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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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( 3625 letture )
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Tornano gli Harem Scarem con un nuovo album di inediti, il tredicesimo, dopo la parentesi legata alla ri-registrazione del loro album cult Mood Swings. Il gruppo sembra aver definitivamente ritrovato se stesso, dopo lo split seguente all’uscita di Hope, nel 2008. Una notizia che farà felici tutti gli amanti del melodic rock, dato che pur senza mai ottenere i meritati riconoscimenti, la band canadese rappresenta un vero tesoro nascosto, che da più di venti anni regala enormi soddisfazioni a chiunque decida di seguirne le gesta. Giusto e naturale quindi che Thirteen sia atteso con grande curiosità, ma senza troppe paure da parte dei fans del gruppo, dato che da sempre i Nostri regalano album di spessore senza mai deludere veramente nessuno, grazie ad un livello compositivo davvero encomiabile e costante, con delle punte di qualità assolute.
Dunque che dire a quanti aspettavano questa release da ben sei anni? In realtà, già lo sanno. Smettete di leggere per un attimo, andate al primo negozio di dischi (reale o virtuale) e fate vostro Thirteen senza indugi né remore. Non c’è molto altro da aggiungere per chi già conosce questa splendida band. Per chi invece si avvicina per la prima volta ai canadesi e per chi preferisce gustarsi le cose con più calma, diremmo che musicalmente parlando ci troviamo di fronte un hard rock melodico molto legato alla tradizione ottantiana, in particolare per quanto riguarda la voce ruvida e romantica di Harry Hess, un cantante splendido, dall’incontenibile feeling e capace di un’estensione davvero notevole. I rimandi al classico AOR si sprecano in particolare per l’uso di armonie e coralità estese e per refrain che si stampano subito in mente, facendo della melodia uno dei cardini essenziali della proposta. Gli interventi della tastiera, per quanto sempre presenti, sono però meno preponderanti rispetto a gruppi cardine del genere come gli House of Lords e a prevalere è sempre la chitarra di Pete Lesperance, un musicista di livello superiore capace con la sua classe immensa di caratterizzare i brani in maniera indimenticabile. E’ proprio il contraltare tra la melodia delle parti vocali e l’aggressivo tecnicismo dei riff di chitarra a costituire il trademark della band, un aspetto questo che contribuisce a mantenere la musica in uno splendido limbo tra classicità e modernità, grazie anche a tematiche mature e concrete. Come i dischi che lo hanno preceduto, Thirteen offre una qualità assoluta lungo tutta la scaletta e se il marchio di fabbrica resta indelebile e immediatamente caratterizzato, non manca qualche leggera novità, a rendere più invitante un piatto già molto ricco. D’altra parte, la separazione del 2008 non era da imputarsi a problemi tra i componenti del gruppo, né al costante disinteresse del grande pubblico nei loro confronti, quanto proprio dalla necessità di rinfrescare un po’ la propria ispirazione, esplorando anche nuovi orizzonti. Nello specifico, non si tratta di rivoluzioni copernicane, quanto piuttosto di un ulteriore step, un altro prezioso gioiello in una corona che ormai riluce dello splendore dei più grandi. Sembra in particolare Lesperance a mettersi ulteriormente in mostra, con riff e parti strumentali molto tecnici, che rimandano al lavoro di Steve Morse e Paul Gilbert (per quanto concerne i Mr. Big), che vanno ad intersecarsi al consueto songwriting donandogli una freschezza notevole. Già dall’opener Garden of Eden è evidente questa vena, che non appesantisce minimamente i brani e lascia prontamente spazio al consueto tripudio melodico di un refrain semplicemente perfetto, mentre l’assolo è un nuovo tassello alle qualità di . Se pensate che le novità si limitino a qualche lick di chitarra, ecco a voi Live It, brano che potrebbe ricordare i Tesla di Gettin’ Better con l’ennesimo refrain da stadio sparato al cielo e un assolo strepitoso nella sua concisione. La scaletta non conosce pause, i brani sono quasi tutti sotto i quattro minuti e tutti arricchiti da virtuosismi da manuale mai fini a se stessi. Decisamente più aggressiva in apertura Early Warning Signs, col suo ritmo sincopato e l’ennesimo ritornellone. Nuova linfa anche per The Midnight Hours, che maschera all’interno del consueto canovaccio hard rock un riff tanto reggae da sembrare scappato da un pezzo dei The Police, salvo poi concedersi –indovinate?- un assolo da urlo e un refrain laccato e indimenticabile. Ballatona da strappacamicia con Whatever It Takes, forse appena un po’ troppo sentita, ma è un destino di questo tipo di brano e comunque funziona benissimo. Si torna a macinare riff sincopati con Saints & Sinners, altro pezzone, e Lesperance non sembra davvero intenzionato ad abbassare il tiro in un album che rischia di vederlo serio trionfatore. Fuga a ritroso negli anni 80 con All I Need, brano che potrebbe appartenere ai Def Leppard e che non può non evocare panorami californiani, festini da spiaggia e sing along da concerto. Non il meglio dell’album a dire il vero, ma già la successiva Troubled Times rialza tiro e qualità, pur mantenendo un fortissimo richiamo alla band di Joe Elliott. Ancora riuscito il chiaroscuro di Never Say Never, ma i botti arrivano sul finale con Stardust, canzone da mandare direttamente nel firmamento. Chiude la versione acustica di The Midnight Hours, la quale assume una veste totalmente nuova, congedandoci dopo quaranta minuti intensi e bellissimi.
Niente da fare. Passano gli anni, escono migliaia di album, nascono nuovi sottogeneri, ma gli Harem Scarem restano una certezza di qualità assoluta. Difficile dire se Thirteen riuscirà a raggiungere i precedenti nella classifica di gradimento dei fan, ma certo siamo di fronte ad un album splendido, ottimo sotto tutti i punti di vista, fresco e ispirato, ancora capace di stupire nella sua apparente semplice applicazione di canoni datati e ripudiati dai più. Il ritorno degli Harem Scarem è un disco consigliato a chiunque stia cercando della grande musica, al di là delle etichette. E’ bello constatare che la differenza non la fa il genere suonato, ma semplicemente l’ispirazione che c’è o non c’è e, in questo caso, abbonda. I fan già lo sanno, ma se siete tra coloro che ancora non li conoscono, allora fatevi un favore ed ascoltateli. Non lasciate che un tesoro del genere resti ancora patrimonio di pochi.
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11
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...qui la band inizia a ri-ingranare alla grande!....ottime composizioni e grande feeling!....chi se lo aspettava dopo lo scioglimento???....son felice di rivederli anche con il drummer originale darren smith al suo posto dietro le pelli....per lo meno dal vivo! |
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10
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@foreigner faccio ous app con me stesso |
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9
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Non aggiunge molto alla discografia, buono, in qualche modo i successori degli inarrivabili Foreiger |
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8
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classe sopraffina,musicisti eccelsi e standard qualitativi altissimi per quasi tutta la loro carriera.Grandi! |
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7
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il primo omonimo è un loro classico insieme a Mood swings, molto bello, anche se Mood swings rimane il loro capolavoro |
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6
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In una discografia come la loro è anche difficile scegliere, ti direi Voice of Reason, Rubber, Higher, Weight of the World e Hope. Sì, insomma... tutti  |
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4
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dopo aver letto la recensione di questo album dovrò approfondire questa band oltre all'album Mood Swings quali altri album mi consigli? |
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3
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girate la copertina, in mezzo cosa vedete?  |
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2
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Lo devo sentire..PETE LESPERANCE, il chitarrista, è uno tra i più sottovalutati della storia!...L'ho visto dal vivo, fenomenale!! |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Garden of Eden 2. Live It 3. Early Warning Signs 4. The Midnight Hours 5. Whatever It Takes 6. Saints and Sinners 7. All I Need 8. Troubled Times 9. Never Say Never 10. Stardust 11. The Midnight Hours (Acoustic Version)
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Line Up
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Harry Hess (Voce, Tastiera) Pete Lesperance (Chitarra, Voce) Barry Donaghy (Basso, Voce) Creighton Doane (Batteria, Voce)
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RECENSIONI |
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