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27/04/25
THE LUMINEERS
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Mars Red Sky - Dawn of the Dusk
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17/03/2024
( 833 letture )
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Attivi ormai da più di tre lustri, i francesi Mars Red Sky sono una delle band da tenere d’occhio in ambito stoner/doom psichedelico. Dopo un folgorante debutto nel 2011, i nostri hanno proseguito con un ritmo instancabile a rilasciare nuovo materiale, arrivando ad avere ormai una corposa discografia, composta da sei EP e da quattro album, a cui va ad aggiungersi questo quinto, Dawn of the Dusk, nel dicembre dello scorso anno. Se nel tempo il gruppo non sempre è sembrato riuscire a soddisfare le altissime aspettative sollevate dal primo disco, proprio l’ultimo degli EP pubblicati, arrivato ad aprile 2023, annunciava una interessante collaborazione con l’artista folk Queen of the Meadow (al secolo, Helen Ferguson), che ha innescato qualcosa di nuovo nella musica e nell’ispirazione del trio. Tanto che in Dawn of the Dusk ritroviamo un brano di quell’EP e una nuova traccia che vede la partecipazione della Regina.
Le novità non si fermano in realtà alla pur preziosa collaborazione, ma investono anche la proposta musicale dei Mars Red Sky nel suo complesso. Dawn of the Dusk è infatti un album che segna un punto di novità nella discografia della band. Senza stravolgere l’identità del gruppo e la sua particolare quanto riconoscibile vena compositiva, che vede la band indulgere in una commistione di psichedelia, stoner e doom piuttosto personale, pur senza essere innovativa, i tre hanno ulteriormente allargato il loro raggio di ispirazione. Come da aspettative, l’elemento folk portato da Queen of the Meadow ha il suo spazio e la sua importanza, ma a farsi notare è, soprattutto, una robusta vena post rock che aggiunge una connotazione malinconica e poetica alla pur sempre presente cifra melodica della band. Il risultato della combinazione di questi elementi è un disco che non rinuncia affatto alla pesantezza del riffing stoner/doom, filtrato costantemente da una sorta di "nebbia" cosmica e psichedelica, che ottunde i contorni e rende indefiniti i confini, ma a questi aggiunge appunto una nota “cinematografica”, quasi da colonna sonora, che ne amplifica contesto e messaggio. L’album ne esce quindi molto strutturato, con ogni canzone dotata di una propria specifica identità e, al contempo, quasi come uno stordente flusso continuo, nel quale perdersi fino a che gli elementi non cominciano a emergere e distinguersi gli uni dagli altri, ascolto dopo ascolto. Break Even è la canzone perfetta per iniziare un disco e il pesantissimo e sgranato riffing di marca stoner/doom si scontra con la melodia del cantato. La voce dolce e sognante di Julien traccia le linee melodiche verso un refrain malinconico riuscitissimo, mentre il brano cresce di continuo, mostrando anche una certa raffinatezza negli stacchi e nell’arrangiamento, che lo porta ben oltre dall’essere una semplice canzone “di genere”. Ancora più particolare Maps of Inferno: in questo caso è Queen of the Meadow a prendere il microfono e il suo cantato, così ispirato al doom occulto eleva il già ottimo brano a livelli altissimi. La traccia è ondeggiante, una palude mefitica e il crescendo degli strumenti, accompagnato dall’organo, apre meravigliosamente il brano, nel quale la voce fa la sua comparsa dopo oltre due minuti e che comparsa. Improvvisamente, il crescendo si acquieta e la componente post rock emerge, con i dolci e al tempo stesso spettrali vocalizzi della Ferguson ad accompagnare, fino al ritorno sul riff portante e alla strofa che ci conduce all’evocativo finale. Stupenda, poco da aggiungere. Terzo brano e terzo cambio di atmosfera: riff doom, lento ed evocativo e stavolta è la voce roca del bassista Jimmy Kinast a condurre il gioco, con una particolarissima vena post punk (?) che spunta come dal nulla e si fonde magnificamente con il disfacimento stoner/psichedelico del brano, con lo spettacolare cambio di tempo dell'assolo. Ancora una volta, stupisce la capacità della band di rendere plausibile, scorrevole e melodicamente vincente un coacervo musicale che sulla carta sembrerebbe di difficile accostamento, fino al maestoso ritorno sul riff iniziale e l’esplosione rumoristica psichedelica finale. Oltre sei minuti di musica che vanno via come acqua in un affresco gigantesco. E se le prime tre tracce ci lasciano stupefatti per la diversità, accentuata dal cambio di voce solista, A Choir of Ghosts fa a meno del cantato, ma non dell’atmosfera di mistico disfacimento, di corruzione e drammatico declino che permea tutto il disco. Uno strumentale mirabile, evocativo che si interrompe bruscamente lasciando spazio a Carnival Man. Julien riprende possesso del microfono per un brano lento, cadenzato, stoner nell’animo e psichedelico nella linea melodica e che nella seconda parte prende una palese deviazione post rock strumentale, che conferma quella desolazione decadente già emersa nei brani precedenti. Trap Door è un breve strumentale per chitarra acustica e folk, che apre a un altro dei brani di punta del disco, Slow Attack. Riff pesantissimo e iperdistorto, linea melodica malinconica ed emotivamente devastante, refrain ipnotico e traccia da incorniciare per impatto e costruzione, che si chiude sullo stesso giro acustico di Trap Door, che ritorna anche in Heavenly Bodies, senza interruzione. Traccia conclusiva di pura atmosfera, condotta dai vocalizzi di Queen of the Meadow, sulla quale si affastellano armonica, autoharp e rumoristica varia, a creare uno scenario da colonna sonora, quasi alla Morricone (e ci perdoni il Maestro, per averlo tirato in mezzo). Chiusura di album mesmerizzante e invero particolare, che lascia in sospeso piuttosto che terminare davvero, nel suo indubbio fascino.
Da tempo si attendeva un ritorno su alti livelli per i Mars Red Sky e Dawn of the Dusk sembra essere riuscito in questo compito. Sfaccettato, strapieno di ispirazioni diverse, caleidoscopico nel suo muoversi tra i generi con sicurezza e dotato di un gusto melodico che lo rende immediatamente riconoscibile, il quinto disco è quello di una maturità raggiunta. Sembra in realtà preludere a ulteriori sviluppi e resta comunque imperfetto, nel suo essere molto bello. Eterogeneo, benissimo, ma forse un poco disorientante e con un senso di mancata chiusura, come restasse non finito e privo di qualcosa che ne portasse a compimento il messaggio, Dawn of the Dusk è un disco ambizioso e che invoglia ai ripetuti ascolti, senza farsi afferrare. La sua forza sono i singoli episodi, in tal senso. La collaborazione con Queen of the Meadow pur portando con sé in dote due tracce bellissime, con Maps of Inferno che rasenta il capolavoro, risultava forse più coerente come episodio a se stante, nell’EP dello scorso anno, ma certo anch’essa sembra foriera di ulteriori auspicabili evoluzioni. Non resta insomma che immergersi in questo bellissimo quinto album e attendere i prossimi sviluppi, per quella che torna a essere una delle formazioni di punta degli ultimi anni. Da avere.
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2
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Ascoltato sul tubo. Acquisto obbligato. DISCONE. |
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1
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Band e album di assoluto livello. Per ora non hanno mai fatto un passo falso. ❤️🖤 |
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INFORMAZIONI |
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Mrs Red Sound & Vicious Circle
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Tracklist
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1. Break Even 2. Maps of Inferno 3. The Final Round 4. A Choir of Ghosts 5. Carnival Man 6. Trap Door 7. Slow Attack 8. Heavenly Bodies
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Line Up
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Julien Pras (Voce, Chitarra, Armonica, Piano) Jimmy Kinast (Basso, Voce su traccia 3, Effetti Sonori, Cori) Mathieu Gazeau (Batteria, Piano Rhodes, Cori)
Musicisti Ospiti Queen of the Meadow (Voce su traccia 2, Autoharp e cori su traccia 8)
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RECENSIONI |
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