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Harem Scarem - Mood Swings
29/07/2023
( 1048 letture )
A chi dice che negli Novanta l’hard rock soffriva a causa dell’arrivo del grunge, andrebbe sempre ribattuto che il problema, come per il thrash, risiedeva non nelle camice a flanella, ma nell’intasamento provocato dalla quantità di uscite tutte uguali, di band che si accodavano al carrozzone prima del glam e poi dello street, per sgomitare su una scena sovraffollata senza portarci nulla di nuovo o interessante. Bisogna quindi ricordare che il cambio di decennio, oltre a prepararci al passaggio di millennio, con qualche grattacapo psicologico non da poco, coincise anche con un nuovo ordine mondiale e con la caduta di tante certezze e di tante identità, che portarono con sé via tanta spensieratezza e tanto edonismo al chilo, assieme alla lacca che causava il buco nell’ozono. Il momento delle responsabilità, dopo anni di consumismo sfrenato, sembrava insomma dover essere arrivato. Sembrava. A farne le spese furono sì i generi campioni degli anni Ottanta, AOR e glam in primis, ma non per colpa di Cobain e soci, ma perché avevano già ampiamente raggiunto il loro apice e non potevano che decadere, anche a causa del fatto che non rappresentavano (e non lo faranno più), lo spirito dei tempi. Punto.
Poi che negli anni Novanta ci siano stati pesi massimi dell’hard rock, che nulla avevano a che invidiare alle band che li avevano preceduti e che non troveranno più il favore dei media e quindi del vasto pubblico, è altrettanto vero ed è un peccato. Tra i primissimi in lista, tra coloro che davvero non ci si capacita di come non abbiano potuto vendere milioni di dischi sentita la qualità della loro musica, non possiamo non citare i canadesi Harem Scarem. Nati su iniziativa di Harry Hess e Pete Lesperance, già compagni negli heavy metallar Blind Vengeance, i canadesi firmeranno un prestigioso contratto con la Warner Bros. e pubblicheranno il loro fantastico album di debutto nel 1991. Anche qua, si dirà che il disco non vendette quanto sperato, entrando in classifica solo in Madrepatria, perché “già spiravano i venti del grunge”. Può darsi, quello che è certo è che il singolo Slowly Slipping Away (un megaclassico), entrò in classifica solo in Canada e solo in Canada il gruppo ottenne qualche ulteriore soddisfazione, dato che la canzone venne usata anche in qualche serie televisiva. Senza scoraggiarsi, i quattro pubblicarono a ruota un EP acustico, seguendo la moda dell’Unplugged e poi si buttarono nella composizione di quello che sarebbe diventato il loro disco più famoso, Mood Swings, opera seconda e tassello fondamentale della loro discografia.

Il disco si caratterizza infatti per la quasi totale assenza di interventi esterni e per le composizioni saldamente in mano al duo di testa, che gestisce anche la produzione “in casa”, seppure faccia la sua più che discreta figura il batterista Darren Smith, che si toglierà la soddisfazione di cantare in solitaria un brano. Il disco segna una svolta rispetto al debutto, per un evidente indurimento del sound, che sposta le coordinate dall’AOR a un hard rock piuttosto anthemico e potente, che diventerà da qui in avanti la cifra del gruppo. Musicalmente parlando siamo sempre in pieno territorio ottantiano e i riferimenti si sprecano, in tal senso, ma la maggior aggressività, così come le tematiche trattate, decisamente “mature” e in un certo senso pessimistiche sullo scenario sociale e sulla qualità dei rapporti umani in generale, ci dicono che gli Harem Scarem non avrebbero potuto essere che una band dei Novanta. E che, forse, il loro problema non erano le camicie di flanella, ma il mutato gusto del pubblico e la scarsa attenzione che nel 1993 anche i media riservavano a band come questa. Fatto sta che per capire il disco non resta che affidarci a quello che lui stesso dichiara, fin dal titolo: Mood Swings, ovverosia, “sbalzi di umore”, con quelle inquietanti altalene in una copertina che ben poco ha del rigore stilistico dell’AOR ottantiano. Ebbene, il titolo non potrebbe rappresentare meglio il contenuto di un disco davvero variegato e, nei limiti di genere già espressi, piuttosto cangiante e perfino sorprendente. Il centro sono invariabilmente i riff e i lick di chitarra di Lesperance, ottimo seguace di Eddie Van Halen e musicista dalla qualità sopraffina, praticamente un guitar hero e la stupenda voce graffiata di Harry Hess, virile e potente, dotata di una estensione notevolissima e sorretta costantemente da armonizzazioni costanti in pieno stile Def Leppard. Come detto, la musica è piuttosto anthemica, da “arena rock”, come si diceva all’epoca, ma se si intende approfondire appena i testi, ci si renderà conto che il realismo e la durezza delle parole sono un discreto contraltare allo “zucchero” dei cori. Un fatto che risulta evidente sin dalla opener: lick di chitarra “fischiati” di matrice blues da parte di Lesperance e, a esplodere, un riff motosega potentissimo che ci racconta i “nuovi” Harem Scarem. Hess piazza subito la prima melodia da urlo, bridge con armonizzazioni perfetto che apre a un refrain irresistibile e indimenticabile. Assolo spettacolare e quattro minuti di puro godimento. Primo pezzo, un capolavoro. Ma il brano che segue è anche meglio ed è forse la canzone più famosa della band, tanto da raggiungere le parti altissime delle classifiche nazionali: No Justice è il classico pezzo che “se fosse uscito qualche anno prima….”. Grande lavoro di Lesperance, che impreziosisce una melodia semplicemente perfetta, con un bridge che esplode letteralmente e il refrain sparato sin dall’apertura che non ammette repliche e miete vittime. Armonie celestiali e un assolo che dire tecnicamente strepitoso è poco, oltre a godere di un gran bell’arrangiamento sottostante. Lesperance non gioca davvero da riserva rispetto ad Hess, questo è poco ma sicuro e guida anche l’accelerazione conclusiva. Secondo pezzo, secondo capolavoro. Ecco, Stranger Than Love non potrebbe essere più Def Leppard di così neanche volendo, perfino Hess si trasforma in Joe Elliott e i cori sono in tutto e per tutto figli di Hysteria; solo la distorsione è più evidente di quella della band di Sheffield, ma per il resto la muta è perfetta. Se questo sia un bene o un male sta all’ascoltatore determinarlo, certo si tratta di un gran pezzo. Change Comes Around è un bel brano ritmato, nel quale il riff deragliante è ben assecondato dalla sezione ritmica e si apre poi a dei fraseggi in pieno stile Van Halen; ma ancora una volta è il refrain a risultare irresistibile e il finalone corale alla We Are the World fa davvero capire quanto il gruppo avesse lavorato su questo disco e quanto credesse nella propria musica. In effetti, già i primi quattro brani sono piuttosto variegati tra loro, ma ecco che Jealousy aumenta la variabilità inserendo un riff funky non da poco che mette in luce anche il lavoro di Mike Gionet e Darren Smith; il refrain bluesy è classico, ma ben eseguito e regge il brano, nel quale compare anche l’hammond. A dare una “svolta” in questo caso è l’assolo, che cambia atmosfera e stile incastrandosi comunque benissimo col resto. Come anticipato, è la voce stentorea e decisamente AOR di Darren Smith a guidare Sentimental Blvd, uno dei brani più divertenti e ariosi del disco, tipicamente anni Ottanta, con il piano in sottofondo e la consueta fantastica accoppiata bridge/refrain. Con questo brano e il precedente non potremmo essere più lontani dalla doppietta iniziale, a confermare che i “cambi d’umore” saranno la cifra di tutto il disco e seguendo questo leit motiv arriva Mandy, delizioso strumentale per chitarra a opera di Pete Lesperance, un classico del chitarrista che ritroveremo spesso negli album degli Harem Scarem. Nuovo cambio d’atmosfera ed eccoci alla “dura” Empty Promise, decisamente più “oscura” delle precedenti, anche se non manca il riff funky a stemperare e un refrain ancora una volta “celestiale”, per un contrasto che la band sfrutterà spesso anche in futuro; grande spolvero qua per la solista, nell’ennesimo brano cesellato alla perfezione. Introduzione a-la Bad English per If There Was a Time, sulla quale Hess letteralmente domina, toccando note inumane, e cori “leppardiani” che si sprecano, per una melodia incredibile per qualità e progressione. Altro giro, altra corsa, Just Like I Planned è una coraggiosa e riuscita canzone interamente a cappella, guidata ovviamente da un Hess ispiratissimo, accompagnato da una serie di cori spettacolari; una sorta di spiritual che mischia blues e musica “bianca” con ottimi risultati. Per chiudere, niente di meglio di una scatenata Had Enough, divertente e tirata, in stile Van Halen, per l’ennesima variazione.

Ecco, a chi dice che l’hard rock nei Novanta era morto per colpa del grunge, bisognerebbe chiedere: ma voi quando uscivano dischi del genere, dove eravate? Perché degli Harem Scarem si sono accorti solo in Canada e Giappone e pochi attenti critici musicali? Come mai da quelle parti sono diventati immediatamente delle superstar, mentre nel resto del mondo no? Sarà mica perché anche chi si lamenta era preso da altro in quel momento? Magari non dal grunge, ma dal death, dal black, dal doom, dallo stoner o da tutta quell’esplosione di musica che ha fatto di quel decennio uno dei più prolifici, inventivi e sottovalutati in assoluto? Perché diciamolo, Mood Swings è un disco enorme, fantastico, suonato alla grande, cantato alla grandissima e composto divinamente, ma ha un difetto che nessuno potrà mai togliergli e che forse gli Harem Scarem stessi sapevano di correre: pur indurendosi, pur con tematiche “adulte” e pur con tutte le qualità del mondo, si tratta di un disco orgogliosamente “fuori tempo”, uscito quando le attenzioni di tutti erano rivolte altrove, in un “rompete le righe” che ha riguardato quasi tutti e non solo le “banderuole” annebbiate da dizioni strascicate e distorsioni fangose. Altri difetti questo disco non ne aveva allora e non ne ha oggi, risultando godibile adesso come trent’anni fa. Chissà che chi all’epoca si batteva il petto piangendo i bei tempi e lo fa ancora oggi non se ne accorga e tributi ai canadesi il merito che ai tempi non gli fu riconosciuto per quanto avrebbero meritato.



VOTO RECENSORE
88
VOTO LETTORI
91.26 su 15 voti [ VOTA]
brus
Martedì 10 Ottobre 2023, 19.17.34
10
esattamente, il problema di quelle bands era che non avevano un originalità, uno stile definito, alla fine si somigliavano un pò tutte da questo punto di vista Come tu dici tu le major ti scaricavano in fretta se non vendevi vero però su quelle band o artisti che avevano un \"marchio di fabbrica\" tutto loro puntavano molto anche se non vendevi per i primi 2 3 o 4 album addirittura.
Fabio
Lunedì 9 Ottobre 2023, 20.48.44
9
Ah ok brus, avevo capito che gli Harem Scarem fossero per te di maggior successo rispetto agli altri nomi. Beh negli anni 80 effettivamente c\'erano parecchie band, diciamo classiche, che hanno fatto uno o due album poi scaricate, le major se non vendevi questo facevano, vedi anche Bang Tango, Baton Rouge, Blue Murder , Beggers & Thieves e tanti altri
brus
Sabato 7 Ottobre 2023, 13.52.02
8
no no io inserisco gli harem nello stesso calderone di band \"sfigate\" infatti. Non considero nessuna di questa band hair metal infatti non l\'ho scritto. Ho fatto una serie di nomi di gruppi di fine anni \'80 che dopo 1 o 2 dischi con con un contratto major sono poi state scaricate. Su i Great White ok ma un certo successo l\'hanno avuto solo sul finire di quella decade.
Fabio
Venerdì 6 Ottobre 2023, 20.38.20
7
Scusa Brus non ho capito una cosa: quindi per te rispetto le band da te elencate solo gli Harem Scarem sono noti al grande pubblico? Non credo, anche se non ho dati alla mano, che abbiano venduto di più dei Great White, che non sono fine anni \'80, ma veri pionieri di quegli anni. Diverso il discorso per gli Icon che furono scoperti da Mike Varney e il primo album è Heavy metal US e, per questo, Night Of The Crime fu da alcuni criticato perché troppo morbido, ma Kerrang! Inserì l\'album nei migliori 3 All Time dell\'aor. Bulletboys sicuramente meno importanti per la scena. Badlands discorso a parte visto che sono influenzati da Zeppelin, Bad Company e Grand Funk. È che da quando negli anni 2000 si è cominciato a parlare di hair metal tutti sono finiti in un unico calderone, senza tener conto delle tantissime sfumature. Cosa abbiano poi di glam i Great White per me rimane un mistero, anzi una vera e propria stortura: spero che Metallized recuperi i primi album e mini che sono US metal
Brus
Venerdì 6 Ottobre 2023, 17.47.33
6
Davvero un bel disco però bisogna dire.una cosa. Ultimamente sto ascoltando tutta.una serie di band sfigate fine 80 tipo Badlands ,great white ,bulletboys , icon ecc.. Tutte ottime bands e album. però in fondo in fondo si capisce perché non sono arrivate in \"serie A\". Manca l\'originalità,lo stile, alla fine è quello che fa davvero la differenza. Puoi avere musicisti con i controglioni ma al grande pubblico non interessa questo. Dopo anni mi sono convinto che c\'è un motivo se pochissimi ce la fanno e milioni di altri no, gusti a parte .
DaveHC
Giovedì 3 Agosto 2023, 21.26.59
5
Veramente una perla di hard rock spesso sottovalutata.... Io l\'ho scoperta circa una ventina di anni dopo la pubblicazione, ma era ed è tutt\'ora un disco validissimo
Fabio
Lunedì 31 Luglio 2023, 20.14.27
4
Grande album, per me il migliore della band, perché rispetto al primo ( il mio secondo preferito ) possiede arrangiamenti, anche vocali, che suonano molto più personali
Aceshigh
Domenica 30 Luglio 2023, 16.26.09
3
Grandissimo album! Difficile scegliere tra questo e l’esordio (forse io scelgo l’omonimo, più… luminoso), ma sempre di grande musica stiamo parlando. Anche qui i pezzoni si sprecano: le prime tre, Sentimental Blvd., If There Was a Time. Una sola parola: classe. Voto 87
Rob Fleming
Domenica 30 Luglio 2023, 10.28.25
2
Questi sono fuoriclasse assoluti. Ma proprio tanto tanto. mi piacerebbe leggere un bell\'articolo su di loro con discografia commentata. Se lo meriterebbero. Anche il successivo Voice of reason, abbastanza criticato all\'epoca per dei \"grungismi\" è un album eccellente. E poi i gruppi in cui tutti cantano e fanno i cori mi hanno sempre affascinato perché la proposta è ancor più di impatto. 85
Roberto
Sabato 29 Luglio 2023, 15.44.08
1
Disco superlativo. Lesperance grandissimo chitarrista di eccezionale talento. A chi piace il chitarrismo anni 80 tecnico ma melodico allo stesso tempo è assolutamente consigliato. Ascoltate il solo di If there was a time. Voto per me 90 secco senza se e senza ma
INFORMAZIONI
1993
WEA
Hard Rock
Tracklist
1. Saviours Never Cry
2. No Justice
3. Stranger Than Love
4. Change Comes Around
5. Jealousy
6. Sentimental Blvd.
7. Mandy
8. Empty Promises
9. If There Was a Time
10. Just Like I Planned
11. Had Enough
Line Up
Harry Hess (Voce, Chitarra, Tastiera, Produzione, Ingegnere del suono)
Pete Lesperance (Chitarra solista, Cori, Produzione)
Mike Gionet (Basso, Cori)
Darren Smith (Batteria, Cori, Voce solista su traccia 6)

Musicisti Ospiti
Rob Cooper (Organo Hammond B3)
 
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