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26/04/25
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MALEVOLENT CREATION + GRAVE + PENTAGRAM (CHILE) - CIRCOLO COLONY, Brescia( BS ) 03/12/15
07/12/2015 (2250 letture)
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Serata death metal non indifferente in quel di Brescia questo giovedì 3 dicembre, con l’unione di due tour death metal di notevole caratura in un’unica occasione musicale al Circolo Colony: da una parte, i maestri del death metal americano Malevolent Creation hanno unito le forze con quelli del death svedese Grave in un tour europeo praticamente imperdibile, dall’altra si aggiungono i cileni Pentagram, per la prima volta in Italia, assieme al loro support act, i brasiliani Nervochaos. La serata ha raccolto un numero onestamente soddisfacente di partecipanti, nonostante forse sorta qualche amarezza per la cancellazione della sfortunata data al Blue Rose con Hobbs Angel of Death e Interment, anch’essa prevista per il 3 dicembre, in concomitanza sia con la data del tour europeo dei Malevolent Creation che con quella dei Pentagram.
NERVOCHAOS I brasiliani Nervo Chaos propongono un death metal di matrice anni ’90, diretto e ritmicamente squadrato, che ricorda in generale Deicide, Vital Remains o Krisiun. Il riffing spazia da sezioni in tremolo accoppiate al blast, a sezioni chitarristiche più articolate da proporre con tempi più ritmati, ma anche tempistiche quasi thrash per gran parte dei momenti più incalzanti dei pezzi. Anche la voce unisce periodi di growl ad altri di scream (per la verità meno efficaci), alle parti aggiuntive del bassista, che propone un registro decisamente gutturale. Anche la presenza sul palco fa intendere che la band abbia avuto modo di rodare accuratamente la propria line-up e le proprie capacità esecutive, rispetto alle quali risulta difficilmente attaccabile. Sotto l’aspetto dei pezzi, ammetto di non essere stato particolarmente stupito, ma nemmeno contrariato, seppur tra qualche alto e basso.
PENTAGRAM CHILE I Pentagram cileni fanno parte di quella cerchia di moniker di culto, alcuni dei quali divenuti leggendari, che a metà anni ’90 popolarono la scena estrema brasiliana ispirandosi a Slayer, Possessed, Venom e all’avanguardia del thrash estremo mondiale, teutonico su tutti: sarebbero nati i Sepultura, i Vulcano, i Mutilator, gli Holocausto… I Pentagram, tra questi e come altri, non sono riusciti a dare i natali ad un full di debutto, ma hanno lasciato in eredità all’underground mondiale demo che poi avrebbero avuto una ripercussione sorprendente sulla musica estrema, specialmente quella loro connazionale. Basti vedere quanti artisti hanno coverizzato un pezzo dei Pentagram, o appaiono in vecchie foto di inizio anni ’90 con la maglietta del gruppo, quella con l’illustrazione piuttosto amatoriale di un demone alato su di un pentacolo altrettanto stilizzato. Forse consapevoli dell’eco duratura dei loro demo, peraltro ristampati a più riprese negli anni, nonostante l’inattività totale della band, i Pentagram si sono riformati, hanno ricevuto un bel numero di proposte per date live in Europa e America, e non solo hanno cavalcato l’onda nostalgica che li ha rivoluti sul palco, ma hanno dimostrato di avere ancora devozione da vendere per la musica del diavolo, con la pubblicazione dell’eccellente The Malefice nel 2013, di fatto il primo full della band, contenente tracce assolutamente inedite. La setlist proposta al Colony in generale cerca di proporre un numero eguale di classici dal periodo ottantiano della band death/thrash cilena, così come alcuni estratti dall’ultimo full, e anche dallo split con i connazionali Unaussprechlichen Kulten, uscito quest’anno, che danno prova tangibile di quanto questa reunion si debba distinguere tra la miriade di altre analoghe per l’effettiva validità compositiva che la band dimostra, per non parlare dell’esibizione dal vivo. Infatti, sebbene uno dei due chitarristi fosse assente a causa di impegni familiari in Cile, lasciando che la band si esibisca come un power-trio, la prestazione dei Pentagram è assolutamente degna di nota. Un sound old school unito ad un esecuzione precisa, data la struttura chitarristica non proprio lineare dei pezzi, che conservano ancora il fascino del death/thrash oscuro degli anni ’80, con tanto di parti solistiche abbondanti, cambi di tempo e melodie sinistre à la Possessed. Sebbene non tutto il pubblico interessato sia riuscito a raggiungere il Colony in tempo per l’inizio dell’esibizione dei cileni, l’interesse verso l’esibizione dei Pentagram si materializza in un pubblico nutrito che va crescendo sul finale del set, tra i ringraziamenti sinceri del frontman e chitarrista Anton Reisenegger (lo stesso del super-gruppo grind Lock Up).
Fatal Prediction Spell of the Pentagram Demented The Death of Satan Ritual Human Sacrifice Horror Vacui Profaner Demoniac Possession
GRAVE Ormai sono diventati degli habitué del palco del Colony, i Grave, che vedo per la terza volta lì nel giro di due anni, e assieme a loro si presenta un seguito di fan davvero corposo, a testimonianza del fatto che la band sia attualmente tra le più seguite e produttive, almeno in senso qualitativo, della scena death metal scandinava novantiana e non. Capitanati dal come al solito da un Ola di poche parole e una sigaretta in bocca fino a poco prima di cantare, i Grave mostrano ancora attitudine da vendere, muovendosi attivamente sul palco, che padroneggiano con assoluta naturalezza tra un classico e l’altro della loro carriera: in primis la solita opener You’ll Never See, title-track dello storico secondo album del quartetto di Visby, e anche una più imprevedibile In Love dal capolavoro di debutto, Into The Grave. Trademark del sound svedese è l’immancabile distorsione grassa e ronzante delle chitarre, che unitamente al basso crea quel muro sonoro spesso e permeante che è alla base del successo di questa formula musicale. Unica e principale limitazione nello show dei Grave è stata, va detto, l’assenza del batterista effettivo della formazione svedese, assente perché doveva apparire in televisione in Svezia, a detta di Ola (perlomeno se abbiamo capito bene…). Al suo posto, lo stesso drummer dei Malevolent Creation, probabilmente sostituto una tantum in questa particolarissima occasione: sicuramente non è da tutti poter imparare rapidamente il set di un’altra band e saperlo suonare così efficacemente senza mai averlo veramente provato, ma qualche errore capita, alcuni dei quali piuttosto vistosi sulla title track del debutto, che allentano un po’ la tensione pubblico-artista che si era venuta ad instaurare durante il concerto. Oltre a questo, è stato inevitabile un accorciamento del set (anche se in favore di più pezzi classici, con solo un estratto dall’ultimo full uscito quest’anno), senza contare il coinvolgimento limitato del batterista intento a seguire degli appunti cartacei appesi alla meglio su un’asta. Forse sempre a causa della singolarità della situazione prima esposta, i Grave propongono qualcosa di assolutamente inatteso, ossia una cover (o meglio dire una reinterpretazione) di Them Bones degli Alice In Chains, che devo dire gli riesce piuttosto bene e sembrerebbe estratta da uno degli album più groove-oriented dal periodo fine anni ’90 della band. Resta comunque spazio per infilarci anche la classica Soulless, cadenzata e rockeggiante, che fa muovere a dovere i colli degli astanti. Data la relativa brevità del set, non si vede un coinvolgimento fisico troppo attivo, ma è pur sempre un seguito appassionato ad animare le prime file davanti ai Grave.
You'll Never See Passion of the Weak In Love Plain Pine Box Winds of Chains Them Bones (cover Alice in Chains) Soulless Into the Grave And Here I Die
MALEVOLENT CREATION L’attesa per i Malevolent Creation si percepisce decisamente, e viene puntualmente soddisfatta dal quintetto statunitense, che non presenziava in Italia da qualche anno, se ben ricordo; fin dal primo pezzo del set, Manic Demise, la partecipazione è calorosa e fisicamente intensa, consistentemente alla proposta musicale di uno dei gruppi che ha fatto della brutalità e precisione uno dei propri trademark. La presenza sul palco si divide tra un Jason Blachowicz, bassista, letteralmente mattatore, che incita il pubblico e suona con un piede sulla transenna, e un Brett Hoffman decisamente carico e in forma al microfono, e un’accoppiata di chitarristi un po’ meno arrembante, con il mastermind Phil Fasciana sempre a bordo palco se non verso il finale, che ha coinvolto anche lui nell’eccitazione generale. Dopotutto partiture come quelle dei Malevolent Creation richiedono concentrazione e precisione, senza le quali il classico tiro della band andrebbe a scemare, ma anche una calibratura doverosa dei suoni, i quali risultano decisamente inadeguati sui primissimi pezzi del set (batteria troppo bassa, e frequenze basse invadenti), ma che vengono poi sistemati entro il terzo pezzo. Nel frattempo la formazione ha anche avuto modo di scaldarsi a dovere, e già alla quarta Multiple Stab Wounds il risultato è massacrante, con una coesione perfetta e un’energia incomparabile, chiaramente ripagata da una risposta prontissima da parte di noi del pubblico. I pezzi estratti dall’ultimo full, in totale tre, funzionano bene dal vivo e risultano piuttosto convincenti, ma la scaletta è quasi totalmente incentrata sui primi quattro lavori della band, a mio parere capolavori indiscutibili nella storia del death metal. In particolare, i pezzi di Eternal risultano estremamente efficaci dal vivo, essendo tra i più diretti e nerboruti nella discografia dei Malevolent Creation, ma ogni estratto da The Ten Commandments dimostra una supremazia assoluta in fatto di riffing e struttura del pezzo, e in sede live, di padronanza del palco. Come si potrebbe non definirsi soddisfatti con un’accoppiata di chiusura quale Eve of the Apocalypse e Malevolent Creation? La prima è accolta letteralmente da un boato appassionato, data la devozione che ogni fan della band naturalmente nutre per una pietra miliare come Retribution: riff thrash-oriented inseriti fra alcune delle parti death metal meglio scritte che abbia mai sentito, un drumming sempre sul pezzo sia che si tratti di dare slancio, sia di dare cadenza, nonché assoli brevi e ben pensati per incastrarsi a dovere in pezzi musicalmente fitti e densi di idee. La seconda, in chiusura, riporta alle radici della band, con uno tiro pazzesco e uno stile ancora palesemente ottantiano; Hoffman alla voce ricorda ancora pienamente gli album di quegli anni, sia che si tratti di growl vero e proprio che di quelle sue vocals a metà tra l’harsh del death metal e l’urlato del thrash americano. A conti fatti, quando i Malevolent Creation lasciano il palco risultano tutti pienamente soddisfatti, dato che l’esibizione è stata davvero clamorosa.
Manic Demise Coronation of Our Domain Corporate Weaponry Multiple Stab Wounds Blood Brothers Dominated Resurgency Blood of the Fallen Homicidal Rant Imperium (Kill Force Rising) Infernal Desire Living In Fear Eve of the Apocalypse Malevolent Creation
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Mie ero dimenticato di commentare! Gran bel concerto, tutti molto bravi e suoni che si fanno rispettare. è vero che il batterista dei Malevolent ha fatto qualche errore con i Grave, MA cavolo vorrei vedere altri a suonare in live mentre legge uno "spartito" alla bene è meglio... grande! |
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