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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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MICHAEL ANGELO BATIO + ULI JON ROTH - Il Peocio, Trofarello (TO) - 11/12/2015
16/12/2015 (2140 letture)
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Due modi opposti di interpretare il rock, due chitarristi eccezionali e dal carisma incredibile, due personaggi che più diversi non si potrebbe, ma un unico denominatore comune: il tocco magico nel suonare il proprio strumento. La serata è ricca, sul palco del Peocio (piccolo e accogliente locale che si distingue per proporre spesso eventi con musicisti di grandissima caratura) saliranno due vere e proprie leggende della sei corde e il richiamo è troppo forte per essere ignorato dal sottoscritto. Sono già stato nella venue piemontese in questione, parto quindi impaziente alla volta di Torino, ma dopo qualche chilometro vengo fermato da una pattuglia, pochi minuti che sommati a quelli necessari per il tesseramento al locale faranno sì che al mio arrivo Roth stia già suonando il primo pezzo del suo show...
ULI JON ROTH Scendo le scale che portano alla saletta concerti e noto che è gremita (certo, il posto è davvero piccolo, ma comunque la cosa fa piacere) e soprattutto vedo gente di tutte le età, tra cui molti “over” comodamente seduti su alcune sedie. Uli Jon Roth è lì che sta sciorinando il riff di All Night Long; modi pacati e atmosfera quasi mistica, il baffo tedesco è bardato in pieno stile Hendrix, con la sua camicia da fricchettone, la bandana d’ordinanza e un simil-amuleto indiano bardato con delle lunghe penne... tutto di grande effetto, e quando il Nostro -dopo il pezzo risalente ai tempi dorati del mitico Tokyo Tapes- suona l’assolo di Sails of Charon il pubblico è come ipnotizzato, a riprova del climax del momento. Ovviamente la scaletta è incentrata sui brani storici degli Scorpions e in particolare quelli rivisitati nell’ultimo disco del chitarrista; a supporto troviamo alla voce e chitarra ritmica Niklas Turmann -che ha suonato proprio in quell’album-, mentre la sezione ritmica, affidata a musicisti nostrani, vede dietro le pelli Pino Liberti e Don Roxx al basso. Roth incanta i presenti con le sue movenze misurate e la presenza scenica discreta ma affascinante, e alla fine di ogni brano la sua mano sospesa a mezz’aria con il plettro tra le dita è una specie di chiusura composta ma intensa. Sono sbalordito da tanta classe e dopo Sun in My Hand la mascella mi cade a terra perché arriva uno dei miei brani preferiti degli scorpioni crucchi: In Trance irrompe dalle casse in tutta la sua immensa bellezza e pure il lavoro di Niklas al microfono le rende merito... Assolutamente fantastico! Si ripercorre la storia con We’ll Burn the Sky e, per chi sa di quale brano si sta parlando, non c’è bisogno di aggiungere molto altro: il lungo assolo di Uli -il quale si prodiga anche ai cori- è semplicemente da infarto, un’emozione incredibile sentirlo dalle sue mani, e la prestazione della band è sbalorditiva; questa magnifica poesia in rock avvolge le pareti della sala ottenendo i più che meritati applausi da tutti i presenti. Dopo altri due classici del calibro di Fly to the Rainbow e Dark Lady è il turno di un paio di pezzi di Jimi Hendrix -va segnalato che nel frattempo il gruppo viene raggiunto sul palco dall’ospite Henry Tóth il quale imbraccia la propria chitarra- e si chiude quindi con le splendide cover di Hey Joe e di Purple Haze. Uli Jon Roth saluta e sale al piano superiore per incontrare i fan -mi autograferà Taken by Force con mia somma gioia- e c’è pure un siparietto piuttosto divertente quando qualcuno gli chiede il plettro e lui candidamente risponde che non può regalarglielo perché si è dimenticato di portarseli dietro, e quindi sta suonando sempre col medesimo! Ma è ora di ritornare nel seminterrato per assistere all’altro concerto della serata; noto che rispetto a poco fa c’è un po’ meno gente (immagino che la maggior parte degli intervenuti, tra i quali molti non sono più dei ragazzini, fosse qui per assistere al live del chitarrista tedesco, del resto gli Scorpions non sono certo una band di culto), mi avvicino nuovamente al palco e mi preparo al set di Batio...
MICHAEL ANGELO BATIO Completamente diverso l’approccio di Michael Angelo Batio rispetto al collega che gli ha appena lasciato il posto: allegro e disinvolto, il funambolo della sei corde comincia il proprio set con un’esplosiva cover di Burn per poi interagire col pubblico a suon di sketch e battute. Il musicista statunitense è accompagnato da Roberto Buonanno alla batteria, Simone Massimi al basso e Piero Leporale alla voce, il quale scherzosamente presenterà i suoi due colleghi spacciandoli per musicisti “chiaramente americani” proprio come Batio; si prosegue quindi con No Boundaries -estratta dall’omonimo album- e, una volta rotto il ghiaccio, il Nostro parte con i suoi siparietti: dopo aver fatto simpaticamente dell’ironia illustrandoci come i chitarristi degli anni ‘50/’60 imbracciavano il proprio strumento (cioè praticamente tenuto all’altezza del petto), Michael Angelo Batio spiega come poi l’avvento di Jimmy Page cambiò le cose, con la postura da rockstar e la chitarra appoggiata sopra il bacino, e quindi parte il suo medley di brani targati Led Zeppelin con le storiche Black Dog, Babe I’m Gonna Leave You, Whole Lotta Love, Moby Dick e, ovviamente, Rock and Roll. Segue 8 Pillars of Steel, estratta dall’album Intermezzo, e si passa poi al tributo a Randy Rhoads -musicista amatissimo da Batio, come lui stesso tiene a puntualizzare- e dunque il Nostro si prodiga con pezzi del calibro della magnifica You Can’t Kill Rock’n’Roll, Crazy Train e Mr. Crowley, con il supporto della band e di Piero Leporale che dietro al microfono se la cava egregiamente. È quindi il turno di Rain Forest e il guitar hero proveniente da Chicago spiega che ha scelto questo nome “perché è un titolo metal!”, con risate annesse, e una volta terminata la canzone, racconta un aneddoto divertente: si trovava insieme proprio a Uli Jon Roth e Bumblefoot (ex Guns N’ Roses) a Hollywood ad una convention, quando incontra Kirk Hammett dei Metallica e i due cominciano a farsi i complimenti a vicenda: lui confessa la sua ammirazione per i ’Tallica, Kirk la propria nei confronti delle capacità di Batio, quand’ecco che si sente una voce profonda che saluta -era James Hetfield- e via di selfie con lo smartphone per il gruppetto; grandi risate in sala e dalle casse risuonano i famosi rintocchi di campane di For Whom the Bell Tolls “mixata” insieme a Welcome Home (Sanitarium), Master of Puppets ed Enter Sandman, per un medley incentrato sulle opere dei Four Horsemen. Infine il momento clou della serata, Michael Angelo Batio tira fuori dalla custodia la sua leggendaria Double Guitar e si esibisce in una lunga performance nella quale suona, tra gli altri, estratti da Purple Haze, Burn, Immigrant Song, Crazy Train, stupendo il pubblico che osserva ammirato le impressionanti evoluzioni dello shredder statunitense. Quindi dopo la cover dei Cream Sunshine of Your Love e Black Night/Long Live Rock ‘n’ Roll (tra l’altro Leporale fisicamente ricorda un po’ Ronnie James Dio), torna sul palco Tóth in veste di special guest, ribadendo la sua evidente passione per Hendrix con l’esecuzione di Voodoo Child (Slight Return), che chiude uno show frizzante e divertente, e dopo pochi minuti il solito incontro con i fan da parte di un sorridente e disponibilissimo Michael Angelo.
Non ci vuole molto per passare una serata magica: trovare musicisti di questo calibro in un piccolo locale della provincia torinese, in un contesto davvero caldo e intimo -al di là di volumi un poco esagerati- rende un evento simile ancora più affascinante (e come detto al Peocio i grandi nomi sono una costante). Era la prima volta che vedevo live Michael Angelo Batio, chissà perché mi aspettavo un tizio freddo e tutta tecnica, invece il suo show è stato davvero coinvolgente e spassoso, mentre Uli Jon Roth rappresenta una leggenda vivente e salutarlo prima di rincasare è stata una cosa tanto semplice quanto incredibile per me. Spero ci sarà presto un’altra occasione di rivivere una notte simile.
Foto a cura di Barbara e Tony @ il Peocio
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Mitico Micheal Angelo, a casa ho il suo metodo per chitarra degli anni 80, inutilizzabile sia perchè non ho più il video registratore, sia perchè ogni esercizio è fatto a 300 all'ora! La prossima volta starò più attento, mi piacerebbe vederlo live (anche se dopo due pezzi il suo shred mi annoia). |
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