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Status Minor - Ouroboros
( 2956 letture )
L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere! (F. Nietzsche)

Quando una concatenazione di note ed armonie musicali racconta una storia, e quando l’intreccio narrato colpisce per l’intensità con la quale convoglia elementi solo apparentemente distaccati e dissimili fra loro, come a voler sottolineare che nelle diversità che il giudizio reputa inconciliabili sta la virtù più forte e duratura. La natura umana e tutto ciò che le orbita intorno si nutrono di schemi molteplici e complessi e tuttavia ancora riconducibili ad uno, a più elementi quantificabili ed enumerabili, così da far sembrare l’intero archetipo di azioni, eventi, sensazioni nel tempo e nello spazio nient’altro che una catena di montaggio antropologica, un necessario percorso evolutivo al quale ognuno, con le dovute differenze, è chiamato a rispondere nei termini dell’empiricità. Questa consapevolezza, stranamente, viene mal sofferta da chi ne rappresenta il ricevente, l’uomo che con ogni mezzo si affatica a contrastare in suo favore un destino delineato, l’uomo che si confronta con un libero arbitrio che non sembra capace di deambulare coscientemente ma ancora una volta pare guidato verso una metà già prescelta, l’uomo che, infine, si annichilisce nelle braccia di un’entità superiore, trascendente, ontologicamente priva di sostanza, al contempo austera e rasserenante.

L’artwork dai forti toni vermigli introduce ad una figura di forma trinica e di moto circolare, immediatamente contestualizzabile: trattasi di un serpente che morde la propria coda, atto che sta ad indicare una ciclica e continua rigenerazione della materia, e che preclude alla formazione del cosiddetto “uroboro“, di derivazione greca, simbolicamente riscontrabile nei campi dell’alchimia e dell’esoterismo, ideologicamente riconducibile alle asserzioni di parte della filosofia germanica otto-novecentesca sulla teoria dell’Eterno Ritorno, i postulati fondamentali della quale mirano a dipingere una concezione della realtà statica, rettilinea, di tempo infinito e sistema finito, il cui fulcro è immancabilmente l’uomo con i suoi umani limiti, sottoposto ad un rigido ripetersi delle cose come egli le percepisce, le percepiva nel passato e le percepirà in un futuro nascosto soltanto ai propri sensi, ma già vissuto, assaporato, concretizzatosi appieno con quali che siano sventure e fortune che lo hanno caratterizzato.
In un puro spirito dualistico ed a ribadire il concetto di cui sopra, gli individui dalla parvenza antropomorfa, rispettivamente un maschio dai capelli radi ed una femmina dalla chioma lunga e raccolta verso destra che occupano il centro della scena in posizione fetale.

Un concept interessante è un valore aggiunto ad un’opera musicale, ma per essere tale ha bisogno di una legittimazione sonora che non passi inosservata. Il mio personale approccio a questo secondo lavoro degli Status Minor è stato inizialmente scettico, dal momento che mi aspettavo di avere tra le mani l’ennesima band dal più blando e scontato progressive intriso di melodia allo spasimo, intenta a sciorinare il maggior numero possibile di note ad una velocità di esecuzione impressionante, mancante però di idee innovative, soluzioni originali e che volesse ad ogni costo rientrare in una categoria ben definita, senza riuscire a dire la propria ed a lasciare un segno. Bene, preparatevi, perché tutto ciò che è stato appena enunciato questi cinque ragazzi di Tampere, Finlandia, lo evitano come la peste, e con gran benificio del prodotto finale.

La varietà dei momenti presenti stupisce per coinvolgimento emotivo, ed il contributo complessivo è un elegante tappeto al librarsi dei singoli, da una parte, il vocalmente istrionico Markku Kuikka, ben coadiuvato dal contributo soave e caldo di Anna Murphy, degli svizzeri Eluveitie, i cui interventi all’interno dei diversi episodi si dimostrano sempre carichi di pathos ed appropriati alle strutture sulle quali si impostano.
Come anticipato, è l’eterogeneità a farla da padrone: punto cardine ed al tempo stesso qualità intrinseca più rilevante del platter, che si esprime al suo interno in maniera ora aggressiva, tagliente, drammatica, triste, delicata, eterea. Sui prodromi delle iniziali The Wind e Hollow si ramifica un riffing ispirato e sommariamente andante, specie nel primo caso, al quale sottendono onnipresenti le orchestrazioni di Jukka Karinen, a risaltare i toni acuti di una prova vocale forse accostabile più ad una linea power e generalmente neoclassica, ma affatto impropria e sempre su livelli più che discreti. Con Glass Wall la spinta emozionale si fa più densa, le keys acquistano una rilevanza predominante e la sezione chitarristica un gusto solistico concreto e ben avvicendato alla ritmica. Ma la vera sorpresa arriva, inaspettata, al sopraggiungere di Like A Dream: il mood si delinea attraverso sfumature commoventi, e lo fa in un primo istante sul leggero accompagnamento di piano che coordina la voce di Anna, per poi proseguire in un riuscito duetto che non solo ci mostra un Markku in grande spolvero, ma pure benificia di un impianto strumentale ottimamente congegnato, tra arpeggi acustici e intense scale. Similmente si pone Confidence And Trust, scandita dalla breve melodrammaticità di una Murphy sopra le righe ed ispiratissima.

Stain è un’amalgama di quanto osservato finora, e riprende sostanzialmente quanto di buono si era già assimilato in precedenza, in un tessuto composito e frazionato in due parti ben distinte, il cui interludio contraddistinto dal binomio vocale Kuikka/Murphy si pone come spartiacque per un secondo tempo nuovamente incentrato sulla solistica. A Smile è affidato invece, per la prima volta in modo tanto marcato, un up-tempo nel quale sono più evidenti i richiami ai capisaldi di riferimento, qua e là nei giochi vocali di Markku, che in alcuni passaggi ricorda un LaBrie piuttosto che lasciar risaltare un lavoro strumentale che tanto echeggia il sound di casa Symphony X. Perché questo sia un prodotto assimilabile al concetto di progressivo lo si comprende in fondo soltanto al cospetto delle ultime due tracce, e se Flowers Die è un addio tragico, dal sentore fortemente rock-oriented, è realmente e solo sul dipanarsi di Sail Away, dei suoi cupi intrecci, repentini mutamenti di bpm e colori mai uguali e mai troppo dissimili, fautori di innumerevoli scene musicali, con tutto l’oneroso carico di sensazioni che ne deriva, che gli Status Minor mostrano quale possa essere la loro veritiera indole e quanto essa sia volutamente posta in continuo stravolgimento, sino al proprio naturale eclissarsi.

Ouroboros può essere concepito in due modi: come un momento destinato a durare in eterno, unico nel suo genere e per questo irripetibile, e in secondo luogo come qualcosa che sia destinato a perdurare a poco a poco nell’animo dell’ascoltatore, a dirsi levigato da innumerevoli inizi ed altrettanti conclusivi respiri. In entrambi i casi sento che avrei perso molto se, casualmente o meno, non me ne fossi approcciato affatto.
Sta ora a voi decidere, scegliere se fermare un attimo consapevoli che questo non tornerà, oppure lasciarlo andare, come alle volte si abbandona ciò che ci arricchisce, completa, ciò che infine è bello e necessario senza condizione, ma sfugge agli occhi con altrettanta bellezza.



VOTO RECENSORE
80
VOTO LETTORI
47.83 su 18 voti [ VOTA]
9Fede9
Lunedì 24 Dicembre 2012, 17.45.50
2
Anche a me hanno ricordato subito i Symphony X. Che ne siano una sbiadita copia non so...certo l'accostamento li paragona a un monumento del metal. A me è comunque piaciuto molto.
Luca "Diablo"
Martedì 3 Luglio 2012, 18.53.30
1
siamo al cospetto di una sbiadita copia dei Symphony x e pensare che il primo brano dell'album lasciava ben sperare. voto: 65
INFORMAZIONI
2012
Lion Music
Prog Metal
Tracklist
1. The Wind
2. Hollow
3. Glass Wall
4. Like a Dream
5. Confidence and Trust
6. Stain
7. Smile
8. Flowers Die
9. Sail Away
Line Up
Eero Pakkanen (Basso)
Rolf Pilve (Batteria)
Sami Saarinen (Chitarra)
Jukka Karinen (Keyboards)
Markku Kuikka (Voce)

Guest:

Anna Murphy (Voce)
 
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