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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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Tear Out the Heart - Dead, Everywhere
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( 2000 letture )
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Ad un primissimo esame prognostico i presupposti non sembravano così male: il nome accattivante dell’album (Dead, Everywhere), la copertina che si riconduce bene al titolo, raffigurando un anfibio che calpesta la testa di un uomo a terra e le anticipazioni della preview che facevano pensare a qualcosa di quanto meno interessante. Purtroppo,visti gli ultimi video musicali, e naturalmente ascoltato il suddetto album, le buone speranze auspicate all’inizio hanno inesorabilmente cominciato a crollare l’una dopo l’altra.
Proprio così, i Tear Out the Heart, nell’estetica e nel merito, sono la perfetta commistione di una serie di cliché che stanno attanagliando una determinata frangia del mercato musicale da fin troppo tempo. Infatti, la band americana, alla seconda uscita discografica ufficiale, propone l’ormai classico abbinamento fra hardcore “spacca ossa”, melodia di stampo metalcore che si esalta soprattutto nei ritornelli e in qualche sporadico caso isolato inserti elettronici che cercano di rinvigorire il suono con soluzioni diverse che vorrebbero dare qualcosa in più a livello contenutistico. Naturalmente, non manca anche il classico connubio fra voce growl/scream e voce pulita: Tyler Konersman, il frontman dei Tear Out the Heart, per lo scream, si ispira direttamente a Oliver Sykes dei Bring Me the Horizon in modo evidente, tanto che in alcuni casi si può parlare di vera e propria emulazione; inoltre, la scelta di fare un largo uso di effetti che modificano la voce è discutibile. La voce pulita invece è usata prevalentemente nei ritornelli: questa è squillante,decisa e si riconduce facilmente nelle fila dell’emocore.
Dead, Everywhere è un album abbastanza consistente (parliamo infatti di 14 tracce); l’introduzione è un breve skit composto da una voce dai tratti demoniaci che arringa la folla alla rivoluzione e si riconduce, dopo appena un minuto, alla traccia successiva, Feel Real, nella quale si possono subito evidenziare quelli che sono i canovacci ai quali la band si ispira nel merito e nelle tematiche. Questa è una traccia interessante, presa singolarmente: le tastiere che creano un’atmosfera oscura, i riff cadenzati dai sentori nu metal ed il breakdown che anticipa il ritornello conclusivo sono tutti elementi non innovativi, ma elaborati bene rendendo il pezzo piacevole, grazie anche ad una produzione ottima. Il problema fondamentale che si riscontra continuando nell’ascolto dell’album è che i Tear Out the Heart utilizzano gli stessi schemi di partenza per la maggior parte delle tracce restanti; la band cerca di rimescolare la carte sul tavolo alla ricerca frenetica di qualcosa di nuovo, ma ricadendo inesorabilmente nel frustrante circolo vizioso del “sentito e risentito”. La band dimostra, ad esempio, di saper usare bene l’elettronica, ma questo elemento è stato usato solo in modo circostanziale e avrebbe meritato una maggiore centralità. Le due ballad invece sono più interessanti: in Viking Funeral la voce di Tyler Konersman è sofferente e l’atmosfera funerea ricreata dalle chitarre e dalle tastiere in sottofondo è tragica e riflessiva; Incomplete, invece, è un pezzo in costante crescendo, che parte con un atmosfera di tastiere rilassata ma allo stesso tempo sinistra, accompagnata dalla drum machine e dalla voce pulita. Successivamente sono le chitarre a fare il loro ingresso e il pezzo diviene più animato e dinamico grazie ai riff cadenzati. Per il resto, nulla di nuovo: i riferimenti a band come of Of Mice & Men e i primi Bring me the Horizon (che al contrario di molte altre band, hanno deciso di virare in modo deciso: i primi, ancora in fase di transizione, verso i lidi del nu metal, i secondi, invece, verso un post-hardcore dove l’elettronica gode di una certa centralità) sono troppo ingombranti e non costituiscono una mera “ispirazione”. Inoltre, i vari riff di chitarra sono tutti uguali, i ritornelli girano sempre sugli stessi 4 power chord e la partecipazione degli altri membri della band nei cori di sottofondo dei ritornelli dà quell’aria di gruppo punk rock abbastanza fuori luogo in un album che si presenta, nelle anticipazioni, oscuro e tenebroso.
Tutte quelle intuizioni che hanno cominciato a balenare nella testa nei primi ascolti si sono avverate tutte, alla fine: Dead, Everywhere è un album povero di idee e contenuti. I Tear Out the Heart hanno voluto puntare su un prodotto sicuro, senza prendersi alcun rischio e forzare la mano su quegli elementi che avrebbero potuto rendere il disco quanto meno piacevole e diverso da quello che il settore discografico di riferimento propone ultimamente. La band ha semplicemente scelto la via più semplice, conformarsi in tutto alle leggi di questa e probabilmente rimanendo, musicalmente parlando, nell’anonimato: inesorabilmente, l’aria da burberi “bad guys” dai tatuaggi accattivanti ma dal cuore tenero, l’abbigliamento alla moda, il ciuffo perfettamente a posto e il canale Vevo su Youtube faranno tutto il resto. Dispiace dover scomodare il filosofo britannico Thomas Hobbes, ma bisognerebbe ricordare a gruppi come i Tear Out the Heart che il mercato discografico è proprio come il Leviatano: un mostro mastodontico e invincibile, ma allo stesso tempo, tremendamente mortale.
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Dead Everywhere 2. Feel Real 3. I’ve Got a Secrete 4. Damage controll 5. The Rejected 6. Boiled Nails 7. Breaking Through 8. Viking Funeral 9. You Are No King 10. Error 11. School of Bleeders 12. The Epitome of Misery 13. Incomplete 14. Curse You
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Line Up
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Tyler Konersman (Voce) Josh Spohr (Chitarra) Matthieu Murphy (Chitarra) Isaac Etter (Basso, Voce) Matt Epstein (Batteria)
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RECENSIONI |
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