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27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
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MELVINS + UFOMAMMUT - Link, Bologna (BO), 12/07/2023
17/07/2023 (767 letture)
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Con il nostro solito anticipo io e Luca (stasera in realtà saremo in tre) arriviamo al Link nel tardo pomeriggio, per aspettare l’apertura dei cancelli alle 19:30 e piazzarci sotto palco come di consueto. Notiamo con piacere una bella schiera di persone già in fila e mentre chiacchieriamo e facciamo uno spuntino – è vietato portare cibo da fuori purtroppo, ma borracce e spray antizanzare fortunatamente sì – ci passa affianco il furgone dei Melvins e tutti si girano per acclamare Buzz Osborne, mentre ci si immagina già il capelluto chitarrista intento a mangiare un piatto di tortellini in brodo in piena estate. L’occasione è di quelle davvero ghiotte e infatti la fila per l’entrata inizia a diventare lunghissima in breve tempo, con le pratiche per le tessere e i biglietti d’ingresso che a causa di alcuni problemi “informatici” si fanno macchinose ed estenuanti. Poco male comunque perché appena entrati nello spazio esterno sul retro del Link ci si può godere l’ombra e una gradevole brezza estiva, che rimarrà presente sino a metà serata. Birre e cibo non mancano, i prezzi sono nella norma e il clima è famigliare (tra l’altro becchiamo vecchi amici e ragazzi conosciuti in altri concerti bolognesi, quasi come a voler sottolineare come questo evento sia imperdibile), perciò aspettiamo la prima band della serata con il buon umore, pronti ad essere travolti da due ore di riff fangosi e volumi allucinanti.
UFOMAMMUT Il palco del trio piemontese è sobrio ed intrigante, con i due amplificatori da basso e chitarra di un verde acido – sono versioni “green” customizzate della Orange, celebri nel mondo stoner/doom – a campeggiare ai lati di una batteria ornata con il logo psichedelico della band. Il sole è ancora alto quando Urlo, Poia e Levre fanno il loro ingresso on stage, accolti con entusiasmo da un pubblico che in gran parte già conosce il gruppo e sa bene cosa aspettarsi. Vedere gli Ufomammut in azione fa ancora più piacere dopo il momentaneo break che ha portato la band a fermarsi nel 2020 e a perdere lo storico batterista Vita; lo stop ha avuto termine l’anno successivo con l’ingresso del nuovo batterista Levre, da tempo fonico e tecnico di palco per il gruppo. Ed è proprio il batterista a dare spettacolo durante il concerto, con movimenti dinoccolati e infinite bottiglie d’acqua rovesciate in testa, alternando bordate micidiali a groove ipnotici spesso condotti solamente con i piatti. Non che i due fondatori storici siano da meno, anzi: nello specifico il suono del basso di Urlo è di quelli che picchiano senza pietà, mentre per sentire bene la chitarra di Poia dalla nostra posizione bisogna aspettare tre quarti del set. A completare l’assetto live dei piemontesi ci sono poi i synth – messi in base – che si limitano spesso a fornire rumori di fondo, senza mai prendersi il ruolo da protagonisti. Le sequenze elettroniche sono fondamentali per il trio, ma sarebbe curioso ascoltare la musica degli Ufomammut dal vivo senza l’ausilio delle basi, personalmente credo che non perderebbe nulla della propria efficacia; efficacia che sta tutta nel lento reiterarsi di riff e melodie che mandano in trance il pubblico, che si gode il concerto in modi diversi: chi sta seduto e abbassa la testa per immergersi nel suono del gruppo, chi si lancia in headbanging sfrenati e chi semplicemente sta fermo a bocca aperta per godersi lo spettacolo. La scaletta è incentrata sull’ultimo album Fenice, con brani come Psychostasia e Metamorphoenix, ma la magia di colpo si interrompe a causa di un calo di corrente che fa saltare l’intero impianto del locale. La band si ferma, ringrazia e vistosamente stizzita lascia il palco per una decina di minuti prima che la situazione venga ripristinata e il set si possa concludere. Il pubblico bolognese si rivela ottimo e durante la lunga pausa non fa mai mancare il proprio sostegno alla band con incoraggiamenti, applausi e cori. Via dunque con il gran finale, con la cover di Welcome to the Machine dei Pink Floyd (micidiale il riff conclusivo) e Temple, estratta da Ecate (2015). Gli Ufomammut ci salutano lasciando i presenti contenti e soddisfatti, tanto che a gran voce chiediamo un altro pezzo per compensare i minuti persi. Niente da fare però, i tre escono e dalle casse viene mandata in riproduzione una playlist jazz/fusion che anticipa gli headliner della serata. Rimaniamo convinti – e chi ha già visto il trio concorda con noi – che gli Ufomammut siano più “efficaci” al chiuso, dove il muro sonoro di fuzz trova sicuramente maggiore potenza, ma possiamo dire senza dubbio di aver assistito ad un buonissimo set suonato con professionalità e padronanza dei propri mezzi, d’altronde parliamo di una band in giro dal 1999. Sobrietà, pochi ingredienti e tanta potenza, se non conoscete questo gruppo è ora di recuperarlo.
MELVINS Conosciamo già la scaletta che i tre folli musicisti di Aberdeen proporranno stasera – è la stessa da inizio tour – ma non possiamo non sobbalzare quando all’improvviso dall’impianto parte Take on Me degli a-ha e la band esce dalle porte laterali del palco. I ruoli sono estremamente ben definiti: Steven McDonald, vestito totalmente di rosso (basso compreso) nella sua tunica indiana, è il mattatore della serata, tra pose improbabili, ammiccamenti alle prime file e salti a non finire; è lui che canta Take on Me facendo cambiare improvvisamente il sound per lasciare spazio alla datata e ferocissima Snake Appeal (uno dei primissimi brani della band). Alle spalle del bassista c’è l’incrollabile Dale Crover, che durante l’intero set del gruppo non lascerà mai le bacchette suonando e intrattenendo il pubblico ad ogni minima pausa; ormai ben noto è anche il trucco del batterista, con due strisce nere “sanguinanti” sotto gli occhi che lo fanno assomigliare simpaticamente ad Alice Cooper. Infine c’è lui, la leggenda che porta il nome di King Buzzo alla chitarra (le voci vengono divise fra tutti e tre i musicisti), il quale si rivela essere il più dimesso dei tre, spesso con le spalle rivolte al pubblico per appoggiarsi con il proprio strumento agli amplificatori, salvo poi prendersi il proprio spazio da protagonista assoluto solamente a fine concerto. I tre sono una macchina oliatissima e suonano “alla vecchia”, senza nessun ausilio di basi – solamente qualche effetto di delay e riverbero sulle voci controllate dai fonici – ma solamente con una chitarra, un basso, pochi pedali e una batteria. Già solo per questo i Melvins meriterebbero rispetto, in un’epoca dove sembra ormai irrinunciabile il ricorso a mezzi tecnologici in sede live. I tre americani fanno però molto di più, proponendo una scaletta variegata che attraversa quarant’anni di carriera senza sprecare nemmeno un secondo. Ciò si traduce in un’interazione con il pubblico praticamente inesistente, soprattutto da parte di Osborne, ma fa parte del gioco: il trio fa parlare la musica ed essa è asfissiante, così come il clima che si inizia a respirare dopo pochi minuti dall’inizio del set, con la folla ormai numerosissima che si lancia in un pogo forsennato che costringe noi in prima fila a schiacciarci letteralmente sulle transenne; qualcuno non regge e decide di rinunciare al proprio posto, ma noi rimaniamo saldamente ancorati alla nostra posizione colando litri di sudore mentre intorno a noi la situazione si fa decisamente hardcore. In tutto questo la band alterna momenti tiratissimi – Copache, estratta dall’iconico Houdini (1993), è letteralmente un pugno in faccia ai presenti – ad altri più goliardici – la cover di I Want to Hold Your Hand dei Beatles, con i suoi cori armonizzati strappa un sorriso a chiunque – concedendo il giusto spazio anche all’ultimissimo (e dal sottoscritto apprezzatissimo) album Bad Mood Rising, in particolare con la gradevolissima Hammering, che mostra l’amore di McDonald per i Kiss e il glam rock. I musicisti sembrano divertirsi durante le brevi parentesi che si prendono per scherzare fra loro, con Dale Crover che imposta ritmiche sempre diverse sulle quali i compagni si appoggiano prima di attaccare una nuova canzone. I momenti esaltanti si susseguono riff dopo riff, con la doppietta Blood Witch/Your Blessened che fornisce una perfetta panoramica tra i Melvins del presente (più o meno recente) e quelli del passato, senza che un’era prevalga sull’altra se non per gusti puramente personali. La tripletta conclusiva scatena definitivamente la folla, che nel frattempo ha fatto drizzare le orecchie alla security dopo che un ragazzo è riuscito a salire sul palco per fare stage-diving; difatti da quel momento davanti al palco viene messo un cordone di uomini che rende il concerto decisamente meno gradevole, anche perché questi si arrampicano continuamente sulle transenne per controllare che nessuno faccia nulla di spiacevole, rovinando però la vista a chiunque. Ad ogni modo durante Honey Bucket, Revolve e Night Goat il clima si fa realmente massacrante, con il pubblico ormai ammassato in una calca scatenata. Anche King Buzzo finalmente si scioglie e si concede maggiormente ai fans avanzando fino a bordo palco – al contrario di McDonald, praticamente sempre sul ciglio dello stage per tutto il concerto – e una volta che l’ultimo riff viene macinato ecco i veloci saluti del gruppo. Ovviamente è solo un brevissimo arrivederci, prima che Dale Crover ritorni in scena per ringraziare i presenti; e quale modo migliore di concludere se non con l’epocale Boris, praticamente un monumento al drone/doom metal e a tutte le correnti sludge e noise nate dopo la sua pubblicazione nel 1991? La performance è abrasiva, con quel bordone di chitarra che viene mantenuto per circa un quarto d’ora mentre basso e batteria esplodono in maniera controllata solo nei momenti giusti e la voce di Osborne prima rabbiosa e potente e poi, una volta che il fondatore e unico membro della band stabile sin dagli esordi rimane solo sul palco, sibillina e mefistofelica nel declamare il testo della canzone a mo’ di filastrocca maledetta con solo quell’unica nota grave a sostenerne l’esecuzione. Dopo un’ora e un quarto il concerto termina definitivamente, con qualcuno che recupera il plettro di McDonald e il sottoscritto che invece riesce a prendere ciò che reputa essere la scaletta del concerto ed invece è il testo di Blood Witch, che forse il bassista non ricorda a memoria.
SETLIST MELVINS: 1. Snake Appeal 2. Zodiac 3. Copache 4. I Want to Hold Your Hand (The Beatles cover) 5. Hammering 6. Never Say You're Sorry 7. Evil New War God 8. Let It All Be 9. Blood Witch 10. Your Blessened 11. A History of Bad Men 12. Honey Bucket 13. Revolve 14. Night Goat ---Encore--- 15. Boris
CONCLUSIONE Possiamo ritenerci soddisfatti del concerto a cui abbiamo assistito, con gli Ufomammut che complessivamente si sono esibiti per quasi un’ora e i Melvins per settantacinque minuti. Certo, per un evento come il quarantennale di carriera forse ci si sarebbe potuti aspettare una scaletta più sostanziosa, ma in fondo va bene così, il caldo è massacrante ed anche gli stessi musicisti ne soffrono gli effetti, come si vede in più di un’occasione. Storciamo il naso però nel renderci conto che, a fronte di un banco merch degli Ufomammut fornitissimo, gli headliner non hanno assolutamente niente in vendita e l’unico oggetto che riporta il nome della band è la locandina del concerto a 30€. Ci avrebbe fatto sicuramente piacere vedere qualche maglia e qualche disco, chissà a cosa è dovuta la scelta di non avere merch in vendita? Nonostante questo torniamo a casa come già detto contenti: i suoni a nostro parere sono stati buoni, anche se nei giorni successivi mi è capitato di leggere più di una testimonianza che riportava lamentele da questo punto di vista, e l’atmosfera generale piacevole. Unico neo l’impiego della security in un contesto che sin dall’inizio si sapeva sarebbe stato hardcore; l’unica conseguenza che ha avuto questa soluzione è stata quella di rovinare la visuale a chi si trovava sotto palco. Capiamo la paura degli organizzatori, la gente era veramente tanta e i rischi potenzialmente notevoli, però credo che si sarebbe potuto evitare il “clima di polizia” che si è instaurato da un certo momento in poi. Ad ogni modo continuo a ritenere il Link un ottimo locale sia all’interno che all’esterno perciò sono sicuro di tornarci, la proposta artistica è sempre di alto livello.
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Bel report!
Ufomammut davvero coinvolgenti , mi sono piaciuti molto.
Melvins spettacolari come sempre , ero in quarta fila frontepalco , suoni ottimi per entrambi i gruppi.
Il link nella versione estiva mi ha conquistata ...magari avrei messo una spillatrice in più ...ma forse non si aspettavano così tanta gente.
Ci sono rimasta male anche io per l\'assenza del merch... Tra l\'altro mi era capitata la stessa cosa una settimana prima a Ferrara per gli Europe , anche lì niente banchetto merchandising. Sarei curiosa di conoscere le motivazioni.
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