Guitar Is a Spaceship, quasi titletrack vista la ripetizione del titolo del disco, che gira su un riff insistito e decisamente più hard e vicino al prog, con esplosioni di sax ad aumentare il climax del refrain e la sua tipica melodia psichedelica. Bello anche il solo di sassofono, con un potentissimo accompagnamento di Cheb Nettles. Bel brano, vivace e divertente, con un grandissimo groove, che confluisce in Ship of Ishtar. Qua i ritmi crollano totalmente, ci immergiamo nelle profondità spaziali e della notte, di cui la Dea della Luna è custode e simbolo. Eterea ed evocativa, la traccia è la più lunga del disco e, purtroppo, anche la meno interessante: stavolta la catarsi psichedelica/new age non funziona e il brano si rileva piuttosto noioso, ripetitivo e i suoi quasi nove minuti di durata, nonostante la bella voce dell’ospite Saskia Maxwell, non sembrano finire mai. Non in senso buono, decisamente. Di tutt’altra pasta O, Arcturus, che sarà anzi una delle migliori del disco: introdotta da un bel fill di Nettles, che tiene su tutto il brano, si mantiene su ritmi blandi all’inizio, sempre scanditi dal sax e dalle melodie, per poi liberare uno spettacolare assolo di Golfetti. La seconda parte sale di dinamica, tra chitarra e cori e chiude con la stessa sospensione spaziale con cui era iniziata. All Clocks Reset è invece un brano in perfetto equilibrio tra psichedelia stralunata e prog rock, divertente e leggermente paranoico, che ci traghetta a uno dei punti di volta del disco. Choose Your Goddess si appoggia su un riff circolare potente e quasi prog metal, che inframmezza lunghe sequenze tipicamente psichedeliche fino ai crescendo di dinamica che esplodono riportando la distorsione in primo piano. Un saliscendi emotivo e musicale ricchissimo, con arrangiamenti di grande spessore e carichi di tensione. Chiusura col botto, che poi è la partenza di Lunar Invocation, altro trip cosmo/psichedelico, come da titolo, ben esemplificativo dell’atmosfera del brano, stavolta con quel po’ di tensione ed evoluzione che lo rende più interessante di Ship of Ishtar. Bellissima invece la conclusiva Asleep Do We Lay, questa sì sognante e notturna, ma piena di chiaroscuri, tribale e onirica nel modo migliore, con East che gioca tra flauto e sassofono e le voci che ci cullano in questo splendido affresco musicale.

Ultimo arrivato in una discografia enorme, se si considerano tutte le ramificazioni e progetti paralleli, e comunque sedicesimo disco da studio della formazione “madre”, Unending Ascending è un lavoro di gruppo, nella migliore delle eccezioni. Cinque musicisti di grande spessore che si danno a un progetto in tutto e per tutto, portando ognuno qualcosa al risultato complessivo. Non tutto il disco fa gridare al miracolo e ci sono flessioni in alcuni episodi, anche vistose, ma l’album è davvero solido, ispirato, emozionante perfino, in molte sue parti. Un disco senza tempo, come già detto, palesemente ancorato al passato dei Gong e comunque moderno in alcune soluzioni che fanno capolino qua e là e senz’altro nella produzione e nel mixaggio, comunque senza sbavature, se non forse per il basso appena meno in evidenza rispetto ai fiati, decisamente “sparati” in avanti. Un gran del disco, insomma, che giustifica da solo la propria esistenza, al di là di qualunque pensiero si abbia su una band che va avanti senza più alcun membro fondatore. L’ascesa senza fine come ultima frontiera.



VOTO RECENSORE
75
VOTO LETTORI
0 su 0 voti [ VOTA]
Chernabog
Domenica 25 Febbraio 2024, 10.57.10
1
Bel disco, ma trovo assurdo utilizzare ancora il moniker Gong.
INFORMAZIONI
2023
Kscope
Psychedelic Rock
Tracklist
1. Tiny Galaxies
2. My Guitar Is a Spaceship
3. Ship of Ishtar
4. O, Arcturus
5. All Clocks Reset
6. Choose Your Goddess
7. Lunar Invocation
8. Asleep Do We Lay
Line Up
Kavus Torabi (Voce, Chitarra)
Fabio Golfetti (Chitarra, Voce)
Ian East (Sassofono, Flauto)
Dave Sturt (Basso, Cori)
Cheb Nettles (Batteria, Cori)

Musicisti Ospiti
Saskia Maxwell (Voce su tracce 3,7,8)
Frank Byng (Cimbali su traccia 6)
 
RECENSIONI
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90
 
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