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15/02/25
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ASTRO CLUB - FONTANAFREDDA (PN)
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Gorgoroth - Ad Majorem Sathanas Gloriam
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01/02/2025
( 895 letture )
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I Gorgoroth arrivarono all’appuntamento con il loro settimo full-length in un periodo abbastanza denso della loro carriera: erano ancora di attualità le controversie legate al loro blasfemo live del 2004 a Cracovia, che oltre alle grane legali aveva portato con sé anche una certa visibilità, e recentissimo l’arresto di Gaahl. Inoltre era finito in manette qualche anno prima anche Infernus, permettendo in qualche modo al King di prendere in mano le redini del progetto, probabilmente all’apice della notorietà.
Sull’onda delle vicende extra-discografiche, quasi un leitmotiv nel black metal, Ad Majorem Sathanas Gloriam vide la luce nel 2006 e rappresenta il momento di maggiore coinvolgimento del bassista e del cantante nello storico monicker norvegese, con l’uno che si occupò interamente del songwriting, l’altro dei testi. I due erano già dietro la maggior parte del materiale che componeva Twilight of the Idols ma, seppure si possano cogliere le somiglianze nel songwriting, specialmente nel riffing, decisero di imprimere un approccio diverso al successore. Consci probabilmente dell’almeno temporanea popolarità e nonostante l’abbandono della prestigiosa Nuclear Blast in favore della Regain Records, King e Gaahl diedero vita ad un disco più ponderato e melodico, meno aspro e opprimente rispetto al precedente e probabilmente nel complesso più accessibile. Ovviamente trattandosi dei Gorgoroth tutti questi aggettivi vanno presi con la dovuta cautela, però non è un caso se alcuni dei brani presenti sul disco sono destinati a diventare tra i più conosciuti della loro discografia e probabilmente i più noti al di fuori del pubblico di stretta osservanza nero-metallica. Ad Majorem Sathanas Gloriam continuava sulla linea di un black feroce e violento, dall’attitudine old-school ma dal sound modernizzato e condensava nella sua proverbiale breve durata tutta l’oscura potenza che la band poteva sfoggiare ma anche un insolito gusto melodico, con le chitarre ruggenti e cariche di tremolo ma che amano anche dilungarsi in accordi aperti e arpeggi carichi di distorsione che sono un po’ il trademark del songwriting di King. L’accentuarsi della componente melodica è accompagnato anche da una produzione che ripulisce lo spettro sonoro in modo da permettere alle linee di chitarra di emergere maggiormente (mentre il basso rimane a malapena percettibile) pur mantenendo la giusta patina raw e l’effetto impattante che già caratterizzava il sound di Twilight of the Idols. A valorizzare ancor di più le composizioni c’è poi l’efficacia precisa e distruttiva di Frost, che riesce come sempre a sembrare una furia inumana dietro le pelli e, con buona pace del pur ottimo Kvitrafn, a risultare irraggiungibile. Wound upon Wound apre le danze malevola, tesa e velocissima, ma c’è presto spazio per rallentamenti e arpeggi, prima dell’improvvisa, coinvolgente accelerazione in cui accordi dissonanti e le ritmiche inarrestabili di Frost accompagnano verso il finale. Momenti di puro groove, quasi a sottolineare la possenza dei giganti, ma anche melodie epiche ed oscure caratterizzano invece Carving a Giant, altro brano di successo per cui venne realizzato anche un videoclip. Il tremolo delle chitarre si fa triste e melodico in God Seed (Twilight of the Idols), originariamente ideata come title-track del precedente disco, ma in effetti meglio integrata col materiale presente su questo, e che comunque non si nega un finale impetuoso e tormentato. Con Sign of an Open Eye ci troviamo invece di fronte non solo probabilmente al brano più noto dell’intera discografia della band, ma anche ad un brano abbastanza straniante soprattutto per chi fosse abituato alle sonorità dei primi Gorgoroth: la canzone ha un incedere ipnotico, costruito su una ritmica semplice e granitica e su un riffing profondo e carico di groove su cui staglia un lead appena accennato e la voce pulita, calma e grave di Gaahl, prima del finale in cui si sprigiona la doppia cassa e si percepisce persino il pulsare del basso, mentre la voce si fa di nuovo screaming ed invoca:
Call Him Call Him
Poco da aggiungere per un pezzo riuscitissimo e coinvolgente, probabilmente fuori dai canoni compositivi più classici della band, ma di diritto nella sua storia. White Seed è un brano interessante ma decisamente più indecifrabile: inagurata e conclusa da delle sezioni caotiche, furiose, presenta invece una parte centrale più variegata in cui nel riffing si possono scorgere soluzioni assai affini ad alcune che poi confluiranno in progetti futuri del compositore, in particolare Ov Hell. Exit torna però a fugare qualunque dubbio con un riff più classico e con un incedere irresistibile garantito dal blast-beat assassino di Frost. La brevissima e furente Untamed Forces fa da preludio per il gran finale affidato a Prosperity and Beauty, perfetta summa del disco in cui melodia e aggressione e caos si incontrano.
Ad Majorem Sathanas Gloriam, (s)grammatica latina a parte, è un disco riuscito, che conserva la potenza della formula già rodata con Twilight of the Idols, ma declinandola in senso più melodico e ragionato e avvalendosi di una buona produzione e ottime abilità strumentali. Nonostante alcuni brani, come già segnalato lungo la disamina, raggiunsero ottima notorietà, ben presto, a causa dei dissidi legali sul monicker, finirono per ingrossare non le setlist dei Gorgoroth, bensì quelle del successivo progetto di King e Gaahl chiamato non a caso proprio God Seed. Pur essendo un disco molto legato al sound impresso dal suo compositore e quindi in parte un’anomalia nella discografia della band, il settimo platter della band di Bergen rimane però l’ultimo grande album a firma Gorgoroth, che negli anni successivi, con Infernus tornato pienamente in sella, proveranno a riprendere una formula più scarna e diretta ma con scarsi successi.
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11
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per me questo album è strepitoso, mi è sempre piaciuto molto e penso sia uno dei loro lavori migliori ...sicuramente superiore al successivo , non so l\'ultimo istinctus che non conosco. Per me anche 85 |
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10
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Quando studiavo a Bergen mi ricordo che Gaahl venne nominato gay norvegese dell\'anno |
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9
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Davvero bello, è uno degli album che ascolto più spesso della loro discografia. |
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8
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Piccola precisazione: mi piacciono tutti gli album a eccezione di \"2011\" (se vogliamo considerare album anche quello...) |
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7
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Dei Gorgoroth mi piacciono tutti gli album, questo lo metto tra i migliori. |
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6
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@Straisand ti prego racconta -----comunque discone, anche se mi dicevano di piú agli esordi |
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5
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Questi Gorgoroth funzionavano, qui a differenza dei primi album c\'era una maggiore velocità e perizia forse equiparabile più equiparabile ai Marduk e Dark Funeral piuttosto che alle cose che c\'erano in Norvegia.
Tuttavia non mi piacque l\'interesse più o meno serio che si era creato attorno a loro per via delle controversie del periodo...
ancora rido se ripenso al documentario in cui Gaahl fece fare trekking ai giornalisti Americani o alla fine quando decide di non rispondere più alle domande... |
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4
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Ricordo ancora quando Gaahl ci provò spudorosamente con me su myspace. Che tempi 😅 |
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3
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Per me il loro migliore disco. Voto 90. |
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Bel disco! A mio avviso il migliore della discografia, dopo i primi tre ovviamente. Nessun cedimento lungo la tracklist. Sempre devastanti, qui anche grazie alla performance di Frost. Concordo anch’io con il voto. |
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1
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Perfettamente d accordo con la rece. Gaahl e King sfornarono due album godibilissimi, con questo e il precedente. Niente a che vedere col piattume scialbo e noioso degli ultimi due album scritti da Infernus. Voto giusto. |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Wound upon Wound 2. Carving a Giant 3. God Seed (Twilight of the Idols) 4. Sign of an Open Eye 5. White Seed 6. Exit 7. Untamed Forces 8. Prosperity and Beauty
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Line Up
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Gaahl (Voce) Infernus (Chitarra) King (Basso)
Musicisti ospiti Frost (Batteria)
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