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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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28/09/2019
( 3605 letture )
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È incredibile come parlare dei primi anni novanta nel contesto della musica hard rock e heavy metal lasci sempre lo stesso sapore in bocca. Ci fu l’incedere del grunge, ci fu l’assenza di idee delle band classiche per proseguire le proprie epopee e, in alcuni casi, ci fu anche l’inadeguatezza di arrivare con un determinato album nel momento sbagliato. Naturalmente, Ceremony dei Cult, anno di grazia 1991, si inserisce perfettamente in questi stati d’animo, nonostante rispetto a molte compagini i Nostri siano stati sempre abituati a cambiare pelle. I magici anni ottanta, infatti, che per i Cult come per molti altri furono davvero pura magia, erano finiti con il grande successo di un album roboante come Sonic Temple; all’alba della nuova decade la band di Ian Astbury e Billy Duffy, per la prima volta nella sua storia, decise di guardare indietro nel proprio passato, senza rinnegare quello più recente e recuperando quello più remoto. Ceremony ereditava in toto l’hard rock potente dell’album precedente, ma allo stesso tempo ricordava i primi passi mossi dai Cult, quelli dell’affascinantissimo Dreamtime, solo di cinque anni più vecchio di Sonic Temple ma allo stesso tempo distante veri e propri anni luce. Questo era un gioiello grezzo di puro gothic rock contaminato dalle suggestioni sciamaniche indoamericane e, in estrema sintesi, Ceremony è definibile come la fusione tra il sound appariscente di Sonic Temple e le atmosfere di Dreamtime. Poi ovviamente se si va a osservare il tutto più da vicino ci si accorgerà anche di come Ceremony sia un lavoro abbastanza eterogeneo, con pezzi che, se valutati singolarmente, vanno a richiamare nello specifico uno dei quattro (+1!) album degli stessi Cult, a seconda dei casi. Il risultato mette comunque in mostra una band in ottimo stato di forma, che dopo la dipartita del bassista dei primi album Jamie Stewart rimane anche ufficialmente ancorata soltanto al duo voce-chitarra Astbury-Duffy, con tutti gli altri musicisti accreditati come ospiti. La title track ha, come è giusto che sia, un ruolo chiave nella definizione di Ceremony: tutti gli strumenti parlano la lingua di Sonic Temple, ma la storia che viene raccontata è decisamente più nebulosa di quella dello splendente predecessore. Entrano subito in scena gli strumenti tribali, il ritmo è scandito, la velocità, mai sostenuta, è al suo servizio, per dare al brano una sensazione di vera cerimonia, c’è un qualcosa di rituale in tutto ciò, anche se dal sapore decisamente rock (Ritual music flowing strong and free!). Anche la successiva Wild Hearted Son, nonostante sia una delle canzoni stilisticamente più vicine all’album precedente, conserva sempre una certa malinconia di fondo nel suo fantastico riff dal grande piglio hard rock. Dal titolo accattivante, accompagnata dal videoclip, sembra veramente inspiegabile lo scarso successo del brano, poco suonato dal vivo, che soltanto potenzialmente si pone al livello dei grandi classici della band. Uno stacco deciso dall’hard rock più roboante arriva però solo con la traccia numero quattro, quella White che si può considerare il vero capolavoro dell’album, un brano lungo ben otto minuti in cui la protagonista è la (bianca) purezza della natura, che trasuda in ogni singolo verso cantato da un ispiratissimo Astbury. The hunter sits on a pure white stallion A hawk in flight, the bow in his hand A deer approaches at the end of the forest The arrow flies, blood on the snow
Il rock, per quanto di classe, è solo lo sfondo del viaggio spirituale di White che punta, riuscendoci pienamente, a essere evocativa, criticando più o meno velatamente una società consumista che ha quasi perso il contatto con la natura. Viceversa, brani come Earth Mofo o Full Tilt sono i portatori sani del rock crudo e sanguigno di poche pretese che si sentiva in Electric, mentre If è una canzone più atipica, con l’ausilio del piano, che per le atmosfere limpide e sognanti ricorda il sottovalutatissimo Peace. Ma non è finita qui: lungo la scaletta (che comunque accusa un certo calo qualitativo nella sua seconda parte), emergono anche la ballad, fin troppo manieristica, Heart of Soul, la struggente e acustica Indian o la massiccia e dalla vena classic rock Wonderland.
Nonostante il valore qualitativo Ceremony fu l’album del declino per la band inglese, ma non tanto per demeriti personali quanto per il momento storico in cui giunse. Non fu nemmeno un vero insuccesso perché vendette anche un buon numero di copie, anche se non paragonabile a Sonic Temple. Parliamo di un album che non è rimasto più di tanto nel cuore dei fan dei Cult, ma allo stesso tempo portatore di una manciata di tracce veramente belle che, soprattutto, è in grado di rappresentare adeguatamente un’ampia fetta della musica del duo Astbuty-Duffy, sempre in costante evoluzione e dalle apparenze mutevoli. Forse per qualcuno Ceremony non sarà uno dei migliori lavori della band, ma allo stesso tempo contiene la sua essenza, forse anche di più di altri lavori considerati più meritevoli.
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18
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@davidgilmour lì dipende in che rapporto metti i voti. Ho dato 79 anche perché non mi sentivo di dargli più di love (che a mio avviso avrebbe meritato di più)! Comunque è un gran disco!! |
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17
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Che discone, ascoltato sino alla nausea insieme a Sonic Temple che però resta il mio preferito della band. Però cavolo, capisco che i recensori sono diversi ma dare 87 all'omonimo e 79 a questo è un po' una bestemmia dai XD
Voto 90 |
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16
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È un disco che adoro e che ho amato subito,molto di più di Sonic temple(suoni troppo pomposi e maestosi per i miei gusti) .Adoro il sound di questo disco e l''apice è "White'', un vero e proprio "trip"verso la coscienza umana."heart off soul "alla fine quando sfuma mi ricorda il ballo degli indiani attorno ai falò. Evocativo,magico,sensuale.Ian Astbury è in stato di grazia e Billy Duffy è granitico è mai strabordante.Un grande equilibrio che meritava di più.voto 90 . |
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15
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partendo con il presupposto che qui si parla di una band monumentale…il disco in questione ha forse meno impatto del precedente ma è un grande disco; maturo e più riflessivo, ma cmq accattivante. come già detto da molti di voi la sola Wild Hearted Son vale il cd. |
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14
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A mio avviso ceremony rappresenta il raggiungimento di una certa maturita' artistica della band!....per me uno dei loro migliori album in assoluto!!!...wild hearted son...white...if...heart of soul...le stupende indian e sweet salvation con la chiusura lasciata alla corale wonderland!...un album vero che parla di cose importanti....comunica grandi atmosfere e sensazioni!!!....dopo questo enorme album pero' a mio avviso i cult si sono persi negli anni 90 e non si sono ripresi nel 2000....l'ispirazione se ne e' andata portandosi con se la voce stanca di Ian!....anche le cose piu' belle prima o poi finiscono ...purtroppo! |
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13
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Per me i Cult hanno continuato a fare album validi fino ad oggi. Wild hearted son vale il prezzo del biglietto. Non un capolavoro, ma avercene di dischi simili...  |
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12
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Meno diretto dei precedenti...ma piu’ emotivo....sara’ per molti l’albulm Del declino artistico ma a me personalmente e’ sempre piaciuto...visto la porcheria che usciva nel 1993...tipo la miriade di band clone dream theater oppure La miriade di band porcheria death metal di quarta segata! |
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11
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A me questo non era piaciuto e infatti non ce l'ho.
Tanto raggiungere Sonic Temple é impossibile. |
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9
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Uno dei miei album preferiti, un lavoro che non mai capito perché sia così snobbato o sottovalutato. Bo, a me sembra che in scaletta ci siano solo pezzi della madonna. Per me è uno degli apici dei Cult, voto 85 |
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8
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Per quanto riguarda l'incipit della recensione , dato che sono molto legato alle band Hard rock anni 80, mi sento di dar pienamente ragione a Shock. Questa assenza delle idee per me non c'è proprio stata, anzi la maggiorparte delle band si era evoluta e sfornava dischi di qualità. Oserei dire che molte band tirarono fuori i loro migliori dischi proprio nei primi anni 90. |
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6
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Ho sempre preferito “Ceremony” al precedente e blasonato “Sonic Temple”. In questo disco “Wind Hearted Son”, “Earth Mofo”, “White” tutte gemme che meritano il loro posto tra i classici della band. “Sonic Temple” l’ho sempre trovato troppo laccato e soprattutto “americano”, mentre questo mi suona più vicino alle loro corde.... |
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5
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Come disco più o meno lo inquadro come una continuazione del precedente ma con ampi richiami al passato, a volte riuscito altre no ma comunque un disco che è l'ultimo esempio di grande valore dei Cult.
Comunque non sono tanto d'accordo con l'incipit iniziale: dove si dice che i gruppi classici non riuscivano a trovare una nuova strada non mi pare tanto veritiero; basti pensare a Whipped dei Pussycat in confronto ai primi due, o ad Hollywood vampires o prendendo i Crue a Feelgood rispetto ad uno Shout, senza contare quella Scream che anticipa il disco con Corabi; pure gli Aerosmith hanno in Get a grip un disco diverso da Permanent.
Insomma per me fu più il pubblico attirato da altro, il grunge, con la concausa delle case discografiche a fare crollare l'interesse per l'hard rock anni 80'. |
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4
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Bello bello. Lo metto sotto a Love di sicuro, ma un pelo sopra Electric. |
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2
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D'accordo con Sha! Il recupero dei "temi" degli esordi è abbastanza evidente..tuttavia - a mio parere - non è altrettanto credibile! Vuoi perché l'aura sciamanica della band si era persa nel rock & roll dei precedenti, vuoi perché certe sonorità non erano più "credibili" alla sua uscita.. Fatto sta che, come si suol dire: quando non si sa dove andare a parare, si torna sempre a fare ciò che si faceva all'inizio. E, purtroppo, tutto ciò non funziona mai al 100%. In definitiva, è un disco salvabile..ma, nettamente inferiore a quanto fatto prima! |
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1
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Gran disco questo dei The Cult. Meno accesdibile del suo splendido predecessore ma molto piu oscuro e se vogliamo maturo. L'ultimo vero must have della band. Per me un 80. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Ceremony 2. Wild Hearted Son 3. Earth Mofo 4. White 5. If 6. Full Tilt 7. Heart of Soul 8. Bangkok Rain 9. Indian 10. Sweet Salvation 11. Wonderland
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Line Up
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Ian Astbury (Voce) Billy Duffy (Chitarra)
Musicisti ospiti: Alex Acuña (Percussioni) Mickey Curry (Batteria) Charley Drayton (Basso) Tommy Funderburk (Cori) Donny Gerrard (Cori) Suzie Katayama (Violoncello) Mona Lisa (Cori) Yvonne St. James (Cori) Benmont Tench (Organo) Scott Thurston (Sintetizzatore, piano) Richie Zito (Tastiera)
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RECENSIONI |
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