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Goldray - Feel the Change
03/10/2020
( 1400 letture )
In un anno oggettivamente difficile, sotto tanti punti di vista, è bello poter contare su qualche buona notizia. Anche se proviene da un mondo che sta perdendo centralità e piano piano diventando un mero sottofondo confuso, come quello della musica e, in particolare, quello della musica rock. E’ così che dopo gli ottimi ritorni di Lucifer e Blues Pills e il debutto dei folli spacerockers francesi Orgöne possiamo oggi celebrare un nuovo grande album di retro rock affidato ad una stupenda voce femminile, con il secondo lavoro dei Goldray. Nati dalle volontà del chitarrista Kenwyn House (proveniente dai Reef, band alternative di un certo successo) e della cantante Leah Rasmussen (EMI, Bedrock, Renaissance), i Goldray si formano come progetto laterale già nel 2010, salvo poi assumere sempre più importanza per i due. La possibilità di concentrarsi solo sulle canzoni che andavano nascendo porta la band a pubblicare un EP nel 2014 e, quindi, il debutto Rising nel 2017, incontrando un grande favore dalla stampa, inglese in primis. Tempo quindi per consolidare anche fuori dalla madre patria il proprio crescente successo, pubblicando un secondo album che si preannuncia fondamentale, il qui presente Feel the Change.

L’impatto con la musica dei Goldray è tutto veicolato dall’incontro-scontro tra le due menti e anime della band, ovverosia tra i potenti riff di House e la stupenda voce della Rasmussen, un talento totale, di livello assoluto. La musica è chiaramente un hard rock di forte matrice blues sessantiano, con evidenti influenze psichedeliche e, in questa occasione, un riuscito irrobustimento di riff proto-heavy metal settantiani, che ben innervano le composizioni dando una spinta in più alle canzoni. House non gioca affatto di rimessa rispetto all’incontenibile vocalità della Rasmussen e la relativa compattezza dell’opera, che non presenta punti deboli nella scaletta, gioca un ruolo fondamentale nel rimanere totalmente ammaliati e assuefatti, vista la buona varietà dei brani. D’altra parte, Leah Rasmussen è l’apoteosi del cantato femminile: capace di passare da vocalizzi altissimi, stile Kate Bush, a parti suadenti e ammaliatrici, che non disdegnano riferimenti a icone come Grace Slick e perfino Alanis Morrisette, la cantante rivela un talento incredibile, una padronanza e una potenza da fuoriclasse, vincendo a mani basse ogni confronto con le altre talentuose colleghe in ambito rock. Nessuna esagerazione, basta ascoltare. In particolare, anche rispetto al debutto, si nota quanto le canzoni siano cresciute di livello di scrittura, proprio grazie ad un maggior ancoraggio al primordiale heavy settantiano, che non ha affatto smorzato la carica psichedelica e blues dei Goldray, ma ha portato House ancora in maggiore evidenza, sia come ritmica che come solista, col risultato che i brani passano sì attraverso i classici passaggi conturbanti e “spaziali” tipici del rock psichedelico, ma non perdono mai un ancoraggio ritmico guidato dalla chitarra che ne garantisce potenza e sangue, limitando appena una altrimenti e comunque straripante Rasmussen. Otto brani, otto interpretazioni splendide, nessun filler e tanta qualità: Feel the Change è un disco che si presta ad essere letteralmente consumato di ascolti, apparentemente molto facile e tutto sommato banale nel suo rifarsi ad un canone che in questi anni sta davvero dando fondo alle proprie riserve, cela invece una ricchezza di arrangiamenti, con tastiera, mellotron e organo che giocano un preziosissimo quanto ben amalgamato ruolo, che gli consentono di superare agevolmente la prova del tempo. C’è davvero tanta musica in queste canzoni e lo si scopre appena si riesce a superare la malia assoluta giocata dall’incredibile voce di Leah e ci si concentra appena sul peso specifico dei brani, che non rinunciano a leggere venature stoner e sfidano letteralmente Wolfmother e Rival Sons, oltre alle band già citate, nel loro territorio di caccia con una facilità e una sfrontatezza davvero ammirevoli.
Così se la iniziale Oz ci accoglie con i suoi oltre sette minuti di pura goduria, con un riff che è letteralmente rubato da Dissident Aggressor dei Judas Priest, per calarlo in un contesto puramente psichedelico grazie al cantato da sirena della Rasmussen. Da par suo, la cantante domina letteralmente, inserendo scale "orientali" e prendendosi poi la rivincita nel lungo break psichedelico centrale che spezza la furia della chitarra donando una malia e una fuga dalla realtà ben rappresentata dalla copertina, salvo dover cedere dopo averci letteralmente rapito al feroce ritorno della ritmica e all’assolo ululante di House (che nasconde una citazione niente male). Grandissima partenza, che non esaurisce le frecce a disposizione della band, come ben ci illustra la ben più dolce titletrack, nella quale forse la Rasmussen esagera nell’interpretazione risultando appena stucchevole con i suoi gorgheggi sessantiani, fermo restando comunque l’ottimo livello del brano, che potrebbe rimandare tanto a Patti Smith quanto ai Pretenders. Perfetta invece la doppietta di The Forest, con la prima parte più atmosferica e carica di tensione (bellissimi i cori, tutti a opera di Leah) e la seconda decisamente più rovente, con un assolo da urlo da parte di House. How Do You Know, singolo ed ennesimo pezzo da novanta, ci riporta in pieno territorio psichedelico, preparandoci poi invece al finale a maggior spinta che conferma l’alto livello di ispirazione e il riuscito scontro tra la veemenza rock/blues di House e la malia da sirena della Rasmussen, come ben esemplificato da The Beat Inside, con un ennesimo grande assolo e l’ennesima grande linea vocale, la sensuale e trascinante Come On, altro mezzo capolavoro e la perfetta chiusura di Phoenix Rising, pezzo che i Blues Pills, per fare un nome non a caso, non sono mai riusciti a scrivere.

Coloratissimi e persino "esagerati" nella costumistica, come i citati Orgöne e come è giusto che sia per un gruppo che si ispira alla scena sessanta/settantiana, i Goldray hanno messo tutti in fila quest’anno (quasi tutti: gli Hexvessel restano comunque superiori, nel complesso), tirando fuori un album di qualità assoluta, da ricordare negli annali, grazie ad un evidente talento e a quella furbizia smaliziata di chi conosce il mestiere e ha la fortuna di essere baciato da un’ispirazione felice. Non tutto è perfetto e a volte le grandi capacità portano appena a strafare, ma non c’è un solo secondo perso in Feel the Change, album che risplende di luce propria e che merita un posto in altissimo nell’affollato podio di questo sempre più particolare 2020. Questo, signori, è un disco da avere. Altro da dire non c’è.



VOTO RECENSORE
83
VOTO LETTORI
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Konradz
Mercoledì 15 Marzo 2023, 19.49.05
1
In più di due anni la recensione e l\'album sono restati senza commenti. Immeritatamente, l\'una e l\'altro. Rimedio come si può, in ritardo. Album molto potente e stregonesco, si gode dall\'inizio alla fine ad ogni ascolto. Leah Rasmussen lascia un segno indelebile sul lavoro, il comparto strumentale altrettanto. Se qualche appassionato di hard & psych rock (o di buona musica in generale) se lo è perso, lo riascolti. Vale abbondantemente il prezzo. Bellissima recensione: leggerla, ascoltare il cd e acquistarlo è stato tutt\'uno, come spesso accade da queste parti.
INFORMAZIONI
2020
Akashick Records / Cargo Records
Hard Rock
Tracklist
1. Oz
2. Feel the Change
3. The Forest
4. The Forest, Pt. 2
5. How Do You Know
6. The Beat Inside
7. Come On
8. Phoenix Rising
Line Up
Leah Rasmussen (Voce)
Kenwyn House (Chitarra)
Geoff Laurens (Basso)
Chris Hardwick (Batteria)
 
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