|
27/04/25
HEILUNG
TEATRO DEGLI ARCIMBOLDI - MILANO
|
|
|
16/04/2022
( 764 letture )
|
Sono passate solo poche settimane dal sorprendente e validissimo, ritorno sulle scene dell’ex cantante dei Black Sabbath, Tony Martin con l’album Thorns, ed ecco che ritorniamo ad occuparci di un altro valido metal album che lo vede fra i protagonisti principali. In questo caso, bisogna fare un salto all’indietro di più di venti anni, quando il chitarrista italiano Aldo Giuntini, ex Crossbones, porta alla luce il secondo capitolo del suo progetto solista Giuntini Project, originariamente licenziato attraverso una propria etichetta personale e, nel giro di un breve periodo, colpevolmente scomparso dagli scaffali, per essere successivamente riesumato sul mercato grazie alla Frontiers Records.
Il disco, un classicissimo album di heavy metal dalle chiare tinte anni ’80, vive principalmente sull’unione fra le stentoree linee vocali dello special guest Tony Martin, che la maggioranza dei lettori ricorderà per aver valorizzato un nugolo di albums sotto il monicker del “Sabba Nero” a cavallo degli anni ottanta e novanta (The Eternal Idol, Headless Cross, Tyr tanto per citare alcuni fra essi). Particolarmente da rimarcare sono inoltre le influenze date dal supporto di Dario Mollo, storico chitarrista/producer nostrano, noto per i progetti a nome Voodoo Hill, Elektric Zoo oppure The Cage in compagnia dello stesso Martin, di Graham Bonnet e della “Voice Of Rock” per eccellenza, Glenn Hughes. Da tali influenze non poteva derivare che un album incentrato principalmente su validissimi riff chitarristici: il marchio di fabbrica dell’ex Crossbones si fa sentire in maniera chiara in tutte le quindici tracce; il suono è secco e potente, mentre pulito ed essenziale è il compendio della sezione ritmica affidata ai conosciuti turnisti Ezio Secomandi e Fulvio Gaslini. Per chi conosce i progetti di Dario Mollo, i punti in comune con il lavoro di Giuntini sono evidenti, e non potrebbe esser diversamente: entrambi difatti sono cresciuti ascoltando e suonando l’hard rock di matrice europea portato al successo dai Rainbow di Ritchie Blackmore, e poi sviluppato in svariate forme nel corso degli anni ottanta. La differenza tra i due è principalmente nella scelta di riff e suoni: in Giuntini è presente una maggiore influenza diretta dell’heavy metal classico e una certa attitudine agli assoli torrenziali, seppure sempre melodici. Esempio di tutto ciò è la presenza di uno strumentale come Spiteful Ghosts, tecnicamente vicino al metal neoclassico di Malmsteen.
L’inizio è all’insegna della velocità con Sacrifice, una ottima fast song che ci fa riassporare l’ugola di un Tony Martin in grado di regalarci un imponente chorus. Le classiche ritmiche di stampo Rainbow/Sabbath non tardano ad arrivare quando in rapida successione l’album propone Dead Ringer e Letters From the Dead: la prima caratterizzata da granitico riff metallico, la seconda è trascinante e dotata di tastiere, atmosfere cadenzate e di una ottima interpretazione del singer inglese. L’influenza della band di Tony Iommi è palpabile lungo tutto l’arco del disco, specialmente in mid-tempo come le ottime Resurrection Day e Shadowlands, mentre altre influenze, sempre restando nell’ambito del metal ottantiano, sono da ricercarsi nella rabbiosa Cyberchrist, che tuttavia sembra meno nelle corde del nostro rispetto alla matrice primaria del disco. Per chiarire ancora meglio quali sono le coordinate sonore principalmente seguite da Giuntini in questo album, basti pensare che questo lavoro all’epoca fu considerato “l’album che i Black Sabbath avrebbero dovuto registrare dopo Tyr”, vista la presenza di pezzi veloci, pezzi epici, tentazioni melodiche e chitarre pirotecniche. Questa chiara discendenza è, contemporaneamente, la “croce e delizia” di questo lavoro: se quando la forma compositiva è al meglio, e per la verità succede in gran parte del disco, i risultati sono del tutto paragonabili alle migliori realizzazioni marchiate Sabbath, compensando con una qualità sopraffina le carenze di originalità, quando invece i risultati sono meno brillanti, si incappa in alcune tracce più comuni, simili in tutto e per tutto a centinaia di tante altre per struttura, melodia e arrangiamento. Non siamo di fronte a pezzi scadenti o senza nerbo, anzi tutt’altro; piuttosto sembra che sia stato innestato il pilota automatico, proponendo un songwriting sufficiente e nulla più.
Complessivamente, si tratta comunque di un disco assai valido, che purtroppo non ha dato origine ad una band effettiva e vitale sotto tutti i punti di vista; anzi, il disco non fu mai proposto in veste live e si dovette aspettare per ben sette anni, sino al 2006, per vedere il terzo capitolo del Giuntini Project, ancora capitanato da Tony Martin alla voce, e, anche in quel caso, portatore di ottimi risultati.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
2
|
nei tre dischi troviamo il miglior tony martin post sabbath. è una bellissima fusione tra iommi e malsteen con chiaro amore per la tony martin era. non replica (e non potrebbe farlo) i blck sabbath,ma da un sound a tony martin che ha sempre faticato non poco a trovarne uno suo fuori dai sabbath. Il migliore dei 3 secondo me è comunque il progetto di mezzo (il III) pur inserendo una versione di anno mundi francamente per niente necessaria, prodotta meglio di come fu su tyr,ma cantata assai peggio. ci sarebbe stata bene una canzone equivalente ma nuova. Di questo project II adoro letters from the dead. Gran peccato che dopo il 4 giuntini si sia buttato sul death perché questo progetto fan service era favoloso e di qualità e sarebbe stato molto bello vedere la band divenire una band in tutto e per tutto e suonare dal vivo |
|
|
|
|
|
|
1
|
ottima recensione..esattamente quello che ho pensato anchio.forse qualche punticino in piu'.la classe c'e' |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
Giuntini Records / Frontiers Records
|
|
|
Tracklist
|
1. Sacrifice 2. Dead Ringer 3. Letters From the Dead 4. Superstitious 5. Resurrection Day 6. House of the Spirits 7. Spiteful Ghosts 8. Cyberchrist 9. Shadowlands 10. Saved By Love 11. Too Much Too Late 12. Baghdad 13. The Evil That You Do 14. Reactor 15. Satan Rising
|
|
Line Up
|
Tony Martin (Voce) Aldo Giuntini (Chitarra) Dario Patti (Tastiera) Fulvio Gaslini (Basso) Ezio Secomandi (Batteria)
Charles Bowyer (Cori)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|
|