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Rezn - Solace
08/06/2023
( 6075 letture )
La bellissima ed evocativa copertina di Solace, opera di Adam Burke della Nightjar Illustration, gioca col titolo dell’album, mostrando un raggio di sole che irrompe in uno scenario tenebroso, dominato da una impervia quanto maestosa e misteriosa cima. Il riferimento alla musica contenuta nel quarto album dei Rezn, band proveniente da Chicago, non potrebbe essere più chiaro. Un monolite di psichedelia distorta, rischiarato però da una positività sofferta quanto intensamente ricercata.
La band nasce dall’incontro tra Rob McWilliams e Phil Cangelosi, che decidono di trasferirsi a Chicago e qui trovano Patrick Dunn, un sound engineer che si unisce alla nascente band come batterista. I tre iniziano a comporre musica propria e, una volta pronti alla registrazione del debutto Let It Burn, decidono di chiamare un altro musicista, Spencer Ouellette, per ampliare il range sonoro con l’utilizzo del sintetizzatore. L’esperimento funziona così bene che Oullette resta nella band divenendo membro a tutti gli effetti e portando con sé anche altri strumenti, tra i quali spicca il sassofono. Da quel 2015, come detto, la band ha pubblicato altri due album, Calm Black Water nel 2018 e Chaotic Divine nel 2020, sempre in regime di autoproduzione. Certo avere un ingegnere del suono in formazione aiuta parecchio in tal senso e, in effetti, i quattro non sembrano patire affatto questa dimensione underground, tanto che anche il qui presente Solace, registrato nel corso del 2021 e pubblicato solo adesso, prosegue con questo formato.

L’evoluzione compiuta dalla band, che ha appunto inglobato nel proprio sound anche elementi peculiari come sassofono e l’utilizzo esteso di sintetizzatori, non ha portato comunque a uno sviamento rispetto all’indirizzo di base. Parliamo appunto sempre di una psichedelia ampiamente distorta, condotta su riff e arpeggi affini a doom e stoner, sulla quale McWilliams adagia le proprie linee melodiche spesso armonizzate in chiave minore, le quali, senza girarci troppo in tondo, ricordano e non poco quelle degli Alice in Chains. La musica è lenta e avvolgente, molto giocata sull’effetto straniante delle sovrapposizioni di reverberi e sintetizzatori, lambendo il drone ambient e il post rock, ma rimanendo sempre ben ancorata alla psichedelia, con volumi e distorsioni potentissimi, ma un senso di canzone che resta ben delineato e melodicamente apprezzabile. In effetti, l’apertura affidata alla strumentale Allured By Feverish Visions potrebbe risultare piuttosto fuorviante: siamo infatti di fronte al classico brano psichedelico “evocativo”, con un arpeggio portante accompagnato da una ritmica minimale, seppure col basso bene in vista, sul quale si innestano gli interventi del flauto e delle tastiere, che creano scenari sognanti e vagamente “di giungla orientale”, con un crescendo lento, che porta inevitabilmente all’esplosione della distorsione (ricorda vagamente Astronotus dei nostrani Karma). Forse non il brano più significativo con cui iniziare, a dirla tutta, dato che il proseguo sarà piuttosto diverso e l’essere scambiati per uno dei tanti gruppi psichedelici strumentali non è un vantaggio, in questo caso. Possession ci porta quindi dentro il disco vero e proprio, con la sua ritmica ancora impostata su passaggi sognanti, tra basso e batteria e arpeggi pieni di riverbero, con la bella linea melodica del cantato e la voce pulita e acuta di McWilliams a catturare l’attenzione. Colpisce la qualità dei suoni, assolutamente competitiva e che porta a una vera e propria immersione nella musica. Bello anche il refrain e l’arrivo della distorsione, catartica e pesantissima, che fa da preludio a Reversal, immediatamente attaccata alla precedente, di cui appare quasi una continuazione. Qua il contrasto tra distorsione e arpeggi crea fin da subito una atmosfera spettacolare e l’utilizzo dei sintetizzatori non fa che sottolineare il crepuscolo emotivo della traccia. Stupisce nuovamente la voce di McWilliams con una timbrica quasi femminile, che ammalia letteralmente l’ascoltatore, mentre si conferma l’alternanza tra pulito e distorto, stavolta utilizzato per il refrain mesmerizzante, carico di malinconia. Ancora meglio fa la successiva Stasis, dotata della melodia più riuscita e straniante, palesemente ispirata agli Alice in Chains (e quando McWilliams intona I’ll never get born again, ogni dubbio in merito sparisce) e un riff circolare in stile caterpillar carico di effettistica che ne amplifica l’effetto; curioso l’arpeggio centrale che ricorda la celeberrima Lullaby dei The Cure, mentre tutto il finale, tra post rock e shoegaze, ci conduce a quella che potremmo definire una ballata: Faded and Fleeting lascia infatti da parte la distorsione e si rivela traccia atmosferica, con i filtri applicati alla voce e un andamento sinuoso e carico di pace, che conduce al break di sassofono in perfetto stile Pink Floyd il quale rappresenta praticamente tutto il brano. Elementi post rock ricompaiono anche nella lunga e conclusiva Webbed Roots magnetica e sognante finché non esplode il riff che contrasta la linea melodica e la deriva psichedelica dei sintetizzatori. La seconda parte del brano, condotta dal parlato dell’ospite Marie Davidson cambia ancora prospettiva arrivando addirittura a lambire scenari prog, con elementi orientali che arricchiscono ulteriormente lo scenario musicale e regalano il brano più complesso del disco, in continuo mutamento.

Giunti al quarto album i Rezn dimostrano di essere una band che non ha paura di sperimentare con la propria proposta musicale. Questa volta i quattro riducono appena la componente stoner a favore dell’elemento post e contemporaneamente riducono anche gli interventi del sassofono, confinati a un sol brano, per aumentare il contrasto tra luce e oscurità, tra distorsione e arpeggi, lasciando ampio spazio a melodie ricercate e che giocano un ruolo rilevante nell’economia del disco, rendendolo emozionante e carico di un forte pathos. Volendo citare per forza un nome potrebbe essere quello degli Elder a rendere l’idea. Solace non è comunque un disco perfetto: come detto l’opener risulta fuorviante e fin troppo diversa da tutto il resto del disco e forse avrebbe potuto essere spezzata in due parti, come intro e outro, piuttosto che messa all’inizio per intero e anche Faded and Fleeting, per quanto piacevole, risulta fin troppo derivativa e poco significativa. I brani sono comunque tutti di livello, ma manca il colpo di classe definitivo, quello che rende indimenticabile un disco costruito in maniera intelligente e in continuo crescendo. Detto questo, il livello tecnico e compositivo, come la cura dei suoni e della costruzione degli arrangiamenti, sono quelli di una band da tenere assolutamente d’occhio e che merita ogni riconoscimento anche solo per aver intrapreso la strada dell’autoproduzione con risultati così alti. Complimenti.



VOTO RECENSORE
76
VOTO LETTORI
95 su 2 voti [ VOTA]
Diego75
Martedì 28 Novembre 2023, 21.26.30
2
Un nome ....una garanzia... Questi ragazzi assieme ad un pugno di band ristrette come sleep, Om, sons of Otis e sheavy fanno la differenza in un genere fotocopia e ripetitivo....andate tranquilli con l'acquisto.
Slow
Venerdì 1 Settembre 2023, 8.11.37
1
Disco bellissimo, se si ama il genere. Anche 80 per me
INFORMAZIONI
2023
Autoprodotto
Stoner/Doom
Tracklist
1. Allured By Feverish Visions
2. Possession
3. Reversal
4. Stasis
5. Faded and Fleeting
6. Webbed Roots
Line Up
Rob McWilliams (Voce, Chitarra)
Spencer Ouellette (Sassofono, Sintetizzatore, Piano, Flauto)
Phil Cangelosi (Basso, Rainstick)
Patrick Dunn (Batteria, Percussioni)

Musicisti Ospiti:
Marie Davidson (Parlato su traccia 6)
 
RECENSIONI
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