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Sombres Forets - La Mort Du Soleil
( 3316 letture )
L’acqua genera, l’acqua distrugge, l’acqua attrae, poi punisce coloro i quali osano sfidare le insondabili profondità marine, regno del silenzio, dell’oblio, dell’eternità, delle creature che, puntualmente, riemergono ricoperte di alghe, per assumere grottesche sembianze negli incubi di quella specie conosciuta sotto il nome di umana.
L’acqua sovente vendica qualunque torto, affogandolo nel buio, strangolando i colpevoli lentamente, permettendo così ai malcapitati di assaporare gli ultimi atti della propria vita, prima che, in un lampo, il liquido si trasformi in marea e i polmoni in un tremolante monumento di sabbia.
C’è chi, audacemente, prende il mare comunque, conscio dell’ineluttabile termine della vicenda, tuttavia convinto che, nell'abituale superbia che contraddistingue l’uomo, un’onda si possa domare, se non addirittura annientare.

Annatar, unico autore dietro al nome Sombres Forêts, il progetto consanguineo ai canadesi Gris (proprio quest’ultimi indosseranno i panni di session man di lusso durante il primo tour europeo del progetto, benché i ruoli di Icaro e Nettuno siano, ahimè, ancora celati) dipinge nella sua ultima, stremante fatica, La Mort Du Soleil, il periplo baciato da un Fato avverso, rammentante il capolavoro del pittore francese Gericault (“La Zattera Della Medusa”) ricostruendo, tassello dopo tassello, una tragedia viva, umana, i cui protagonisti possono facilmente confondersi con i volti degli spettatori, tanto da instaurare un rapporto proficuo e biunivoco tra le due anime del teatro, ossia, la platea ed il palco.
Il polistrumentista non sosta a narrare le origini del vascello o la sua partenza carica di fiducia, salutato da migliaia di mani e fazzoletti agitati dagli affetti sulla banchina del porto, tutt’altro. Lo scenario iniziale è violentissimo: il relitto giace preda dei flutti, circondato da lamenti funebri e chitarre acustiche semplici, minimali, che accarezzano accordi aperti, solari, in netta contrapposizione con la sofferente seconda parte di Des Epaves, travolta dalla violenza dell’ingresso della strumentazione elettrica e dal grido privo di speranza del mastermind, bardo degli sconfitti, dei disperati, di quelli che partono ma non tornano. Una tempesta si addensa sopra le teste dei superstiti, aggrappati strenuamente ai pezzi di legno, alcuni pregano, altri bestemmiano, altri ancora chiudono gli occhi confidando in un risveglio nelle proprie case. La melodia apre alle triadi maggiori, ma si tratta di un raggio di sole attardatosi e la pioggia presto ricomincia a cadere, i nembi ad occupare il cielo, il vento a soffiare. La luce esala gli estremi respiri. Ancora arpeggi in crescendo, il basso rintocca, sembra una delle tre Parche smaniosa di recidere i fili della vita, la batteria (tecnicamente essenziale, in concreto priva di un doppio pedale costante) sostiene l’avvicinamento delle tenebre.
La notte è terrificante se il tuo unico compagno è un frammento della tua nave. Ogni movimento che increspa l’orizzonte marino potrebbe nascondere una minaccia, un animale affamato, e tu stesso sopravvivi nel terrore dell’ipotermia, del sonno che, indebolendo le tue membra, ti consegnerebbe al fondale. I tuoi compagni si struggono avendo gli stessi pensieri. Quanti atti di cui pentirsi, quante parole dette o non dette! Ma non c’è tempo, la nebbia avanza, ed a te non resta altra possibilità che resistere. Di quando in quando alzi la testa, fissando i lampi, tendendo l’orecchio verso la potenza dei tuoni. Ti senti un nulla in confronto.
Le note di un pianoforte solitario rompono il silenzio: è un miraggio uditivo? Gli accordi minori si susseguono, raddoppiati da una raminga sei corde, insicura se fare di sé una solista oppure accontentarsi di un ruolo importante, ma lontano dalla ribalta, impersonando la dimensione ritmica. Il basso persiste nel colpire allo stomaco, nota sulla corda grave dopo nota sulla corda grave, enfatizzata dal brivido del crash del drumkit, tessendo così una tela squarciata poco dopo le prime ore del mattino, allorché, completamente a sorpresa, gli 88 tasti conducono la mente verso ambienti aerei, quieti.
Si tratta, alas!, solo di un’impressione momentanea, la realtà torna celermente a svelarsi nella sua maschera più cruda e sogghignante. Il tuo corpo è ancora per metà non di tua proprietà, il gelo penetra le carni, addentando muscoli e ossa impietosamente. Per il dolore le tue viscere sembrano essere divorate dalle fiamme avernali.
Ebow e traccia sovrapposte di chitarra acustica annaspano nell’ora maggiormente tetra, che preannuncia l’arrivo dell’alba. L’equipaggio ha cessato di credere in un miracolo, Annatar rallenta ulteriormente i tempi, accogliendo la rinnovata istantanea delle esperienze di premorte dando preminenza alle percussioni, lavorando, coerentemente con la nuova direzione intrapresa dopo l’interessante Royaume De Glace, sull’atmosfera a discapito della rigidità tecnica, concedendo alle tracce di seguire uno sviluppo naturale, dinamico, ricollocando ora l’ago della bussola verso territori depressive, seguendo il sentiero tracciato dai già citati connazionali Gris.
Le strutture mantengono il parallelismo con l’elemento naturale chiave dell’opus, unendo liberamente black metal canonico a soffocanti cicli di emersione ed immersione di annichilenti progressioni alla Codeine, ovviamente filtrati attraverso spessi strati di ronzanti distorsioni (le chitarre sembrano prodotte ispirandosi ai toni indimenticabili di Genevieve dei seminali Velvet Cacoon).

Lasciarsi andare ora o attendere pazientemente di spirare? Scelta impossibile, degna del filosofo danese Soren Kierkegaard. L’angoscia diventa il sentimento diffuso, appena la morte insiste nell’amoreggiare con i marinai. Cosa c’è oltre la soglia?
Chi vive a stretto contatto con uno specchio d’acqua conosce benissimo quanto nei riflessi cristallini si acquatti l’indifferenza. Un misto di imperscrutabilità e di reciproca incomprensione.
Il tema portante riprende il leit-motiv che, wagneriamente, corre sottotraccia per tutto La Mort Du Soleil, arricchito da pesanti accordi marziali, la superficie, poco prima puntellata dalle sagome di esseri umani, è nuovamente piatta. La punizione per l’ingiuriosa sfida, è compiuta.



VOTO RECENSORE
83
VOTO LETTORI
88 su 4 voti [ VOTA]
LUCIO 77
Lunedì 24 Aprile 2023, 9.18.20
5
Album piacevole ma dopo aver ascoltato i Gris, nulla di nuovo/diverso.. Ho pure letto che i loro due Lavori del 2013 sono usciti lo stesso giorno.. Simbiosi perfetta direi.. Più in generale, ho constatato che escono svariati Album di Black Atmosferico ed affini, tutti gradevoli per carità, ma Personalità scarsa, per non dire altro.. Diciamo che i Gruppi provenienti dal Quebec, hanno quantomeno la peculiarità del Cantato in francese.. Tanti ascolti che, passato l\'entusiasmo iniziale, ti lasciano solo melodie effimere destinate a svanire a breve termine.
Le Marquis de Fremont
Mercoledì 28 Agosto 2013, 15.34.46
4
E' interessante ma inferiore al livello a cui sono arrivati i Gris. Il songwriting e notevole ma mi sembra che la qualità musicale sia un po' grezza e poco definita. E' una sua scelta?
Beta
Mercoledì 28 Agosto 2013, 12.20.52
3
Viscerale, atmosferico, dark ... semplicemente meraviglioso. e complimenti anche al recensore che ha saputo rendere l'idea di cosa il disco fosse
Red Rainbow
Lunedì 26 Agosto 2013, 11.23.28
2
Ottimo lavoro, appena qualche linea sotto l'ultimo del "progetto gemello" Gris ma sicuramente la conferma che in Quebec il Black d'autore ha preso fissa dimora....
kharachun0perun
Venerdì 23 Agosto 2013, 23.17.25
1
Bello, a me è piaciuto moltissimo, atmosferico al punto giusto e molto interessante, come da MNQ d'altronde (anche se non si può definire vero MNQ)
INFORMAZIONI
2013
Sepulchral Productions
Black/Ambient
Tracklist
1. Des Epaves
2. Etrangleur De Soleils
3. Brumes
4. Au Flambeau
5. L’Ether
6. La Disparition
7. Effondrement
Line Up
Annatar (tutti gli strumenti, voce)
 
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