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DINO FIORENZA - Namm’a ‘ncuntrare, it’s important
15/03/2015 (2840 letture)
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Nemo Propheta in patria, si sa. Anche se talvolta alcuni musicisti riescono ad emergere, non è raro il caso di molti gruppi nostrani e singoli musicisti che sono più conosciuti all’estero che in Italia. Ogni tanto, però, qualcuno di loro riesce addirittura a varcare l’oceano ed a tastare il terreno statunitense, conoscendo di persona alcuni dei musicisti più famosi del giro. Ma tutto questo è servito soltanto da pretesto per rimarcare le differenze culturali in fatto di musica tra noi e loro, in particolare in ottica organizzativa e culturale. I risultati, prevedibilmente poco allegri, descrivono situazioni che sembrano far parte in generale del mondo del lavoro della nostra disastrata nazione, non solo di quello musicale.
Francesco: Allora Dino... Di ritorno da poco dal Namm, intanto mi racconti come ci sei arrivato? Dino Fiorenza: Bellissima esperienza intanto. Cominciamo col dire che la mia “convocazione” originale non era per il Namm, ma per la nuova edizione del Namm Metal Jam, che non ha nulla a che vedere col primo. Si tratta di una convention in cui ogni anno vengono convocati i quaranta musicisti di settore secondo loro più importanti al mondo e quest’anno c’era anche un pezzetto di Italia, visto che sono stato chiamato come bassista. Questa manifestazione si tiene sempre il giorno prima che inizi il Namm vero e proprio, in modo che la maggior parte dei musicisti si trovi già sul posto e sia più facilmente reperibile. Il giorno dopo, trovandomi già lì e grazie al mio sponsor, ho fatto anche il Namm. In realtà quindi io ero lì per la manifestazione organizzata da Neil Turbin, l’ex cantante degli Anthrax, ma il resto non era nemmeno in conto. Dovevo solo fare un concerto a Fullerton per il NMJ prima, poi il resto è capitato dopo.
Francesco: Nel pre-intervista parlavamo delle differenze che io supponevo potessero esserci tra la realtà italiana e quella statunitense come organizzazione. Quali sono quelle che ti hanno più colpito? Nei rapporti tra musicisti, nel modo di fruire di queste manifestazioni, nel modo di rapportarsi con l’aspetto commerciale o altro? Dino Fiorenza: Intanto l’aspetto più importante del Metal Jam è che si trattava di una manifestazione a scopo benefico per la fondazione di Ronnie James Dio, ma la cosa che più mi ha colpito fin da subito è stata proprio l’organizzazione. Nulla a che vedere con quelle di casa nostra dove hai a che fare con cavi che si rompono, brani che saltano per mancanza di tempo, gente che vuole prevaricare gli altri e storie simili. Massimo rispetto per tutti i musicisti e tra musicisti. Tutto andava liscio, anche per una metal jam c’erano service come si deve, due manager (uno sul palco ed uno che si occupava di te fuori dal palco) e tutto gratuitamente. Poi un’altra cosa che mi ha colpito è stata questa: io sono arrivato a L.A. il 20, quindi un giorno prima di tutti gli altri coinvolti nel Namm Metal Jam. Il 21 avevo il soundcheck alle 16:00 presso lo Slidebar, prendo un taxi per recarmi al locale e solo lì realizzo cosa stavo facendo e me la faccio letteralmente addosso. Pensavo di essere l’unico italiano in mezzo a tanti artisti importanti, alla sua prima volta a Los Angeles ed ho avuto questa sensazione, credo comprensibile, di adrenalina mista a paura. Ho pensato: “Faccio fermare il taxi venti metri più avanti, se la situazione si mette male me la batto”, eh eh. Invece, sempre tornando al fatto del rispetto che circola da quelle parti per la figura del musicista (questo voglio sottolineare raccontando tutto questo), appena sono arrivato ho capito di essere atteso come fossi una star e come nemmeno nella mia città è mai accaduto. Addirittura mi hanno costretto a fare il check davanti a loro per vedermi suonare perché mi conoscevano tramite video e dal disco. Una sensazione meravigliosa e tutti che mi ringraziavano quando forse ero io a dover ringraziare tutti.
Francesco: Ed al Namm chi c’era esattamente? Dino Fiorenza: Tutto il mondo del metal. Da Michael Angelo Batio a Dave Mustaine, da Kiko Loureiro agli L.A. Gun. Andy Timmons dopo che avevamo suonato insieme anche da te a Messina che è venuto a salutarmi e via così, c’erano praticamente tutti. L’unico che non ho visto materialmente è stato Steve Vai, ma probabilmente solo perché il posto era davvero enorme. Questo è un altro degli aspetti positivi, cioè che lì trovi tutti. Ad un certo punto mentre suonavo vedo passare uno e penso: “Ma questo lo conosco..”, dopo un po’ realizzo: Stevie Wonder! Stava semplicemente facendo un giro tra gli stand. Poi Rudy Sarzo, cioè... le leggende, le persone con le quali sei cresciuto, dei quali hai i dischi e poi te li trovi davanti e ci parli.
Francesco: E come rapporti tra i musicisti? Dino Fiorenza: Tutti ottimi. Ti racconto un aneddoto simpatico, sempre a proposito di differenze “ambientali” tra qui è là. C’era un chitarrista che per tutta la serata quando dovevo suonare mi ha fracassato le palle per suonare insieme e per fare delle foto, ma io non sapevo chi fosse. Bè, solo l’indomani ho scoperto che era il chitarrista dei Lizzy Borden che era lì a firmare autografi e aveva 300 metri di coda di gente che li voleva. Questo per dirti che non c’è un discorso di invidia e tantomeno di superiorità. Cioè, era il chitarrista dei Lizzy Borden che voleva farsi una foto con Dino Fiorenza che lì non conta nulla.
Francesco: Questo comunica una dimensione differente a livello di mentalità che esiste in Italia? Dino Fiorenza: Guarda, la differenza che ho notato musicalmente -ma probabilmente non solo- tra l’Italia e gli USA è che quello non è un Paese nepotista, ma meritocratico. Se vali, vai avanti. Dopo il Namm ed il concerto allo Slide ho avuto tante richieste e proposte senza secondi fini, mentre qui in Italia spesso se qualcuno ti viene a vedere lo fa direttamente per criticarti, là se piaci ti prendono e basta. Senza giri strani, non c’è “ma” o “però”; è si o no, stop.
Francesco: E come ricadute commerciali? In Italia siamo abituati a considerare la musica come qualcosa di complementare alle cose serie, qualcosa che non può essere un vero lavoro. Qual è la differenza in termini di occasioni professionali? Dino Fiorenza: Quello che ho notato è che negli USA la figura del musicista è vista come quella dell’ingegnere da noi, né più, né meno. Il musicista è una figura che merita rispetto e dignità. Sei un buon bassista? Sei un buon chitarrista, etc.? Ok, dimostrami quello che vali. Se vali davvero qualcosa salta fuori, se non vali mi dispiace e finisce lì. Ripeto: sì o no, niente “vediamo” o “le faccio sapere” come da noi.
Francesco: Immagino che tu abbia partecipato ad eventi teoricamente simili anche in Italia. Nessuno sbocco qui da noi con questi casi? Dino Fiorenza: Guarda, io ho partecipato a tantissimi di questi eventi qui in patria. Da noi il discorso funziona così: c’è sempre chi ci va al posto tuo gratis per una ricerca sfrenata di visibilità, che è ciò che tutti cercano. Quindi ti dicono: “C’è tizio che viene gratis, se vieni gratis pure tu, bene, se no niente”. Diverse manifestazioni nazionali io non le ho fatte proprio per questo. Negli USA quando tutto è finito io ho detto a chi mi aveva portato: “Grazie, ma guardate che io qui sarei venuto anche gratis”, ma il manager americano mi ha risposto: “Gratis si fanno le cose per gli amici, qui stai lavorando”.
Francesco: Spesso abbiamo parlato dell’impossibilità di creare una scena professionistica vera proprio per questi motivi. Dino Fiorenza: Esatto, ma anche se tu vai nelle piccole realtà di paese. Anche lì c’è sempre chi va a suonare gratis al posto tuo o perché è un dopolavorista, o perché vuole mettersi in mostra o per qualsiasi altro motivo e parliamo di musica in generale, non solo di metal, anzi, forse quasi per nulla di metal visto che posti per suonare non ce ne sono quasi più. Comunque, chi gestisce un locale è un commerciante al quale non frega nulla di chi tu sia, deve solo incassare come è giusto che sia, dobbiamo tenerne conto. Quando i miei allievi mi chiedono: “Ma tu perché non suoni mai qua?”, la risposta è: “Perché ci sei tu che ci vai gratis” e questo, mi rendo conto, è un discorso esteso a tutti i livelli della società italiana.
Francesco: D’altro canto i gestori dei locali sono professionisti che devono rientrare da un investimento e campare, quindi avere un ritorno. Fino qui tutto normale, ma costoro dovrebbero (o potrebbero) far crescere le professionalità anche di chi si esibisce da loro ottenendone un ritorno nel tempo. Si può capire che il diciottenne/ventenne non essendo nessuno non può presentarsi dicendo: “Dammi tot. euro perché stasera suono io”, ma i proprietari del locali dovrebbero tornare a fare i talent scout come facevano una volta e come non si fa più, anche per colpa del pubblico che non lo chiede più. Forse potrebbero funzionare dei contest, visto che le gare di solito attirano dando un riscontro immediato al proprietario del locale con le consumazioni. Poi magari coinvolgi la gente con dei premi, magari cinque consumazioni offerte ad estrazione tra quelli che hanno votato la band vincente o roba simile. Dino Fiorenza: Il problema è soprattutto il pubblico. Alla gente basta uscire, sorseggiare una birra e canticchiare un motivo che già conosce, sempre se si accorge della band che suona. Certo che sarebbe una bella cosa far crescere di nuovo i talenti nei locali, creando una scena di professionisti, come fanno negli USA (torniamo sempre là), dove ci sono quei locali dove ti fanno suonare gratis a serata dedicata, sì, ma dove tu trovi dei manager, dei promoter, dei produttori che sono là proprio per trovare talenti. Il Whisky a Go Go dedica il lunedì sera a questo discorso e molta gente è venuta fuori così. Bisognerebbe provare. Io una volta ho fatto una cosa simile in un paesino dell’entroterra. Mi hanno chiamato per fare il selezionatore delle band ed ho trovato di tutto, dal gruppo disastroso a quello eccellente, ma è stato divertente e abbiamo fatto una vetrina per gruppi che oltretutto diversamente non avrei mai conosciuto io stesso. Ora qualcuno di loro continua a suonare, qualcuno è tornato in sala prove, qualcuno non suona più, ma era tutta gente che si impegnava per fare cose proprie e solo per questo andava elogiata. Insomma, 2 Minutes to Midnight l’ho sentita 2000 volte fatta da tutti, ma basta, fammi sentire una cosa tua. Oppure quello che si vede su YouTube: tutti che fanno cover, tutti bravi e tutti a fare le stesse cose. Sei bravo, va bene, ma già c’è quell’altro che fa la stessa cosa e meglio di te, ma soprattutto c’è l’originale, che va premiato perché lui ha composto quel pezzo che tu stai rifacendo. Il discorso della bravura va bene, ma ora che mi hai fatto vedere che sai suonare? Una volta ad un mio seminario si è presentato un ragazzino che suonava il basso da paura, incredibile. Poi gli ho chiesto di fare una scala e non la sapeva fare, questi sono i risultati dell’imparare a suonare su YouTube. Ormai sul tubo trovi un tutorial per tutto, anche per piegare le magliette in due mosse, per dire. Devi studiare un brano? Metti il nome del pezzo, aggiungi “bass cover” e ti esce il tipo che te la suona senza bisogno di fare come una volta, quando si rovinavano cassette e dischi per tirare fuori le tracce di uno strumento da studiare. Comunque attenzione, non è una cosa da demonizzare in quanto tale, ci sono dei vantaggi indubbi per tutti, anche per me. Se qualcuno mi chiama per suonare e devo imparare trenta brani per dopodomani, su internet trovo tutto e posso farlo. Alla fine ogni cosa dipende da come la usi.
Francesco: Bè, in Italia non possiamo pretendere di trovare il manager importante in ogni locale, ma chissà quanta gente valida anche nel pop sarebbe possibile trovare tornando a fare quel lavoro di ricerca del quale parlavamo prima. Dino Fiorenza: Il problema è che qui in Italia la novità non è accettata, si fa solo marketing. A me è capitato persino di registrare un disco per un cantautore italiano che mi ha chiesto di suonare il basso perché il suo produttore gli aveva detto che voleva qualcosa di nuovo. Ho registrato, ovviamente a modo mio e quindi in maniera anomala per il pop, ma quando il disco è stato ultimato il produttore, quello che voleva la novità, ha detto che così il disco non sarebbe andato. Poi è uscito per una piccola etichetta indipendente e ovviamente non lo ha calcolato nessuno. Circa i contest credo che basterebbe educare un po’ la gente a queste situazioni, ma qui non abbiamo questa cultura perché si pensa alla giornata, se invece tutti i locali lavorassero in un certo modo ci sarebbero situazioni musicali molto diverse.
Francesco: Sai qual è il problema? Che se si avviasse un discorso del genere si ricadrebbe nella solita storia: il 90% dei gruppi che si presenterebbero sarebbero cover band di Ligabue, dei Modà e via discorrendo e la cosa ovviamente perderebbe il suo senso. Bisognerebbe che qualcuno avesse il coraggio di escludere le cover band. Dino Fiorenza: Ti racconto una cosa. Mi è capitato di vedere una band che faceva cover degli Aerosmith in un locale in cui ero entrato. Mi sono accorto che tutto il pubblico cantava con loro e i musicisti si guardavano compiaciuti perché il pubblico cantava la loro canzone, capisci il paradosso? Da queste cose ti rendi conto quanto la strada sia ancora lunga ed in salita. Eppure cinque o sei buoni gruppi a serata si potrebbero trovare, solo che non li conosciamo perché rimangono confinati nei garage a fare i loro inediti. Ultimamente un mio allievo ha fatto la presentazione di un suo disco in un locale di Catania ed io sono andato ovviamente, ma mi sono reso conto che ad essere presenti eravamo gli amici e basta. Eppure stavano presentando il disco di tre ragazzi del posto, giovanissimi, un disco loro, registrato con le loro forze e soprattutto fatto di inediti. Aggiungo che era un bel disco, ma chi c’era a supportare questa cosa? Gli amici, l’insegnante, le fidanzate e basta, quindi di cosa stiamo parlando?
Francesco: Torniamo a te prima di chiudere. Ci siamo lasciati con It’s Important; e poi? Dino Fiorenza: E poi ho lavorato come turnista in tantissimi dischi ed entro quest’anno, nonostante il pochissimo tempo a disposizione, ultimerò il secondo album da solista visto che alcuni pezzi sono già pronti ed altri sono invece da completare, ma sono a buon punto. Spero di farlo uscire a settembre ed anche stavolta avrò ospiti importanti a darmi una mano. Un saluto a tutti i lettori di Metallized, a presto.
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Grazie Raven, ho letto la rece di It's Important e mi ha incuriosito parecchio. Lo ascolterò al più presto perchè mi ispira molto dopo aver visto come suona su Youtube  |
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Se vuoi farti un'idea trovi la recensione del suo primo album in db e dei video sul tubo. Di pezzi suoi, non cover  |
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Bellissima analisi dello stato attuale del mondo musicale italiano e non. Come sempre ottime domande di Raven, mai banali, e molto interessanti le risposte di questo musicista che non conoscevo ma di cui ascolterò qualcosa al più presto, mi sembra proprio una persona seria che ha una cultura musicale enorme, oltre ad un gran talento (perlomeno da quanto leggo). |
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Correggo al n.6 il nome del bassista ovviamente Giovanni Tommaso dei mitici Perigeo, e di nuovo auguri a Fiorenza per il nuovo album da solista che sta ultimando. |
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@hj, e' vero mettiamoci anche il gentil sesso, Anna Portalupi e' veramente in gamba, poi a me ultimamentee piaceciono molto ad esempio Martino Garattoni, Giorgio Terenziani , Signorile, veramente bravo con gli assoli, ma ce ne sono tanti altri, la lista sarebbe troppo lunga dal passatomal presente, qui si parlava di Fiorenza, che ha dimostrato di avere una gran classe unita ad una stupenda tecnica nell'uso dello strumento. |
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Anna portalupi? Mi sembra bella in carriera |
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L'Italia ha sempre avuto grandi bassisti basti pensare ad Ares Tavolazzi,Aldo Tagliapietra, Giovanni di Giocamo che mi pare ora ha a che fare con l'orchestra della Rai, AlbertomRigoni , Claudio Signorile e ovviamente il "gigante" del basso Dino Fiorenza, un vero maestro che con lo strumento ci parla e lo fa parlare egregiamente, sono contento del suo apprezzamento all'estero, gli auguro la massima fortuna nella sua carriera professionistica e che gli regali tante sodfifazioni.Grande Fiorenza. |
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Ok ma sinceramente io non ci sto capendo nulla, scusate l'ignoranza ma non ne ho mai sentito parlare. Per questo gradirei esempi concreti, sempre se ci sono e sono divulgabili |
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In un mondo dove una band mediocre può salire su un palco prestigioso grazie al pay to play come si può postulare la meritocrazia? |
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Non voglio certo scatenare discussioni inutili. Sono mie considerazioni personali, e mi sembra scorretto fare nomi di persone che posso pure non apprezzare ma non voglio per questo sputtanarle aggratis...semplicemente (è ovvio che ci sono eccezioni) spesso si va avanti solo grazie a sistemi non sempre condivisibili e spesso si confinano nell'ombra realtà interessanti ma che non sono abbastanza "sgamate" da conoscere tutti i trucchetti del mestiere. |
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teoria interessante dosto@, gradirei sapere anche i nomi di questi italici paraculi che si fingono artisti. Premetto che a parte alcune eccezioni che supporto (ultimamente temperance) non sono un gran esperto di band nostrane, ma mi sembra giusto premiare il merito |
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Ma figuriamoci! nella nostra miserabile italiuccia manco i "lavori normali" vanno bene, figurarsi il musicista. O sei ultra benestante e allora problemi non ne hai e il tuo hobby diventa quasi un lavoro, oppure sei destinato ad essere sempre sorpassato dai vari amici di amici o da chi sgnacia il cash e allora simula di essere un grande artista. Rarissimi e da ammirare tutti quei casi dove si è davvero professionisti e il pane lo si porta a casa perchè si lavora e non grazie alla borsetta di mammà che para il culo al diletto pargoletto. |
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