|
27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
|
|
|
( 2285 letture )
|
Prendete Badlands, Europe, ultimi Kingdom Come, una spruzzata di The Cult e King’s X ed il capolavoro è pronto? No, purtroppo no. Introdotti da un artwork suggestivo, che rappresenta una nave da guerra che reca il nome della band sul fianco, arenata su un picco, sulle cui fiancate si stanno arrampicando delle figure in evidente ricerca di un “rifugio”, i tedeschi Crane ci offrono in realtà un dischetto scialbo, che si avvicina di poco alla sufficienza sotto ogni aspetto. Eppure, da un punto di vista puramente tecnico, le componenti per il botto ci sarebbero tutte: una bella voce, una chitarra che sa quali licks solleticare, una sezione ritmica pulsante e dinamica. Le regole del gioco chiamato hard rock sono rispettate alla lettera. Cosa manca allora? Tutto il resto, purtroppo: canzoni di livello, sudore&sangue, passione, malizia, vertigine, senso di pericolo e minaccia imminente. Insomma, in altri termini, quello che distingue una buona bistecca da una suola di cartone pressato.
Partiamo dall’inizio: la band si forma dalle ceneri di formazioni minori quali Railway, Capt’n Hammer e Revenge e, secondo il foglietto che accompagna questa uscita, ci propone una raccolta di melodie e catchy grooves che rimandano a giganti quali Great White, Whitesnake e Dokken. Tanto che, per accreditarsi un pedigree di razza, i nostri vanno a scomodare addirittura un guru mondiale come Beau Hill per un non meglio specificato addictional mixing & advice. Il consiglio immagino sia stato di lasciar perdere i maestri del genere e volare bassi, ma questo sul foglietto non è scritto. Refuge è quindi il disco di debutto per questa formazione bavarese che, di fatto, non ha niente di quell’eccitamento che un disco derivante da tanta tradizione dovrebbe offrire a fiotti. Innocui come un gattino che gioca con un gomitolo di lana, capaci di suscitare emozioni come il boiler dell’acqua calda, i Crane ci consegnano un disco passionale e riuscito come il caffè della macchinetta automatica di troppi, tristi uffici. Eppure, ad un primo ascolto, i riff iniziali delle canzoni sono davvero tutti pregni di memorie e tradizione: in apparenza ruvidi, pieni di groove, ondeggianti tra blues ed hard rock, sembrano preludere ad almeno tre-quattro minuti di adrenalina corroborante. Una scossa che purtroppo non arriva mai, in tutto il disco. Mi sento però di spezzare una lancia a favore del gruppo: la produzione di Jan Vacik ai Dreamsoundstudios di Monaco, per quanto cristallina e potente, lascia davvero troppo “spazio” attorno alle canzoni, che finiscono per apparire piccole e vuote in diversi passaggi, a causa di una scarsa presenza della sezione ritmica nello spettro sonoro. I limiti di mixaggio non nascondono le mancanze della band, indubbiamente. Ma un buon produttore dovrebbe servire anche ad evitare o limitare simili pecche. I brani sembrano in effetti registrati praticamente in presa diretta, quasi senza sovraincisioni, ad esclusione dei cori, ma questa scelta non aiuta affatto la band, accentuandone la pochezza ritmica e le scarse capacità melodiche, l’ordinarietà delle parti di chitarra ed il groove assolutamente molle e stanco. Un disco di per sé derivativo e prettamente di genere diventa così un mattone quasi insormontabile e, forse, è a questo che allude la copertina: una gran fatica per arrivare in cima e poi ti ritrovi su di una nave abbandonata in cima ad una rupe. In effetti, se poi si vanno ad analizzare le singole tracce, qualcosa viene fuori: Goodbye e Fantasies, per quanto spompe e quasi irritanti nella loro indolenza, godono di melodie passabili, mentre con King of Trash, If You Open Up Your Eyes, Capital Fascism e Love finalmente si riesce anche a muovere un po’ il piedino. Eppure basta ascoltarle per capire che si tratta di canzoncine, davvero niente che possa scatenare entusiasmo se non per il riscatto dalla palude che le precede e segue, con le punte negative di Wake Up e Soul II Soul, davvero inutili ed irritanti.
Non resta che augurare il meglio alla band, visto che le capacità ci sarebbero e le idee sono chiare. Magari una bella alimentazione a carne cruda e Vodka Smirnoff per un paio di anni potrebbero giovare per trovare un po’ di quella fame, di quella tensione, di quella voglia di spaccare il mondo a forza di riff elettrici e valvole impazzite che al momento proprio non sembra trovare spazio nella musica dei Crane, in questo Refuge. Non basta scimmiottare i grandi e costruire le proprie canzoni col bilancino del bravo rocker per aver un prodotto che puzzi di vero se non ci sono urgenza, disperazione e spavalderia a sostenere le proprie ambizioni.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
2
|
Bella la cover... (mo ci vedrei qualcuno del gruppo qua che dice: e che ca**o, solo alla cover pensate? xD ) |
|
|
|
|
|
|
1
|
vagamente la cover, ricorda quella di Rosenrot dei mitici Rammstein !! |
|
|
|
|
|
INFORMAZIONI |
 |
 |
|
|
|
Tracklist
|
1. Able to Be Yourself 2. Goodbye 3. Fantasies 4. Wake Up 5. Paradise 6. King of Trash 7. If You Open Up Your Eyes 8. Soul II Soul 9. Riddle 10. Capital Fascism 11. Love 12. One Life One Game
|
|
Line Up
|
Armin Schueler (Voce) Markus Escher (Chitarra) Javier F. Luengo-Lopez Fernandes (Basso) Christian “Tilly” Klaus (Batteria)
|
|
|
|
RECENSIONI |
 |
|
|
|
|