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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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06/10/2023
( 383 letture )
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La band di cui parliamo oggi sono gli Oak ma, badare bene, non quella che negli anni ’70 partiva dalle strade di Camden Town a suon di folk inglese. Quindi ci occupiamo degli Oak norvegesi, che si sono formati ad Oslo dieci anni fa, e fanno un miscuglio di progressive, folk ed elettronica. No, neanche di quelli. Se si parla di band formate dieci anni fa, allora sono gli Oak italiani, che fondono indie, pop ed elettronica? Nemmeno. E allora di chi?
Gli Oak di oggi sono portoghesi e propongono un doom estremamente articolato e profondo. Emerge quindi che tanti gruppi sono fissati con le querce, ma tra tutte le band citate finora i lusitani sono quelli che hanno probabilmente il progetto più amibizioso, nato dalle menti diGuillerme Henriques e Pedro Soares. Se ad alcuni di voi questi nomi non sono nuovi e vi fanno suonare qualche campanello in testa, è perchè sono chitarrista e batterista dei Gaerea, loro band madre. Altrimenti, difficilmente li conoscereste, visto che ci troviamo di fronte a quella che è la prima e unica release della band con il nuovo monicker. Stiamo quindi per ascoltare Disintegrate, title track e per forza di cose Alfa e Omega dell’intero lavoro, essendo l’unica traccia di cui è composto l’album, per la monumentale durata di quasi quarantacinque minuti. I tre quarti d’ora sono in realtà dilazionati in più segmenti, tant’è che due di questi sono estratti come singoli con tanto di video. Da un punto di vista lirico, stando a quanto scrivono i membri della band sul sito della Season of Mist, il concept parlerebbe di un risveglio, più precisamente il risveglio di un gigante, che porta il fardello del mondo sulle spalle e cammina sperando di liberarsi da questa responsabilità. Quindi una sorta di Atlante, che nella mitologia ellenica viene incontrato da Eracle mentre cercava il giardino delle Esperidi e viene poi pietrificato da Perseo, dando vita ai monti che si trovano in Marocco. La cosa potrebbe avere anche senso, ma musicalmente parlando sembra più la messa in musica di un’apocalisse totale, e poi non quaglia con quello che si raffigura copertina. Vedendo infatti quest'ultima, potrebbe sembrare a uno sguardo poco attento una delle macine Mulino Bianco intinte nel caffè, ma possiamo assicurarvi che si tratta di una raffigurazione del cielo. Il quale, viene qui rappresentato in versione centrifuga, come una sorta di brodo primordiale al contrario. Quindi, non come un processo che dà origine al pianeta, bensì come un maelstrom che porta il caos a disintegrare tutto: da qui il titolo dell’album.
Possiamo interpretare il disco come la rappresentazione in musica di tutto il processo distruttivo, tant’è che viene introdotto da un breve incipit di pianoforte, per poi scatenarsi in un’esplosione furente, che solleva polvere e prepara il terreno per la distruzione che verrà. L’album procede ad ondate, poichè ad una rapida sfuriata fa seguito un rallentamento nel quale i toni sono più distesi. Nella prima parte ci si barcamena tra sbandamenti, con l’arpeggio maligno di chitarra sempre in primo piano, qualche accenno di accellerazione batteristica, che arriva a sforare nel blast beat solo dopo molto tempo. Non si ha mai però l’impressione di essere veramente sballottati costantemente da una parte all’altra. Al termine del primo quarto d’ora compaiono le influenze più black, portate da un riff maligno e zanzaroso, a voler segnare idealmente il confine tra la prima sezione e quelle che verranno. Ed è così che anche l’apporto vocale si fa diverso, con un growl meno corposo ma più trascinato, più lacerante e in preda alla disperazione. Non dev’essere un caso quindi se anche l’atmosfera in sè si fa più drammatica, con la chitarra che inizia a tessere riff più macabri e la batteria che torna a martellare sostenuta. In generale l’aria è emotivamente più carica, trasmettendo la sensazione di precipitare in un abisso senza ritorno. Ma è proprio nel momento più carico di pathos, quando la disperazione sempre aver preso il sopravvento e il suo momento più alto, che la forte scarica di deflagrazione si interrompe. Questo secondo intermezzo assume toni ancora più distesi, e va diviso a sua volta in due momenti ben diversi. La prima parte sembra un intruso, dal momento che non solo tutto è estremamente sognante, ma le note di pianoforte dipingono da musica sacra, come una sorta di speranza e la possibilità di raggiungere la salvezza eterna elevandosi verso il cielo. Man mano che si procede con l’ascolto però, l’atmosfera inizia gradualmente a riaddensarsi, e si riesce a percepire in sottofondo un ribollire che diventa sempre più insistente, come se fosse in attesa di riemergere per scatenarsi di nuovo, e quando lo fa esplode in modo fragoroso. Appare ormai evidente come siamo arrivati al momento dell’apocalisse incombente e, come l’opera di distruzione sta raggiungendo il suo culmine, anche la creazione degli Oak sta toccando il suo fulcro. Ora sì viene lasciato tempo ai blast beat di prendersi la scena e sfoderare randellate senza ritegno, e se prima erano le influenze black a sancire la divisione tra le parti del brano, ora come ora emerge invece la componente doom vera e propria. Siamo quindi al cospetto della fiammata finale, con i piatti a scandire i rintocchi di una devastazione incombente, mentre i blast beat di batteria diventano le sentenze di morte attraverso cui l’apocalisse si compie. E proprio quando si avvicina la fine, salgono in cattedra i riff di chitarra, mai così limpidi e malinconici, quasi a sottolineare la tragicità della cosa, mentre la sezione ritmica segue un andamento dinoccolato. Di colpo si interrompe la devastazione e tutto il resto è silenzio, rimangono solo lievi acceni di rumori quasi impercettibili, ma ugualmente inquietanti. che fanno da eco sordo al paesaggio di desolazione che rimane. Si chiude col botto quindi, lasciando un finale da pelle d’oca con un pathos che raggiunge vette spropositate.
Cosa possiamo dire quindi di questo Disintegrate, un album che per tre quarti d’ora ci trascina in questo viaggio con un’unica traccia? Prima di tutto che non esiste il tasto skip, in secondo luogo il fatto che risulta abbastanza scorrevole. Di solito quando ci si trova di fronte a composizioni così mastodontiche si dice che siano necessari molteplici ascolti per metabolizzare appieno quello che si sta ascoltando, ma in questo caso non è necessario sentire il brano più volte per capirci qualcosa. Semmai serve risentirlo più che altro per riuscire a configurarsi tutto nella sua interezza, sezione per sezione, ma di per sè la modalità di arrangiamento rende il tutto abbastanza intuitivo. Il tentativo altamente spettacolare degli Oak di portare la loro versione di apocalisse in musica è pienamente riuscito ed in modo davvero efficace, resta quindi da vedere cosa ci attende nel prossimo capitolo, e anche se ci sarà un prossimo capitolo. Perchè, come diceva il buon Piotr Wiwczarek, non si possono bruciare le ceneri.
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INFORMAZIONI |
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Line Up
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Guillerme Henriques (Voce, Chitarra) Pedro Soares (Batteria)
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