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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Last in Line - Heavy Crown
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19/02/2016
( 2987 letture )
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Cosa pensereste di un album di Ronnie James Dio senza Ronnie James Dio? Messa così la faccenda potrebbe sembrare semplicemente improponibile, eppure, al di là di ciò che si potrebbe pensare di primo acchito su un gruppo che decide di chiamarsi Last in Line, la carne al fuoco ha indubbiamente un certo gusto rassicurante e ben conosciuto. Formata per 3/4 da elementi che insieme all’elfo d’origine italiana, formarono il gruppo che scrisse le pagine migliori della carriera solista di Ronnie, con la sola esclusione del tastierista Claude Schnell, che pure aveva fatto inizialmente parte del progetto restandovi coinvolto fino a tempi recenti, la band era molto attesa per il suo esordio. Dopo un periodo di tempo trascorso suonando solo i vecchi pezzi di Dio, i Last in Line decidono di saltare il fosso, passando dallo stato di tribute band a quello di nuovo gruppo con materiale originale. Il risultato dei loro sforzi è un album intitolato Heavy Crown il quale, nemmeno a dirlo, suona a tratti molto, ma molto simile ad un vecchio lavoro dei tempi d’oro, come se il tempo non fosse mai passato. Il problema maggiore, lavorando in questa direzione, non è tanto quello di rischiare di produrre un CD fotocopia di quelli usciti ad inizio anni 80, ma quello di fare un disco che suoni in maniera personale ed inserendo un cantante che possa credibilmente occupare un ruolo che, inevitabilmente, sarà sempre accostato a quello dell’originale. Scelto già nel 2012 Andrew Freeman, cantante e chitarrista molto noto nel giro U.S.A. con un numero elevatissimo di collaborazioni all’attivo, conciliati i vari impegni ed i vari problemi dei musicisti coinvolti (Campbell ha dovuto fare i conti con un linfoma di Hodgkin, oltretutto) ed affidatisi a Jeff Pilson (Dokken, ma soprattutto Dio) come produttore, i Last in Line sono finalmente riusciti a registrare il proprio materiale tra il 2014 ed il 2015.
Inutile negarlo, le maggiori curiosità all’avvio della riproduzione di Heavy Crown non sono relative al tipo di musica che l’album ci proporrà. Che si tratti di un prodotto nel pienissimo solco del Dio-sound degli inizi è fatto dato assolutamente scontato dai più. Ma sarà davvero così? Le domande che sgorgano spontanee sono: riusciranno i Last in Line a restituire quell’atmosfera antica, senza sembrare una stucchevole operazione commerciale priva di struttura? Riuscirà Andrew Freeman a risultare accettabile/credibile nel ruolo di cantante di un gruppo che si porta appresso una precisa eredità morale? La scelta sarà stata quella di cercare un clone di Ronnie o di qualcuno che possa ricordarlo, ma che ci metta qualcosa di suo? La risposta a tutte queste domande comincia a materializzarsi fin dalle primissime note di Devil in Me, brano già noto in quanto scelto dalla band per fare da biglietto da visita presso il grande pubblico. Il pezzo è ben più che un omaggio alla figura di Dio, dato che potrebbe essere tranquillamente scambiato per una canzone andata perduta durante le sessioni di registrazione di uno dei primi due dischi da solista di Ronnie. Uno di quei classici mid-time solenni che tanti cuori fecero battere, con la prestazione vocale di Freeman che ovviamente ricorda nell’impostazione quella di Ronnie, ma solo nella misura in cui è il brano a costringerlo entro certi schemi, produzione compresa. Il suo timbro è un po’ più acuto, meno rotondo, meno avvolgente e caldo di quello di Dio, ma svolge il suo ruolo ottimamente e, soprattutto, contribuisce a non far sembrare la canzone solo una sbiadita fotocopia. La prestazione del cantante si manterrà su questi livelli per tutta la durata di Heavy Crown, venendo maggiormente fuori quando la band spingerà su canzoni meno made in Dio. Ritmi che si alzano con decisione con Martyr, seconda “business card” per il pubblico. Ancora una volta, pezzo che farà vibrare i cuori di chi era tra quelli che attendevano in tenda davanti alla saracinesca dei negozi di dischi, attendendo l’uscita di un album di Ronnie James Dio. Vinny Appice roccioso e quadrato come sempre, Jimmy Bain preciso ed affidabile (ovviamente torneremo su di lui in chiusura di recensione) e Vivian Campbell che torna semplicemente a fare Vivian Campbell; ed era ora, ca...volo. Starmaker abbassa nuovamente i bpm, introducendo un’atmosfera leggermente meno scontata, pur essendo sempre pienamente nell’area di riferimento prescelta. Il pezzo, elegante, suona comunque un po’ più americano nell’interpretazione di Freeman ed anche su questo torneremo alla fine. Ritmi che restano contenuti anche con Burn This House Down, altro prodotto tipico del background del gruppo, sostenuto dalla batteria di Appice, sulla quale si muove la voce di Freeman e con Bain ad “accentare" il tutto; discreta, ma non trascendentale. C’è la necessità di rialzare il ritmo, ed a questo provvede I Am Revolution, pezzo di substrato rock’n’roll adeguatamente metallizzato che va immaginato più dal vivo che su CD, visto che come costruzione non è il massimo che Heavy Crown sia in grado di proporre. Testa che si muove ossessivamente, comunque, e questo basta. Altro brano basato su un clima sinistro e ritmi bassi con Blame It on Me, ancora imperniato sulla prestazione del cantante. La canzone scivola via abbastanza piacevolmente, ma non colpisce completamente nel segno, se non nella parte riservata alla sei corde di Viv. Estremamente made in Dio nel suo riff di base Already Dead, altro motivo reso più svincolato dalla sua matrice musicale dall’interpretazione di Freeman e ben bilanciato tra velocità e rallentamenti d’effetto. Ancora Campbell in bella mostra, per inciso. Curse the Day è certamente il brano più radio-friendly del lotto (in senso americano), ma siamo sempre entro i normali parametri di accettabilità e dignità, considerando il contesto. Sempre ritmi contenuti con Orange Glow, anche questo un brano che potrebbe teoricamente godere di un certo airplay statunitense, con un piacevole ritornello e la band a portare a casa una canzone non trascendentale con la grande e consueta classe dei musicisti. La title-track giunge quasi in chiusura e, ancora una volta, è la sua sinuosità hard rock a costituire l’ossatura dell’opera, nonostante una certa robustezza ascrivibile all’arrangiamento. Poi tocca a The Sickness chiudere il lavoro, un’altra canzone connotata dal basso di Bain e dal suo tipico suono. Godibile, pur senza alcuna soluzione particolare al suo interno e salvata e migliorata dai musicisti, più che dalla scrittura.
Dovendo tracciare un bilancio finale dell’operazione Heavy Crown, bisogna dire che molto rientra nell’atteso, ma c’è anche una parte meno scontata che viene fuori in maniera evidente. L’ipotetica facciata A di un vinile -da Devil in Me a Burn This House Down- è molto più chiaramente riferibile alla musica di Ronnie James Dio, al quale i Last in Line fanno ripetuto omaggio anche produttivo, pur non inserendo mai vere e proprie scopiazzature ed aprendosi anche a qualche eco sabbathiano pienamente comprensibile. La seconda parte si mostra leggermente più moderna, personale e orientata verso un heavy di classe con possibilità di accesso alle radio americane, con la mano di Pilson più evidente. I tre musicisti della band originale sono tutti in grande spolvero, con Appice all’altezza e specialmente Campbell in palla. Quest’ultima è forse la nota più lieta e rassicurante dell’operazione Heavy Crown. Andrew Freeman si mostra poi equilibrato nel ricordare Ronnie, ma non più di tanto e distinguendosene abbastanza nettamente ogni volta che può. In particolare, meglio riuscite le sue prestazioni proprio nella seconda metà dell’album, quando i Last in Line gli consentono di essere più sé stesso e dimostrare quanto il suo timbro sia opportunamente diverso da quello che ci si aspetta. Nota a parte per il compianto Jimmy Bain, caratteristico ed efficace come sempre, il quale non ha purtroppo fatto in tempo a vedere i frutti del suo lavoro con la band, come riportato a suo tempo con questa notizia. Il gruppo, comunque, sembra già alla ricerca del sostituto, che potrebbe forse essere Rudy Sarzo o lo stesso Pilson. Considerazioni sul futuro a parte, Heavy Crown è un album a tratti ampiamente prevedibile, a metà tra l’omaggio e l’opera originale, ma senza mai scadere nel tributo vero e proprio. Da questo CD si possono ascoltare tanti guizzi di classe esecutiva, un cantante per alcuni versi sorprendente per il modo molto maturo in cui interpreta il ruolo che è chiamato a recitare, ed un lotto di canzoni godibilissime sia per i nostalgici della Dio-era, che per chi ascolta heavy rock in generale. Nulla di trascendentale, ma un disco concepito e realizzato da professionisti di altissimo livello che non tradiscono (quasi) mai.
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@ hard`N`heavy per me il capolavoro vero è solo holy diver. Però più che sacred io mi butterei su "dream evil" della prima fase. Ma in effetti se ti piace Dio vale la pena ascoltarseli tutti. |
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@ Raven . come ben puoi vedere dal mio commento, ho rispetto di questa band ( continueranno senza jimmy ? ) e di questo disco, quello che tu mi hai risposto è specchio di verità e siamo d'accordo al 100% , ho riascoltato + volte questo disco in questi giorni e non è male, ma alla fine sono proprio queste release che mi hanno fatto smettere di scrivere sulle 'zine ; voglio dire è ben suonato, è chiaro come il suo moniker quindi rispetto totale, il cantante francamente fa piu' di quello che immaginariamente avrebbe potuto fare ma.... mi resta sempre quella voglia di riascoltare i vecchi dischi , non so come tu faccia a fare il tuo lavoro/passione , ma questo mio amarcord e forse una vecchia musicale affetta da demenza senile , mi hanno tolto molto gusto nelle uscite dei dischi degli ultimi 10 anni , con qualche piccola eccezione. E non ti parlo dei voti, xk quelli sono veramente difficili da affibbiare. |
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x jek grazie del consiglio!!!! |
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@Metal Shock me lo sono sempre chiesto anch'io cosa centra Vivian con i Def Leppard. Per quanto riguarda la discografia di Dio per me non ne ha sbagliato uno, ma io forse sono troppo di parte, se non fosse per la mia veneranda età rientrerei nella categoria fan boy  |
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Mi chiedo solo perche` Vivian ha sprecato il suo tempo con i Leppard; e` uno dei migliori chitarristi heavy metal di sempre e si mette a vivacchiare suonando pop metal. Mah!!! @Jek: proprio ogni album di Dio non direi: Lock up the wolves e Angry Machine non sono cosi` fenomenali |
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Quoto il commento di @Raven. @hard'n'heavy qualsiasi disco di DIO è da avere  |
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@ilfrancese899: Quella è la mia stessa impressione iniziale, ma andando avanti con gli ascolti si scoprono più sfumature.Certo, gli omaggi si sprecano e l'area di riferimento è chiarissima fin dal moniker, ma ripeto: c'è anche qualcosa che in un tipico album di Dio non avrebbe avuto posto. |
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7
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Disco ben rifatto , buoni tutti gli strumenti e la voce riesce anche nel difficile compito.... peccato che questo album non sia che una specie di atto amarcord a favore delle bands del grande Dio, non possiamo parlare di nessuna personalità e neanche di plagio xro' , è solo un atto di riconoscimento verso uno dei piu' grandi miti del metal . Peccato che se voglio ascoltare il piccolo Elfo , di certo metto su i suoi album , e non quello della sua cover band ufficiale. Patetici , ma con enorme rispetto . |
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6
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Dopo vari passaggi posso dire che a scanso di sorprese sarà tra le migliori uscite 2016 in ambito heavy. Tranne alcuni pezzi un po' ruffiani il resto è ottimo Heavy con notevoli spunti quando pigiano sull'acceleratore, sostanzialmente tutto come già scritto nella recensione. Faccio quattro rifessioni: 1) è dal 1985 che aspetto di ascoltare ancora suonare quello che per me allora era tra i migliori chitarristi del panorama Metal, qua sarà l'aria Dio che si respira in questa tracce ma Vivian e rinato. 2) Appice è e sarà sempre uno dei batteristi Heavy migliori. 3) Per chi avesse avuto dubbi sulla grandiosità del compianto Jimmy Bain qua ne può avere un assaggio. A sto punto spero nell'arrivo di Rudy Sarzo 4) Un plauso anche alla prova vocale di Freemanche per lo meno non scimmiotta Dio rendendosi patetico ma ha una buona personalità. Voto 75 per il disco 90 per Vivian  |
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5
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in genere i dischi li compro, li ascolto e poi commento. ma questa volta ero troppo incuriosito da questa uscita di cui non sapevo nulla. la mia impressione è che questo cantante non abbia proprio nulla a che fare con Dio, mi sembra una voce più hard-rock che HM, stile Fernando Garcia dei Victory. |
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3
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Rispetto per il solo fatto di aver inciso 3 dischi semplicemente stupendi. |
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2
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Grandissimo album ... Ascoltato più volte e devo dire che mi piace sempre di più ! Band al top e Viv e' Fantastico ... Con lui anche Andrew e' formidabile.... Li voglio a Roma on stage ! |
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1
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Mi è bastato leggere la formazione e questa frase della recensione "Vivian Campbell che torna semplicemente a fare Vivian Campbell" per convincermi all'acquisto. Lo ascolterò un po' di volte poi dirò la mia. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Devil in Me 2. Martyr 3. Starmaker 4. Burn This House Down 5. I Am Revolution 6. Blame It on Me 7. Already Dead 8. Curse the Day 9. Orange Glow 10. Heavy Crown 11. The Sickness
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Line Up
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Andrew Freeman (Voce) Vivian Campbell (Chitarra) Jimmy Bain (Basso) Vinny Appice (Batteria)
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