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27/04/25
THE LUMINEERS
UNIPOL FORUM, VIA GIUSEPPE DI VITTORIO 6 - ASSAGO (MI)
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( 7784 letture )
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La scena doom norvegese ha acquistato una sempre maggiore visibilità nel corso degli anni, incidendo in modo significativo sulla sperimentazione all’interno di un genere da taluni a volte considerato stereotipato, ma che invece si presta ad assumere sfumature e toni sempre nuovi ed intriganti. I conoscitori di questo ambito probabilmente ricorderanno, se non il nome, quantomeno le gesta di Kjetil Ottersen, che per diversi anni fu essenzialmente tastierista dei Funeral e, tra le altre cose, partecipò alla realizzazione di From These Wounds, album che li portò alla ribalta e li lanciò definitivamente a livello internazionale. Memorabile rimane altresì la sua esperienza come frontman dei Fallen, gruppo nato come side project della sua band di appartenenza, con cui Kjetil stupì tutti esibendo in A Tragedy's Bitter End un’intensa e profonda voce baritonale. Come talvolta accade, le luci della ribalta possono acuire i personalismi ed inasprire i rapporti tra i membri di un gruppo, e fu così che la strada di Kjetil si divise da quella dei vecchi compagni. In quegli anni fece parte della crew dei Fallen, per una breve parentesi, anche l’eclettica Cecilie Langlie, oggi vocalist, per lo più in lingua norvegese, di varie band locali. I due devono aver trovato parecchie affinità durante quella esperienza comune, dato che, in seguito, grazie anche alla collaborazione del guitarist Tom Simonsen, decisero non solo di avviare insieme nuovi progetti, ma perfino di creare una label indipendente, la Secret Quarters, al fine di conquistare maggiore libertà di azione nella produzione e divulgazione dei loro lavori. Così, dopo aver esplorato - tra le altre cose - il campo gothic con i Vagrant God (gruppo autoprodotto non molto noto), ai giorni nostri i protagonisti pensano bene di riprendere alcune idee maturate durante la loro collaborazione nei Fallen e di darne forma e sostanza, naturalmente sempre sotto il marchio dell’etichetta di cui sono proprietari.
Questa, in sintesi, è la genesi degli Omit e di questo loro debut album, che, pur rappresentando in qualche modo per i suoi cofondatori una sorta di ritorno alle origini, verso sonorità più vicine al doom, presenta un’impostazione diversa, per certi versi anche abbastanza distante dalle esperienze passate. L’impianto di questo platter, infatti, è prevalentemente sinfonico, basato su strumenti classici, mentre i proverbiali riff in stile doom o, piuttosto, melodici fanno più che altro da sfondo; solo sporadicamente poderosi riff dai toni bassi e distorti fanno il loro imponente ingresso per accrescere l’aria melodrammatica che pervade tutti i brani, che quindi non risultano particolarmente carichi di suoni troppo robusti. Il ritmo è alquanto lento, scandito da cadenzati colpi di grancassa a volte accompagnati, ma più spesso alternati, al suono dei piatti, usati molto di frequente per arricchire la banda anche di frequenze più alte. Si tratta in realtà di un artificio, dato che il drumming in questo disco è stato interamente programmato da Tom Simonsen, prima che il nuovo batterista Bert Nummelin si unisse alla band. Le parti melodiche e maggiormente riflessive sono affidate ai sopraffini assoli di violino e violoncello, questa volta non artefatti ma suonati da esperti musicisti ospiti, che riescono a trasmettere intense emozioni, a suscitare momenti di cordoglio e di raccoglimento interiore. Lo stesso dicasi per il suono (a volte riverberato) di chitarra classica, di pianoforte e di strumenti a fiato, mentre a creare un’atmosfera soffusa e ad arricchire le composizioni di arrangiamenti ed inserti melodici ci pensa il prezioso lavoro al synth di Kjetil. Al centro di questo tessuto sinfonico c’è lei, Cecilie, e la sua celestiale voce da mezzo soprano, che non faccio fatica a descrivere come una delle voci femminili più armoniose ed aggraziate che si siano mai sentite. Le vocali aperte e prolungate, i deliziosi vocalizzi, riescono a toccare le corde dell’anima, a suscitare sensazioni malinconiche ma nello stesso tempo distensive, rasserenanti.
Tra i brani più riusciti va evidenziata certamente l’opener Scars, in cui all’aria dolente si unisce l’uso di termini arcaici e perfino il ricorso a citazioni bibliche, che contribuiscono ad accrescerne il sapore antico, ancestrale. Inoltre commetterei peccato di omissione se non citassi anche Fatigue, che, oltre ad essere uno dei migliori brani dell’intero album, rappresenta probabilmente anche un tributo ad Einar Fredriksen, tra i fondatori dei Funeral, cui appartiene la paternità del testo e che purtroppo scomparve tragicamente qualche anno fa. Tristezza, senso di disperazione, di solitudine, di abbandono, sono i motivi principali di questo doppio album, contenente soltanto cinque tracce dai nomi brevi ma di durata piuttosto lunga - mediamente un quarto d’ora cadauna - al fine quasi di prolungare la sofferenza fino allo spasimo. Questo vale in particolare per il brano conclusivo Insolence, ricchissimo di arrangiamenti e parti orchestrali, ma che risulta a mio avviso eccessivamente prolungato, dando la sensazione di essere stato volutamente ed esageratamente stirato. Difatti, quando - ormai giunti al tipico quarto d’ora - il brano sembra concludersi, riprende e prosegue per più di dieci minuti in modo più desolante di prima, quasi a voler riversare su chi ascolta tutta l’angoscia accumulata durante l’intero disco, stato d’animo che permane anche dopo l’ascolto, a causa del fatto che il finale non si esaurisce ma viene sfumato molto lentamente. Ma, a parte questo lieve appunto, il giudizio complessivo è che si tratta di un’opera molto raffinata, non semplice da apprezzare fin dal primo ascolto, che mescola insieme elementi doom, musica classica ma soprattutto sonorità trance/atmospheric, ereditate, con molta probabilità, da Tears Laid in Earth dei The 3rd and The Mortal, non a caso connazionali degli Omit. Di conseguenza è indubbio che, in quanto tale, probabilmente non incontrerà i gusti di tutti e certamente non può considerarsi adatta a chiunque, ma soltanto a chi è disposto a lasciarsi trasportare in un mare infinito di malinconia ed è in grado di non venirne travolto, o a chi è capace di trarne spunto per un’introspezione personale, o semplicemente a chi ama rilassarsi ascoltando soavi melodie.
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Santo cielo anche qui -_-' |
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naturalmente giasse. e grazie ad entrambi! |
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Ma figurati andrea,era già chiaro.anzi grazie  |
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Ciao Andrea. Non ti preoccupare, traduci pure il testo agli Omit. L'unica cortesia che ti chiedo è di far loro citare la fonte . Grazie e un saluto! |
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'azz metal3k, hai ragione! ho parlato senza controllare perché ero sicurissimo di ricordare qualcosa che evidentemente non esiste ad ogni modo spero sia chiaro che non ti stavo certo tacciando di millantato credito pensa che me l'avevano pure scritto via mail che la batteria era programmata, ben messo sono! ad ogni modo, mi è stato chiesto (da loro) se posso tradurre questa recensione per essere credo pubblicata poi sul loro sito. a te va bene? |
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Ah, dimenticavo: non mi risulta che Tom sia anche batterista, ma, tra le altre cose, e' un buon programmatore di suoni. |
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Carissimo mio omonimo, se possiedi il promo, puo' darsi che hai anche il booklet, e se e' cosi' dai un'occhiata, li' c'e' scritto A parte questo ho altre fonti (avro' parlato con Tom? ), per cui ne sono abbastanza certo. Ma ti ringrazio per il tuo commento, perche' mi da' la possibilita' di aggiungere un paio di considerazioni che avevo scelto di non scrivere. 1) Non l'hai avuta anche tu l'impressione che il drumming fosse cosi' perfetto per essere "umano"? Beh io si', forse ci ho fatto maggiormente caso perche' sapevo di questa cosa. Saro' antiquato, ma rimpiango i tempi in cui anche gli studio album venivano incisi solo dal vivo, e addirittura ho nostalgia del fruscio della testina sul vinile, pensa un po'! 2) Le parti lente a cui si riferiva Tom, probabilmente erano quelle di "Insolence", in cui ho contato qualcosa intorno agli 8 secondi di tempo tra un colpo di batteria ed il successivo, un'eternita' se ci pensi  |
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bellissimo, posseggo già il promo dall'altr'anno e mi chiedo cosa possa essere quest'ulteriore passo in avanti (ci sono delel modifiche).una cosa: in che senso batteria programmata? simonsen l'aveva effettivamente suonata, ricordo benissimo le note su twitter o myspace del tipo "oggi ho suonato alcune tra le parti più lente di sempre". - cecilie langlie mi sa che diventerà presto la nuova regina del ghiaccio nordico, dopo kari e liv  |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. Scars 2. Fatigue 3. Dissolve 4. Constriction 5. Insolence
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Line Up
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Cecilie Langlie - Vocals Kjetil Ottersen - Synths, guitars, programming Tom Simonsen - Guitars, bass, programming Bert Nummelin - Drums
Session members: Mira Ursic – Violins Rosamund Brown – Cellos
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