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Sahg - I
17/09/2022
( 856 letture )
Un continuo ribollire, come in un calderone alchemico nel quale vengono riversati gli elementi, che si mescolano e contagiano tra loro, interagendo continuamente e assumendo infinite forme. Questa se vogliamo è la storia della genesi dei Sahg e, in parte, anche la storia della loro particolare proposta. Nati come supergruppo nel 2004 da quattro fondatori, ciascuno parte di altri gruppi e progetti e poi da essi risucchiato, i Nostri vedranno infatti nel solo Olav Iversen l’unico membro costante di album in album. I quattro originari furono quindi Tom Cato Visnes "King ov Hell", che aveva suonato nei Gorgoroth ed è il fondatore di Ov Hell e God Seed e suonerà anche negli Audrey Horne, nei Temple of the Black Moon e via elencando; Einar Selvik "Kvitrafn", anche lui nei Gorgoroth e poi leader dei Wardruna; il nominato Olav Iversen e Thomas Tofthagen, fondatore più o meno nello stesso periodo degli Audrey Horne (assieme a King), famosa band hard rock nella quale anche quasi tutti gli altri transiteranno. Il background dei musicisti è quindi dei più vari, ma le redini compositive saranno saldamente nelle mani dei due chitarristi, col solo King accreditato come coautore di due dei brani del debutto assieme agli altri due e autore unico dell’Intro. Come vedremo, questo continuo sommovimento sarà nella natura stessa dei Sahg, acronimo per Structure Atlas of Human Genom e ne caratterizzerà l’intera carriera.

Registrato dopo che il primo demo aveva fruttato un contratto con la svedese Regain Records e durante una prima serie di concerti che porteranno il nome della band a livello nazionale ancora prima di aver pubblicato qualcosa, Sahg I sarà quindi pubblicato nel gennaio del 2006, dopo un anno di consolidamento del gruppo e a pochi mesi di distanza dal debutto dei "fratelli" Audrey Horne. Ma le due band, pur con alcuni membri in comune, sono cosa completamente diversa. Sahg I infatti si muove su un territorio di confine che ha un saldo radicamento nell’hard rock e proto-heavy metal degli anni Settanta e che volendo può essere inquadrato a grandi linee in un hard rock/doom con influenze progressive ed heavy. Innegabili infatti i legami con il doom settantiano, ma al tempo stesso la band aggiunge disparati elementi, che ne fanno una sorta di unicum e la distinguono da quasi tutte le formazioni coeve dedite allo stesso genere. Pur avendo assonanze con altre realtà scandinave, a partire anche dagli Spiritual Beggars, i Sahg restano una storia a sé, con caratteristiche che li rendono ben identificabili già dal debutto: il cantato pulito e piuttosto acuto di Iversen spesso filtrato per donargli appunto una patina vintage e psichedelica, ma pronto a ergersi con linee melodiche piacevoli e ben congeniate, brani lunghi e piuttosto complessi, cangianti e mutevoli negli arrangiamenti e nelle strutture, nei quali le varie influenze giocano un ruolo fondamentale, rendendo le singole composizioni piuttosto diversificate le une dalle altre, ma tutte sempre richiamanti i generi fondativi, le splendide aperture soliste, vero valore aggiunto e una sezione ritmica di alto livello, dinamica e ben presente nel mixaggio.
Non si tratta di un ascolto facile, quello offerto da Sahg I. Sebbene, come detto, la proposta richiami assunti consolidati e ben padroneggiati da chiunque conosca un minimo i generi di riferimento e le composizioni siano sempre piuttosto melodiche e dotate di "hook" memorizzabili, la lunghezza e ricchezza compositiva tende a soverchiare l’ascolto, rendendo necessari ripetuti approcci per una comprensione soddisfacente. Ci si perde un po’ tra brani apparentemente di facile abbordaggio e che invece rivelano poi sfaccettature, cambi di registro, inserti prog o folk, come la splendida strumentale Whisper of Abaddon, scritta dall’ospite Brynjulv Guddal e vero gioiellino posto quasi a metà percorso e appena prima una seconda parte di livello altissimo. Non che ci siano momenti di stanca nella scaletta di questo debutto, anzi. Il misterioso intro, che sembra riprodurre il suono di un didjeridoo, si fonde letteralmente con l’introduzione evocativa di Repent, primo vero brano del lotto, con la voce filtrata di Iversen e il dialogo tra pulito e distorto che apre a mondi psichedelici e doomeggianti, sul quale si fa notare anche l’ottima prova di Kvitrafn, pesante e dinamico al tempo stesso. Un inizio maestoso e imponente, che lascia poi il posto a uno dei brani più interessanti del disco, nonché uno dei più brevi e "tirati", quella The Executioner Undead che sembra quasi una composizione degli Iron Maiden di inizio carriera, per poi integrare un riffone pesantissimo che sarà il vero contraltare doom delle veloci strofe. The Alchemist per contrasto e invece il brano nel quale prog e psichedelia si fondono in misura preponderante, generando una composizione piuttosto affascinante e mutevole, nella quale, è bene specificarlo, non mancano affatto i riff doom potenti e grossi come montagne, che restano la caratteristica principale del disco. Ma tra mellotron, filtri vocali e lo splendido break centrale semiacustico, è difficile non sentire l’atmosfera mistica che pervade il brano emergere in tutta la sua forza. La prima parte si chiude con Rivers Run Dry, traccia nella quale torna a farsi sentire un discreto dinamismo e in cui a emergere sono soprattutto la linea melodica quasi alternative della strofa e il giro di basso, con il refrain che affonda in un riff discendente pesante come un magnete. Come detto, la seconda parte del disco è altrettanto, se non addirittura più, valida della prima, annunciata dalla spettacolare Godless Faith, per la quale fu girato anche un video. In effetti, risulta difficile immaginare brano meno adatto per un singolo, con la voce che arriva dopo un minuto e quaranta e una lunga sezione dominata dal mellotron e da un’atmosfera onirica che viene interrotta solo dal refrain ossessionante. Ma che canzone, Signori. Soul Exile e Boundless Demise si ricollegano invece a The Executioner Undead, ricercando quindi compattezza e dinamica maggiori, ma sempre in salsa Sahg, con quindi elementi particolari di arrangiamento che balzano fuori in mezzo a tracce sempre ben congeniate. Chiude l’ottima Black Passage, brano che riassume se vogliamo molti aspetti del disco e della band, con la strofa psichedelica e carica di tensione, dominata dal basso, che apre poi a un torrenziale riff di chitarra, che irrompe come un fiume in piena travolgendo tutto e che trova pace solo nell’ennesimo riff monumentale all’altezza del refrain, il quale lascio poi allo splendido solo con accompagnamento acustico e prog, con ancora un gran lavoro di King in sottofondo e una coda acustica che chiude l’album.

Disco come detto ribollente e strapieno di elementi diversi che cercano e quasi sempre trovano una combinazione di rilievo, Sahg I è un gran bel debutto, che valse alla band parecchia attenzione, forse non pienamente capitalizzata in seguito. Non si può parlare in questo caso di originalità, perché i riferimenti stilistici ci sono tutti e sono tutti ben identificabili, ma in effetti la formula dei Sahg resta piuttosto personale e contribuisce a fare del gruppo una presenza di spicco nel ridondante panorama di genere, con una serie di album che da qua andranno ulteriormente a cementarne lo spessore. Anche se in questo debutto qualcosa da limare qua e là si fa sentire, come forse un eccesso di generosità compositiva non sempre tenuta a freno, resta un episodio ben più che interessante, con brani che lasciano il segno e che durano nel tempo. Non un capolavoro in senso stretto, ma un ottimo esempio di come si possa utilizzare Materia nota per fare qualcosa di più che ripetere una stanca formula.
Purtroppo, il riferimento al calderone ribollente riguarda come anticipato anche la storia della band e la presenza di musicisti coinvolti in molti altri gruppi non tarderà a bussare e chiedere il conto, con Kvitrafn che lascerà dopo pochi mesi dall’uscita del disco avviando la girandola di batteristi e tutti gli altri che, prima o dopo, si congederanno, consegnando al solo Iversen il difficile ruolo di leader. Non hanno probabilmente raccolto quanto meritavano, non fosse altro per la qualità e la personalità dei loro brani, i norvegesi Sahg. Chissà che qualcuno non voglia iniziare da questo Sahg I a recuperare il tempo perso.



VOTO RECENSORE
81
VOTO LETTORI
78 su 1 voti [ VOTA]
Void
Venerdì 3 Febbraio 2023, 13.35.21
1
Lo sto ascoltando ora dopo molti anni e devo dire che è davvero un ottimo disco di doom/hevy rock!produzione tra l altro eccezionale,potente e chiara e non plasticosa. DOOM ON!
INFORMAZIONI
2006
Regain Records
Doom
Tracklist
1. Intro / Parade Macabre
2. Repent
3. The Executioner Undead
4. The Alchemist
5. Rivers Run Dry
6. Whisper of Abaddon
7. Godless Faith
8. Soul Exile
9. Boundless Demise
10. Black Passage
Line Up
Olav Iversen (Voce, Chitarra)
Thomas Tofthagen (Chitarra)
King (Basso)
Kvitrafn (Batteria)

Musicisti Ospiti
Brynjulv Guddal (Percussioni, Flauto, Organo, Piano, Sintetizzatori)
 
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