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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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Enzo and The Glory Ensemble - In the Name of the Son
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28/11/2017
( 2851 letture )
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Quando, circa due anni fa, uscì improvvisamente In the Name of the Father, prodotto concepito da Enzo Donnarumma poi evoluto nel moniker Enzo and The Glory Ensemble, attirò giustamente l’attenzione di molti. Sia per il numero e lo spessore dei personaggi del mondo della musica coinvolti nel progetto (da Kobi Farhi a Mark Zonder, passando per molti altri), che per la qualità della proposta. Il concept a sfondo cristiano, infatti, era decisamente interessante sia per la struttura delle canzoni che per gli arrangiamenti di spessore. In the Name of the Son, il nuovo capitolo di quella che potrebbe essere una trilogia, però, non ne è solo una pedissequa nuova puntata ma, oltre a confermare un cast stellare tra punti fermi ed ospiti, si presenta come lavoro molto più stratificato. Sia in termini musicali che filosofici e, come tale, richiede ascolti ripetuti per essere apprezzato e le giuste informazioni preliminari per essere decodificato e per cogliere le sue tantissime sfumature. Per quanto riguarda la troupe fissa, oltre a Donnarumma stesso, troviamo Marty Friedman, Ralf Scheepers (Primal Fear), Kobi Farhi (Orphaned Land), Mark Zonder (Fates Warning), Gary Wehrkamp e Brian Ashland (Shadow Gallery), Nicholas Leptos (Warlord, Arrayan Path), Amulyn e Derek Corzine (Whisper from Heaven) e Tina Gagliotta (Poemisia). In qualità di ospiti, invece, Davide Bruno/David Brown (Metatrone), Alex Battini (Dark Horizon, Ghost City), Giacomo Manfredi (S91) e la corale gospel congolese Weza Moza Gospel Choir. Uno schieramento di tutto rispetto, quindi. Come ricordato, però, i nomi degli esecutori materiali diventano quasi secondari rispetto al fatto che Donnarumma sia riuscito a costruire una vera famiglia musicale impegnata anche in rapporti privati, nati col primo disco e proseguiti poi per il grande risultato ottenuto. Soprattutto a livello di relazioni umane e rispetto al concept “multistrato” che veicolano con la loro prestazione. Il messaggio di In the Name of the Son è sicuramente a sfondo cristiano, ma si svincola completamente dal solito percorso di un lavoro white metal, per abbracciare un approccio che si potrebbe definire quasi laicamente religioso. E questo non è che un singolo aspetto di una questione che viene già estrinsecata dalla visione della copertina. L’immagine propone infatti un albero simbolo di vita che nasce dal terreno e dalla pietra, simbolo sia di stabilità che di pavimentazione dolorosa su cui camminare e di elementi naturali. L’albero è morto e genera un lago di sangue da cui germoglia grano, a simboleggiare “pane nuovo”, addirittura “rigogliosità dopo un sacrificio in un terreno arido. Qualcosa che non avviene secondo logica”.
Per quanto riguarda il lato musicale, va segnalato uno scatto in avanti piuttosto netto di un progetto già buono, che scaturisce dalla maggiore esperienza e dalla più meditata e sviluppata concezione a monte. In the Name of the Son presenta sezioni orchestrali più presenti ed altrettanto integrate con l’uso di strumenti tradizionali del Mediterraneo, che innervano l’album di elementi folk-prog evidentissimi. In particolare, si rileva ancora la presenza di una sezione orchestrale di violini, violoncelli, contrabbassi, corni francesi, trombe, flauti e timpani. Tuttavia, la parte più immaginifica di un lavoro che porta altrove con la mente, è resa possibile proprio dalla presenza di strumenti nordafricani e mediorientali come oud, santoor (suonato da Donnarumma), duduk, flauto a sei tasti (ancora suonato dal mastermind in Psalm 133), zourna, shofar, yali, dumbeek, kora (un piccolo cordofono udibile in The Tower of Babel), axatse (shakers dal suono “chiuso” presente in Psalm 133) e flauto marocchino. Per quanto riguarda il concept, invece, assistiamo al superamento della riproposizione di preghiere, per passare ad un discorso che impone anche la successione e lo sviluppo delle canzoni. Intanto sono presenti due testi inediti, ossia The Tower of Babel e If Not You. Il primo analizza le difficoltà di comunicazione della società attuale ed il sovraccarico di informazioni compulsive che, di fatto, ci confondono. Il secondo è il sequel di Maybe You e vuole “considerare gli altri non la risposta alle tue domande, ma una domanda cui tu, piuttosto, sai rispondere”. In generale, però, l’analisi di particolari passi biblici denota una scelta precisa, rivolta all’utilizzo di quelli dalle vedute più ampie e musicate in stile laico, se così si può dire. Cercando il dialogo con l’altro e rispettandone la posizione, per trovare ciò che accomuna e non ciò che separa. Da qui riferimenti culturali simbolici ad Africa, Israele e Indios. Tre realtà prese a simbolo di ogni oppressione scaturita dalla cristallizzazione culturale di un pensiero occidentale presuntamente superiore. Il “Figlio”, quindi, pur rifacendosi a Cristo, è figura sintesi di un incontro pacifico tra diversi che cercano punti in comune. La stessa vita di Cristo è qui usata in maniera quasi speculativa, in rapporto a quelle contingenze della vita cui ogni uomo è soggetto. Risultando quindi figura non invasiva per chi volesse approcciare il lavoro da posizioni laiche, se non di rigetto per il cristianesimo e le religioni in generale. Musicalmente, l’album si sviluppa includendo progressive, folk, heavy, opera, gospel, tracce di death, momenti che arrangiati in maniera solo leggermente diversa potrebbero portare ad un musical e molto altro. Da notare poi, la massiccia presenza di citazioni e riferimenti interni, veri e propri leitmotif evidenti o nascosti, che solo una serie di ascolti ripetuti può portare a cogliere. Alcune citazioni diagonali sono evidenti, come si rileva ad esempio nel rapporto tra Waiting for the Son, Glory to God e Magnificat. Od invece il finale ossessivo di Waiting for the Son, leggermente aperto in Glory to God e reso evidente nella parte conclusiva di The Trial. Ma ce ne sono davvero un’infinità. Solo a titolo di esempio -se ne potrebbero fare letteralmente a decine- troviamo il riff di chitarra nella reprise finale di The Tower of Babel sovrapponibile ad una melodia corale presente nella parte centrale di Psalm 133; sempre in The Tower of Babel il riff esegue le note del ritornello corale, ma in scala modale frigia. Nella stessa canzone gli archi suonano l’intro di Luke 1:28 che poi ritroviamo pure in Glory to God. In Luke 1:28 lo zurna accenna all’introduzione del Magnificat, ripreso ancora da Ralf Scheepers all’interno del Te Deum. L’armonia di intro e strofa di Isaiah 53 è la stessa del ritornello di Psalm 133, ma si potrebbe continuare ancora per un pezzo, a testimonianza della stratificazione della scrittura e della pianificazione meticolosa degli arrangiamenti.
Al di là di tutto questo, però, la cosa importante è che una volta accettata la varietà di una proposta all’interno della quale potete trovare la chitarra di Friedman, la voce lirica della Gagliotta, il growl di David Brown ed il canto riconoscibile di Kobi Farhi giusto per pescare nel mucchio, In the Name of the Son è un disco decisamente buono. Sia dal punto di vista musicale che da quello produttivo (Simone Mularoni) e, last but not least, da quello del concept, atipico e molto interessante per il settore. Pur conservando la sua impronta cristiana, infatti, si propone come dialogante e non evangelizzante se non in maniera passiva, puntando a trovare terreno comune tra credenti e non, sul piano dell’etica morale e della condivisione di valori fissi di civiltà che prescindono dalla religione in quanto tale. Ed un ponte semi-laico costruito con le fondamenta su terreno religioso merita almeno rispetto.
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Non trovo la recensione del terzo capitolo della trilogia: "In the name of the world Spirit". Sapete se è stato recensito? |
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grande film split @akirafudo |
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@AkiraFudo: ce ne sono di splittati in giro  |
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@Lizard guardati il film "Split" e non ti stupirai più...  |
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Ma Che davvero Lizard? La genre sta male davvero allora... ahahah |
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Mario e Gene: non fosse che siete la stessa persona, potrebbe anche sembrare un dibattito interessante.... |
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Mario lasciamo perdere. sono io che non riesco a spiegarmi. tante belle cose e buona preghiera. amen. |
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Il messaggio della nonna è la pace e questi qui ci credono veramente. Che c'è di male? |
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Innanzitutto ho 45 anni e non sono un ragazzino! E continui a non capire quel che voglio dire. Il disco musicalmente vale ma l'argomeno non tira una cippa, come non piace a me non piace a un milione. Tutta questa produzione da dove nasce? Tutta la passione dei big partecipandi da dove viene? Dalla favola di Biancaneve? Questo Enzo prima dei Glory Hole non ha fatto una cippa, poi all'improvviso salta fuori con una novità ben fatta e un messaggio della nonna. Non va. Non mi tornano i conti. Quanto ha venduto il primo disco? Quanto venderà questo? |
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Ahah, operazione commerciale della chiesa cattolica che paga un sacco di soldi ai special guest ed esce con una indie anziché con Frontiers o Roadrunner. Ma che dici ragazzino? Se ci togli l'argomento religioso tutto l'imcastro musicale qui non avrebbe più senso ed è un messaggio aperto, come dice la recensione. Apri gli occhi e vedi le cose come sono. |
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Chiuso di mentalità? A me sti argomenti parrocchiali mi fanno semplicemente vomitare. Il disco è scritto e suonato alla grande, non ce li vedo proprio Friedman e company metterci tutto st'impegno per un pò di bibbia vecchia. Qua c'è un operazione commerciale dietro. |
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Vedi? Le tematiche religiose scoraggiano il... chiuso di mentalità. E ti ho trattato. |
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Cacchio ci preghiere e salmi di sta pippa che rovinano tutto. Musica perfetta, canzoni che aspetti da tanto tempo e poi vai a vedere: Isaia, Matteo, Gesù, beati gli operatori ecologici... ma vai a quel paese, Christian Metal inutile. |
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Questo non è solo metal, questo è Gospel metal. Di nuovo c'è tutto e solo il classico cretino medio-mediocre italiano non può provare interesse verso un lavoro così esplorativo, ma che ce ne frega del classico cretino italiano?
Anche le tematiche religiose scoraggiano il medio-mediocre, ma infatti questo progetto è stato definito coraggioso da sempre, perché non è per mediocri. |
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@Enomis: AHAHAHA e aggiungo che il metal porta a svestirsi dall'abito sacro!!...
vedi il prete tastierista dei metatron |
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ora ho capito,chi e' che leva i miei post.ma quanto sei bravo.e che esperto! |
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Accidenti che nomi.... Zonder è uno dei miei batteristi preferiti, Wehrkamp lo adoro (chitarrista e tastierista fenomenale). Mi sa che dovrò mettere in lista questo lavoro... |
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impara a scrivere prima di tutto sentenza! |
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Questo disco, in Italia, non potrà mai sfondare. In generale il Metal in Italia non sfonda, ma poi una proposta del genere? La gente ha bisogno di sentire che il Metal è "satanico" e porta la gente al suicidio, se racconti di Metal, religione e profonda riflessione filosofica, la gente ti ride in faccia. Scemenze a parte, non conoscevo il progetto, la recensione mi ha incuriosito molto (e anche i nomi che vi partecipano). Devo recuperare il primo, poi ascolterò questo. |
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Bellissimo disco e bellissima recensione. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Waiting for the Son 2. The Tower of Babel 3. Luke 1:28 4. Psalm 8 5. Glory to God 6. Psalm 133 7. Magnificat 8. Isaiah 53 9. Matthew 11,25 10. The Trial 11. Eternal Rest 12. Te Deum 13. If Not You
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Line Up
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Enzo Donnarumma (Voce, Chitarra, Santoor, Duduk) The Glory Ensamble: Marty Friedman, Ralf Scheepers, Kobi Farhi, Mark Zonder, Gary Wehrkamp, Brian Ashland, Nicholas Leptos, Amulyn Corzine, Derek Corzine, Tina Gagliotta.
Musicisti Ospiti: David Brown Alex Battini Giacomo Manfredi Corale gospel congolese “Weza Moza Gospel Choir”
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