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Streben - Wild Enchanted Gardens
( 2937 letture )
Ci sono individui da cui si pretendono senza motivo risultati irraggiungibili; vittime, queste, di pregiudizi inversi che, pur in condizioni sfavorevoli ancorché limitatamente (o per nulla) consolidate, non godono di clemenza alcuna, essendo subito messi a confronto con soggetti titolati, esperti, realizzati.
Destino ingrato che ha caratterizzato la mia vita -sempre in anticipo sui tempi-, ma pure sventura applicabile al duo autoctono oggetto del presente articolo: quando la Naturmacht Productions (label che si occupa di produrli e promuoverli) mi presentò gli Streben, feci l'imperdonabile errore di porli ad illogico paragone con l'eccellenza della calda terra di Sardegna, da cui sono rimasto letteralmente affascinato (Arcana Coelestia, Urna, Sine Luce).
In tal modo, inevitabilmente, l'opera suona di poco sufficiente.

Il black metal degli Streben è difatti una musica involuta, ragionata e pertanto poco induttiva ed a tratti inutilmente ricercata. Un prodotto atipico nella sua pur confinabile caratterizzazione black e di per se antitetico considerando l'approccio seminale, piuttosto intuitivo, che fu dei padri di Oslo e dintorni: le melodie, i completamenti -tutti i sentori a firma Streben insomma- profumano di frutta, di mare, di terra contadina, anche se l'origine isolana è declinata più nell'iconografia zeppa di luccicori e nuance albine di quanto non lo sia nel reale procedere strumentale; ed è questo il tema della mia perplessità: per quanto i brani siano variegati ed abbelliti da momenti ariosi (la titletrack, Painfully Seduced, ecc...), lo sviluppo mi pare comunque non così lontano dall'oscurantismo tonale (e totale) degli act ortodossi (cosiddetti true), soprattutto nelle porzioni picchiate in cui ricorre irrefrenabile il tremolo di Valker. Intendiamoci: la mutazione del seme caratteriale dei Padri Fondatori (Mayhem, Burzum, Immortal, tanto per fare qualche nome) è impossibile da tacere, data la “grana” meno grezza del riffing ed il colore esecutivo ben più caldo, ma è altresì impensabile credere di essere giunti nel territorio del post alla Alcest (progetto che con l'ultimo split cede qualche passo in fatto di originalità), ovvero in quello della rivisitazione locale alla Inchiuvatu -fulgido (e criticabile) esempio di come si possa spingere la matrice folkloristico/geografica in sostituzione di quella nordica- solo grazie a qualche stacco ben elaborato ma, in definitiva, estemporaneo. La sperimentazione di Wild Enchanted Gardens diluisce dunque passando in rassegna l’intera tracklist, il cui procedere si mostra complessivamente poco efficace e meno esclusivo di quanto si possa fantasticare ascoltando i primi 3 minuti dell’esordiente Embrace Of Nostalgia: escludendo le partiture leggere in cui la chitarra classica colloquia abilmente con i synth delicati e quasi "pizzicati" di Cristina Hagalaz (e con la sua ottima voce pulita), il carattere rimane troppo spesso acido e complicato, ragion per cui l'insieme fatica a consolidarsi nella memoria. Ne è causa la pesantissima architettura melodica in cui si intrecciano due visioni contrastanti e fortemente contrapposte, quella della chitarra -veloce e tagliente- e quella delle keyboards -al contrario rilassate ed avvolgenti-, che peraltro cercano (entrambe) abbinamenti orizzontali eccentrici ma poco orecchiabili. Oltre a ciò la combinazione tra le linee acute (vocalism distorto incluso) è troppo spesso disallineata nella metrica, cosa che prevedrebbe un preciso lavoro di giuntura della sezione ritmica che invece lavora "in solitaria", non badando al medley complessivo: il drumming (fornito dal sessionist Dark Shadow) è eccessivamente libero e, per questo, scarsamente intuitivo; il basso, suonato senza padronanza, non assolve alla funzione di collante armonico, cartacarbonando le linee della sorella a 6 corde: una ritmica più diretta avrebbe limitato la difficoltà interpretativa di una fase melodica tanto ragionata e poco conforme alle normali regole dell’armonia, rendendo molto più godibile Wild Enchanted Gardens.

Senza voler calcare la mano va detto che di punti a favore ce ne sono: su tutti il comportamento nelle parti scariche, interessantissimo e ben approcciato; la voce di Cristina è poi ben modulata sia quando riscalda le ambientazioni rilassate, sia quando interviene di cattiveria con lo stridulo screaming. Buona la presentazione dell’artwork e solo sufficiente la produzione, un po’ confusa e povera di profondità. D’altra parte non ho apprezzato l’insistenza nell’utilizzo del tremolo picking, la mancanza di un riffing multilinea e le limitatissime ipervelocità che avrebbero ben contrastato coi mid-tempos (più o meno sostenuti) della maggior parte del timing.
Riguardo ai singoli brani -su tutti- Aesthetic Faintness, Wild Enchanted Gardens (Where Daylight Dwells) e la chiusura acustica Soul Poetry.

A questo punto, senza modificare la sintesi numerica bilanciata sul reale valore della proposta, vorrei depurare la mia opinione dall’iniziale preconcetto, definendo Wild Enchanted Gardens per quello che è, ovvero un debutto dotato di soluzioni e spunti interessanti ma ancora acerbi, poco razionali ed incapaci di bilanciare la rivisitazione del passato con la voglia di sperimentazione dei mastermind Cristina Hagalaz e Valker. La chance che voglio dare agli Streben è quella di credere nella loro perizia compositiva, riconoscendone apertamente lo sforzo per smarcarsi dalla massa. Vanno corrette molte cose, ma la direzione può essere quella giusta.

Consolazione: anni fa dissero anche a me le medesime cose.
Mi chiesero di essere più umile, invitandomi altresì a smussare le spigolature dovute alla frenesia di voler crescere in fretta. Dicevano che altrimenti sarei appassito prima di fiorire…
Io l’ho fatto e, nel mio piccolo, sono sbocciato. La stessa cosa potrebbe accadere agli Streben.
Coraggio e avanti!!



VOTO RECENSORE
64
VOTO LETTORI
68.40 su 81 voti [ VOTA]
Amfortas
Lunedì 20 Luglio 2015, 19.49.02
6
In questo caso sono d' accordo con la recensione ed il voto, si erano espressi meglio nel demo. La qualità migliore dell' album è prendere le distanze dalla Scandinavia per adottare soluzioni più consone alla propria realtà: effettivamente l' album richiama davvero una realtà più "agreste". Questo risultato è ottenuto grazie ad una produzione pulita, molta melodia di tastiera e agli arpeggi di chitarra che a me personalmente evocano immagini di campi di grano al sole. E' un approccio più meditato e intimista che violento, questo è un punto di forza perchè conferisce all' album un pò di personalità in più, dall' altro è una debolezza perchè tanta "pacatezza" alla lunga annoia, visto che non regala nemmeno un riff o qualcosa di realmente convincente, qualcosa che ti faccia sobbalzare, venire voglia di riascoltare. Inoltre la stessa produzione è sbagliata perchè tastiere e batteria sovrastano quasi completamente le chitarre. Un appunto sulla batteria: spesso slegata dalla canzone, anche qui, può essere qualcosa di più originale, ma certe volte davvero sembra che il batterista vada per i fatti suoi.
Bone Pumpkin
Venerdì 12 Febbraio 2010, 19.05.06
5
Bhe ... i furboni esistono, e stanno rovinando le nostre società, ma questo è rimasto fuori dei cancelli del paese della furbizia, chi non avrebbe sospettato il contorto tentativo di "incastrare" Max ... l'esperienza maturata negli anni viene sempre ripagata da chi ti conosce e gli Streben sono stati dei signori!!! Max ... hai scritto una cosa sacrosanta, a prescindere dalla profondità e dalle argomentazioni impeccabili, ed è questa: "Mi chiesero di essere più umile, invitandomi altresì a smussare le spigolature dovute alla frenesia di voler crescere in fretta. Dicevano che altrimenti sarei appassito prima di fiorire… Io l’ho fatto e, nel mio piccolo, sono sbocciato." ... sei un grande!!!! L'umiltà è l'arma dei forti!!
Pandemonium
Venerdì 12 Febbraio 2010, 9.57.15
4
"creare una finta discussione tesa a dimostrare la poca preparazione di Massimiliano"... uahah!! certo che di pazzi ce ne sono, vorrei ben vedere quante persone, al posto di Giasse, sarebbero stati in grado di scrivere una recensione così profonda e argomentata su di una band emergente, che nella maggiorparte dei casi si ritrova recensioni di poche parole basate su ascolti superficiali... Ce ne vuole di coraggio, veramente, per fare certe cazzate!!! Mitico Max, bravi e onesti gli Streben per aver contattato Khaine.
Maiden1976
Venerdì 12 Febbraio 2010, 9.32.18
3
Roba da non credere.....
Raven
Venerdì 12 Febbraio 2010, 9.26.39
2
Incredibile il numero di furboni che in questo anno di grazia 2010 crede ancora di poter fare giochetti di questo genere senza essere individuato.....
Khaine
Venerdì 12 Febbraio 2010, 8.56.48
1
Avviso ai leggenti: abbiamo cancellato tutti i commenti che erano stati pubblicati in calce a quest'articolo. La maggior parte di essi erano stati pubblicati da una stessa persona, con tanti nickname diversi, al fine di creare una finta discussione tesa a dimostrare la poca preparazione di Massimiliano. La band stessa, non appena ha capito la cosa, ci ha contattati chiedendoci ripetutamente di cancellare i commenti spam: sebbene sia contrario alla nostra politica censurare ANCHE lo spam altrui, eccezionalmente abbiamo scelto di operare in questo senso, perchè mai come ora riteniamo che la tutela dell'interesse e dell'immagine della band sia più importante di quella di chi vuol far loro un danno, creando situazioni ambigue agli occhi di chi legge.
INFORMAZIONI
2009
Naturmacht Productions
Black
Tracklist
1. Embrace Of Nostalgia
2. Aesthetic Faintness
3. Wild Enchanted Gardens (Where Daylight Dwells)
4. Painfully Seduced (By A Truthful Reverie)
5. Delyrium Lies At The Core Of Wisdom
6. Soul Poetry
Line Up
Cristina Hagalaz - Vocals, Bass, Keyboards
Valker - Electric Guitars

Guest members:
Eyvindir - Acoustic Guitars
Dark Shadow - Drums
 
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