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26/04/25
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Clutch - Sunrise on Slaughter Beach
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06/12/2022
( 1693 letture )
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I Clutch potrebbero essere tranquillamente definiti come la macchina perfetta di un certo modo di intendere la musica rock. Una lunga carriera, scandita da produzioni serrate, sempre di altissima qualità, alternate ad una quasi incessante attività dal vivo, ha fatto del combo del Maryland uno dei capisaldi del genere, una garanzia per una platea sempre crescente di affezionatissimi seguaci. Uno spirito indomito e una fede incrollabile nei propri mezzi li hanno spinti ad intraprendere una strada lontana da quelle major che hanno assistito ai loro primi passi nel music business, fondando una propria etichetta discografica, Weathermaker Music, unica opzione praticabile per godere di un’assoluta libertà creativa. Album dopo album la band statunitense ha oliato i propri ingranaggi componendo un meccanismo quasi perfetto, riuscendo nell’arduo intento di coniugare qualità e quantità ad un livello impensabile per buona parte delle realtà musicali a loro contemporanee.
Un volo ad altissima quota e velocità che purtroppo ha subito un brusco arresto quando l’albatro Clutch è dovuto forzatamente atterrare a causa della pandemia e conseguente lockdown. E proprio come il suddetto volatile, la formazione a stelle e strisce, sempre maestosa nei cieli, si è ritrovata impacciata a terra e zoppicante quando è giunto il momento di decollare nuovamente. Anche il confronto con l’ultima pubblicazione pre-covid, quel clamoroso Book of Bad Decisions del 2018 che ha ingigantito ulteriormente il loro status artistico, non ha di certo aiutato in fase di ripartenza. Quando non si sbaglia quasi mai, si generano aspettative altissime nei supporter che oramai danno per scontata la pubblicazione dell’ennesimo album di livello superiore. Lungi dall’essere un cattivo lavoro, il nuovo album dei Clutch, Sunrise On Slaughter Beach, si presenta al pubblico mondiale con qualche difetto di troppo, contraddittorio e affascinante al contempo, carico di residui ed incertezze generati da questi anni di stop forzato, non ancora superati né smaltiti.
I Clutch stessi hanno dichiarato che l’ultima fatica sia stata intenzionalmente scritta e composta come risposta catartica agli anni della pandemia e del lockdown. Una sferzata di energia positiva ed irriverente volta ad elevare lo spirito e ricacciare indietro la malinconia, l’ansia e l’inquietudine accumulati in questo lungo periodo di prigionia. E la prima parte di Sunrise On Slaughter Beach riesce parzialmente nell’intento, con alcuni brani ad alto tasso energetico, ricchi di groove e potenza. Red Alert (Boss Metal Zone), uno dei singoli del nuovo album, è un autentico pugno nello stomaco, il suono crudo e diretto delle chitarre e del basso accompagna i ruggiti di Neil Fallon generando un’onda d’urto breve ma intensa. Slaughter Beach, scelta anch’essa come singolo e video, grazie ad un coro ruffiano il giusto, si stampa indelebilmente nella memoria e non potrà che essere l’ennesimo cavallo di battaglia in sede live. L’epicheggiante Mountain of Bone sfrutta l’inerzia dell’album per raggiungere un ideale zenit, risultando uno delle migliori composizioni di Sunrise On Slaughter Beach, grazie ad un songwriting di assoluto spessore. Nosferatu Madre e Mercy Brown, canzoni più cadenzate e malinconiche preludono al mood che si respirerà nella seconda metà dell’album. Il breve interludio di We Strive For Excellence, banale traccia sospesa tra AC/DC e Motorhead, lascia spazio agli ultimi brani dove i Clutch tentano sperimentazioni in netto contrasto con una prima sezione più diretta e monolitica. Si passa dalle atmosfere dilatate e lisergiche di un’inconcludente Skeletons On Mars alla rutilante Three Golden Horns, condita da dose massicce di psichedelia nelle parte solistiche di chitarra, purtroppo poco amalgamate al pattern ruvido della composizione, un’idea abbozzata mai pienamente sviluppata che lascia un senso di incompiutezza nel risultato finale. A chiudere i soli 33 minuti di Sunrise On Slaughter Beach ci pensa Jackhammer Our Names, cupa e cadenzata nelle ritmiche, dove svetta la voce stentorea e declamatoria di Neil Fallon. Un brano dal potenziale enorme, in grado di creare un enorme senso di anticipazione, per poi terminare quasi bruscamente sul più bello, quando ci si aspetterebbe il climax, lasciando inevitabilmente l’amaro in bocca.
Paradossalmente Sunrise On Slaughter Beach, tredicesimo album dei Clutch, soffre di un generale senso di incompiutezza e urgenza, elementi in forte contrasto con il lungo periodo di stop dovuto alla pandemia. Mentre la prima parte, quella più vicina all’hard rock stoner, inconfondibile trademark dei Clutch, è più a fuoco e decisamente d’impatto, la seconda appare invece come un collage di idee mai pienamente sviluppate. In queste occasioni il songwriting fin troppo schizofrenico, tenta di andare contemporaneamente in più direzioni, senza mai imboccarne una con decisione. L’esito è un album poco coeso, dove poche canzoni di valore assoluto svettano su brani senza una precisa identità. Le soluzioni potevano essere due: eliminare alcune composizioni e pubblicare un EP di qualità elevatissima o comporre un full length più lungo, prendendosi il tempo necessario per plasmare e rifinire brani che appaiono grezzi ed incompiuti. La qualità della band è intrinseca, e questo permette a Sunrise On Slaughter Beach di non affondare, e a volte di risplendere abbagliante nei momenti più infuocati. Tuttavia, da dei fuoriclasse come i Clutch, era lecito attendersi quel quid in più, quel colpo vincente a cui siamo stati abituati, album dopo album. Un plauso invece a quei tentativi di apportare innovazioni all’interno del proprio sound e negli arrangiamenti, prevalentemente con l’introduzione di soluzioni e strumentazioni legate alla psichedelia. Vanno comunque rivisti in ottica di composizioni più ricche e complesse, dove l’incontro tra generi diversi possa concretizzarsi e le diverse musicalità coesistere ed amalgamarsi armoniosamente. Sunrise On Slaughter Beach è un lavoro fatto di chiaroscuri, senza per questo rappresentare un campanello d’allarme sullo stato di salute della band americana. Quando c’è da premere sull’acceleratore i Clutch rispondono presente, e in sede live saranno la solita macchina tritaossa. Non resta che raccogliersi intorno ad una band unica e generosa, che magari ha solo faticato a rimettersi in moto, volgere lo sguardo al cielo in attesa di vederli volare maestosi a quelle altezze vertiginose che tanti altri possono solo sognare.
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5
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Non si può non voler bene a questo gruppo, sul giudizio difficile non concordare. |
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4
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Copertina clamorosamente bella! Io questi tizi li adoro |
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3
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Siamo in due Simone  |
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2
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Ah pardon, scordavo un plauso alla copertina, che a me piace da matti  |
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Un bell'album, senza dubbio. Condivido il parere su alcuni brani meno riusciti, ma la prima parte dell'album è veramente di alto livello. Mountain of Bone miglior pezzo del disco a mani basse. Bravi Clutch. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Red Alert (Boss Metal Zone) 2. Slaughter Beach 3. Mountain of Bone 4. Nosferatu Madre 5. Mercy Brown 6. We Strive For Excellence 7. Skeleton On Mars 8. Three Golden Horns 9. Jackhammer Our Names
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Line Up
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Neil Fallon (Voce, chitarra, tastiere) Tim Sult (Chitarra) Dan Maines (Basso) Jean-Paul Gaster (Batteria)
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RECENSIONI |
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