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Walter Pietsch - Once You Rock - Never Forget
25/09/2016
( 1562 letture )
Il titolo di questo disco, dice già tutto dello spirito con il quale è stato realizzato e le note interne, opera ovviamente del suo autore, non fanno che confermarlo. Si tratta di un atto di amore verso il proprio strumento e verso il proprio lavoro, che un musicista navigato e che non ha più nulla da dimostrare, si è preso la libertà di mettere in musica e pubblicare. Il musicista in questione è Walter Pietsch, storico chitarrista degli Axxis, band tedesca che senza aver mai davvero sfondato, ha regalato ottimi album di hard’n’heavy melodico che hanno garantito nel tempo ampi riconoscimenti ai loro autori, in particolare il debut Kingdom of the Night che fu a suo tempo il disco di debutto più venduto da una band tedesca. Dopo l'uscita dal gruppo, ormai quasi vent’anni fa, Walter ha proseguito la propria attività rimanendo nel settore e ricavandosi un nome come produttore e "uomo dietro le scene". Un curriculum ricco e che ci fa capire quanto egli ami quello che fa. Ma un disco, per quanto possa valere il parere di un critico, non si valuta solo sulle intenzioni che lo animano, quanto soprattutto sul risultato finale che arriva alle orecchie dell’ascoltatore.

Se queste canzoni fossero state scritte per il puro piacere del loro autore e registrate in un demo per rimanere come testimonianza cara a chi le aveva realizzate, nessuno probabilmente le avrebbe mai ascoltate, ma nessuno avrebbe avuto da obbiettare sulla loro reale consistenza. Quando invece si realizza un disco e lo si pubblica, sapendo che qualcuno potrebbe dover pagare per ascoltarle (anche se in epoca digitale, dire una cosa del genere suona terribilmente naive), si dovrebbe essere sicuri che rompere il silenzio, al di là del significato che ha per noi, possa valere qualcosa anche per chi ha investito tempo e denaro. Vista in questa ottica, la situazione di Once You Rock – Never Forget, muta vistosamente. Questo album infatti rivela alcune sostanziali pecche non prevedibili da un autore dell’esperienza di Walter Pietsch. Lui stesso e persino il foglietto di accompagnamento, sanno che il risultato delle linee melodiche del cantato è tutt’altro che grandioso. Walter tiene a specificare di non essere un cantante, ma di aver semplicemente messo delle linee melodiche sulle canzoni. D’altra parte, è per le canzoni che siamo qua e la voce piatta, afona, priva di qualunque appoggio ed estensione, vagamente intonata, che regge tutte e dodici le tracce contenute nel disco, assolutamente non è all’altezza della situazione e parlando di un album di hard rock melodico, questo è inaccettabile. A niente servono i numerosi backing vocalist coinvolti nei cori, se poi tutte le canzoni risultano spompate e prive di qualunque capacità di coinvolgimento a causa di un cantato deficitario. Se poi a questo aggiungiamo per la gran parte brani assolutamente ordinari e privi di qualunque picco di scrittura, banali e scontati nella quasi totalità, il gioco è già ben delineato. Il tentativo di creare un disco di rock moderno, che colga sia lati più vicini al pop radiofonico che al rock’n’roll e all’hard primordiale, poteva essere degno dell’attenzione di quanti volessero un album maturo, realizzato da un musicista esperto del settore e che sa quali ingredienti siano necessari per scrivere un brano capace di restare. Purtroppo, anche in questo caso, il bersaglio è stato totalmente mancato. L’opener Deep Inside è significativa di quanto andiamo dicendo: il riff di apertura, accompagnato dal tappeto di sintetizzatore, potrebbe addirittura ricordare qualche outtake da un album degli H.I.M. o di una band di gothic rock guitar oriented; purtroppo, a questo punto è l’ingresso della voce di Pietsch a distruggere quanto messo in campo in maniera indelebile e se anche il refrain melodico e cantabile poteva in qualche modo valere qualcosa, l’assenza totale di estensione e intensità, affossano tutto e cancellano anche il ricordo del piacevole assolo. Scendere nel dettaglio dei brani diventa di conseguenza un inutile accanimento terapeutico e a poco vale il tentativo di saltare da un genere all’altro, in cerca di qualcosa che resti e si salvi dalla mediocrità generale e in assenza di un interprete all’altezza, non saranno certo le ballad a cambiare qualcosa; così, anche una discreta canzone come The Window, diventa difficile da digerire fino in fondo, a meno di cercare di ascoltarla cancellando in toto la linea vocale. Meglio con un pezzo dall’anima rock’n’roll, più ritmato e diretto come la titletrack, nella quale non sono richieste abilità canore particolari. Senz’altro meglio una Rule the World, col suo piglio energico e il riffing moderno, ma anche qua resta la sensazione che ad emergere sia comunque un brano sufficiente e niente più, in mezzo ad un mare di mediocrità; stessa sensazione che si respira nella successiva Kill the Schwachsinn, che nelle intenzioni dovrebbe apparire oscura e melodica, con i sintetizzatori e un’atmosfera opprimente a fare da padroni a fronte di un ritornello melodico e cantabile. Tremenda e senza appello invece Fire and Ice, ballad insopportabile per zuccherosità e pesantezza, nella quale perfino il coro riesce a peggiorare la situazione. Nel complesso, la seconda parte dell’album, inaugurata da Down to Broadway risulta decisamente più convincente, anche perché più decisamente votata a sonorità rock robuste, quelle nelle quali anche Pietsch si trova decisamente più a suo agio e lo confermano canzoni come Let the Music e Kingdom Sun, che semplicemente funzionano, senza far gridare al miracolo. Dove invece il chitarrista non fallisce affatto il colpo è nelle parti solistiche, sempre e comunque di buona qualità e dotate di un suono caldo e brillante, capace di lasciare il segno ed elevare il livello di brani raramente significativi, se non in qualche frangente, come in Let It Rain, classico AOR da classifica e unico vero acuto compositivo in una desolazione sconsolante.

Siamo quindi al cospetto di un album realizzato quasi unicamente per il piacere di chi lo ha scritto. Lodevole nelle intenzioni, ma del tutto deficitario nel risultato finale. La presenza di qualche brano di rilievo, comunque davvero pochi, non basta assolutamente a salvare un disco mediocre e affossato in maniera definitiva da una prestazione vocale assolutamente non degna del tempo e del denaro di chi fosse in cerca di un disco di rock maturo e di qualità. Troppa l’offerta che affolla il mercato odierno per perdersi dietro ad un’uscita come questa e le qualità di Walter Pietsch come chitarrista da sole non possono salvare canzoni scialbe e prive di quello spessore capace di catturare l’attenzione e il piacere dell’ascoltatore. Dispiace per l’occasione persa, sarebbe forse troppo affermare che con un vero cantante il risultato sarebbe stato completamente diverso, ma certo così resta ben poco da commentare. D’altra parte, a questo punto resta da domandarsi se davvero Pietsch sia soddisfatto del risultato finale, come sembra dalle note e, stabilito questo, congedarci con un proverbiale "contento lui…"



VOTO RECENSORE
53
VOTO LETTORI
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INFORMAZIONI
2016
SAOL
AOR
Tracklist
1. Deep Inside
2. The Window
3. Once You Rock
4. Rule the World
5. Kill the Schwachsinn
6. Fire and Ice
7. Down to Broadway
8. Let the Music
9. Kingdom Sun
10. Let It Rain
11. Unheard
12. Epilogue
Line Up
Walter Pietsch (Voce, Chitarra, Basso, Tastiera)
Johan Norgren (Batteria su traccia 2, Cori su traccia 6)
Leyla Yilbar Norgren (Cori su traccia 6)
Sabine Roesing (Chitarra su traccia 7, Cori su tracce 3,4)
Rebekka Dappen (Cori su tracce 5,6)
Anke Beuth (Cori su traccia 7)
Joerg Pelzer (Tastiera su tracce 7,8, Sintetizzatore su traccia 3)
Roy Zitter (Cori su traccia 5)
 
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