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26/04/25
HEAVY LUNGS + LA CRISI + IRMA
BLOOM- MEZZAGO (MB)
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Può l’esordio solista di uno degli artisti più ammirati ed importanti della storia del rock, entrato nella leggenda sia da membro di una band che da musicista solitario, risultare indubbiamente piacevole, ma lontano anni luce da quello che era lecito attendersi da lui? La risposta è affermativa, se si parla di Lewis Allan “Lou” Reed. Oltre quaranta anni prima di ricevere minacce di morte dai fan dei Metallica per quella collaborazione non esattamente brillante intitolata Lulu, il cantautore di Brooklyn era divenuto celebre per il suo lavoro nei particolarissimi The Velvet Underground: capaci di creare un sound unico, che sarebbe stato riconosciuto dai posteri come precursore di punk, new wave, alternative rock e post-rock, questi ragazzi dovevano infatti una discreta fetta del loro successo (più a livello di critica che di vendite a dire il vero) proprio a Lou Reed, principale compositore e lirico della band. Tuttavia, come prima o poi accade in praticamente ogni gruppo, tensioni e problemi di varia natura, nonché lo scoramento per le scarse vendite portarono il nostro, nel 1970, alla decisione di abbandonare i The Velvet Underground. Tuttavia, dopo un biennio in cui sembrava essersi allontanato dal mondo della musica, fu convinto a tornare sui suoi passi dal produttore Richard Robinson e, per il suo atteso ed omonimo debutto da solista, registrò otto pezzi scritti quando ancora faceva parte della sua precedente band, più due nuovi.
Torniamo quindi al quesito con cui abbiamo aperto questa disamina e cerchiamo di comprendere i motivi che stanno dietro al carattere complessivamente deludente di Lou Reed: il disco si apre con I Can’t Stand It, un buon brano rock scandito dalla batteria marziale di Clem Cattini e caratterizzato dai cori che sostengono la voce del cantautore sul ritornello, abbastanza classico e prevedibile ma comunque gradevole. Going Down, primo dei due brani nuovi scritti per l’occasione, è invece di tutt’altra pasta e si sorregge sul piano, così come sulla chitarra solista, lasciata però un po’ colpevolmente sullo sfondo nella registrazione. Da notare, peraltro, che uno dei chitarristi ospiti su questo lavoro risponde nientemeno che al nome di Steve Howe, il funambolico genio degli Yes…ma come si amalgama il suo stile al fulmicotone con i ritmi generalmente molto più tenui della musica di Reed? In questo caso non bene, poiché Going Down, pur presentando certamente elementi di interesse, sembra più un collage di parti strumentali e cantate che una vera e propria canzone, come se fosse stata registrata mentre ancora si cercava di farne un brano vero e proprio. Le stesse cose, peraltro, possono essere dette a proposito delle partiture di tastiera, affidate ad un altro genio come Rick Wakeman. Si procede con Walk and Talk It, dove si torna al rock ed alla batteria che scandisce il ritmo con autorità, ma anche stavolta gli sfoghi della chitarra solista in sottofondo sembrano più belli che adeguati al contesto in cui si trovano; l’alternanza fra ritmi ed atmosfere è una delle caratteristiche principali di Lou Reed: e naturalmente Lisa Says ci riporta su lidi che avevamo già esplorato con Going Down, cui peraltro questo brano è fin troppo simile e non rende giustizia al talento che tutti noi riconosciamo al musicista di Brooklyn. Eppure, proprio quando stavamo scuotendo la testa, ecco che arriva un brano che conosciamo alla perfezione, seppure in una versione che potremmo quasi definire demo rispetto a quella, arcinota, che Reed inciderà solo l’anno successivo: si tratta naturalmente di Berlin ed è significativo il fatto che da sola questa canzone risollevi le quotazioni di questo album, sebbene la sua evoluzione sia lontana anni luce per qualità e magnificenza. Anche I Love You è gradevole, pur assomigliando molto più ad un brano di Bob Dylan che ad uno cui ci ha abituati il nostro, al pari del resto di Wild Child; fra le tre tracce finali, invece, quella più particolare è senza dubbio la conclusiva Ocean, che maggiormente richiama le atmosfere dei The Velvet Underground, mentre le altre due sono gradevoli, ma non molto di più.
All’epoca della sua pubblicazione, Lou Reed fece registrare un fiasco clamoroso, con sole 700 copie vendute e diverse stroncature da parte della critica specializzata; sicuramente non stiamo parlando di un album da buttar via, anzi possiamo riscontrare numerosi momenti piacevoli all’interno del lavoro, ma allo stesso tempo, come detto in apertura di recensione, stiamo parlando di un mezzo passo falso dell’artista. Sembra incredibile pensare che, a distanza di pochi mesi, Reed pubblicherà quella pietra miliare che risponde al nome di Transformer, il che ci fa capire che molto probabilmente aveva soltanto bisogno di scaldarsi un po’ dopo due anni di inattività prima di tornare a comporre brani degni del suo nome e di quanto aveva fatto ascoltare ai suoi fan in passato. Lou Reed, dunque, va inteso proprio come un primo esperimento solista in cui non tutto è andato per il verso giusto, a cominciare dalla produzione un po’ approssimativa fino alla struttura dei brani, a volte contraddittoria e che spesso li fa apparire più simili ad un work in progress che a canzoni davvero compiute. In conclusione, date comunque un ascolto a queste dieci incompiute per curiosità personale e perché comunque vi faranno passare un po’ di tempo in modo piacevole, ma se volete provare i capolavori di Lou Reed volgete l’orecchio altrove.
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Sono passato x caso e non ho resistito. Anzitutto non posso credere che Awake qui sotto, che anni fa sparava merda a tutto spiano su LOU REED, sia la stessa persona che difende a spada tratta i POLICE! Su LOU posso dire a chi lo critica, che nessuno, neanche il suo amico BOWIE, sul pianeta, ha saputo cantare i tossici meglio di lui. Io in mezzo ai tossici ci sono cresciuto. Non erano merde: la roba è una merda che li ha trasformati! X la maggior parte erano ragazzi sfortunati che hanno iniziato a tirar su con la stessa naturalezza con cui oggi ti fai un free. Aggiungo che mentre x diventare alcoolizzato ti ci vogliono anni e anni a pieno regime, tossico ci diventi in una settimana. Poi se vogliamo dire che un Live come R'n'R Animal fa schifo allora non c'è neanche conversazione. Su Metal Machine Music xò vorrei dire a Psycosys di mettersi nei panni del ragazzo che all'epoca magari lo aveva comprato e magari ne sarebbe meno entusiasta. Mi sembra di ricordare che LOU REED xò avesse avvisato di non comprarlo o qualcosa del genere, ma tant'è qualche sfigato l'incauto acquisto l'avrà fatto. Sul disco in questione mi pare il recensore sia stato esaustivo. Saluti!!! |
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Leggo di critiche a Lou Reed e Metal Machine Music... Non sono d'accordo. Reed come artista è stato fondamentale in quanto leader dei Velvet Undergound e pioniera della musica rock, proto-punk, noise rock e advantgarde\sperimentale. Metal Machine Music fu un'uscita geniale poiché non fu un'accozzaglia di rumori nata per caso e senza alcun senso. Reed era sano e lucido e l'opera, seppur inascoltabile nella sua interezza (lo stesso Reed disse che chi l'avrebbe ascoltata per intero sarebbe stato più pazzo di lui), ebbe un enorme lascito artistico. Punk, Industrial, Metal e Noise devono molto a quest'album. Inoltre è un'opera che ha anche un significato al di fuori della musica, il rock era ribellione e fare un disco del genere è ribellione più totale: un vaffa alla casa discografica, al produttore che lo costrisse a pubblicare Sally Can't Dance, al mainstream, all'arte in generale e soprattutto all'ascoltatore. Quale artista prima di quel momento aveva rifilato una roba del genere ai suoi sostenitori? Per tornare nel tema della recensione (molto gradevole!), il debutto di Reed mi piace anche se è lontano anni luce dai suoi capoalvori. Per me un 70. |
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Pagliaccio quanto volete, Velvet Uneground & Nico è suo al 95% |
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Riposa in pace mitico Lou Reed |
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Awake ah, ok,scusate  |
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Jimi si stava parlando di musica e non di strategia della comunicazione e/o marketing @VomitSelf : Metal Machine Music è venuto dopo Trasformer e Berlin... |
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Lou Reed ha fatto SEMPRE parlare di se, così nel suo passato, così oggi. E' questo il suo essere unicamente Reed che piaccia oppure no.. Un gioiello di comunicazione, alimento perenne delle critiche mondiali.. JImi TG |
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Scipito. I capolavori verranno con Trasformer e Berlin, che ho amato ed amo alla follia. Metal Machine Music si, è una cagata, forse una ripicca di Reed verso la casa discografica, eppure c'è chi da quell'accozzaglia di feedback senza capo ne coda ha addirittura preso spunto...Comunque, questo più di un 50 da me non lo prende. |
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"Metal Machine Music": una pattumiera sonora senza capo nè coda che può intrigare giusto gli allocchi. Pura operazione di marketing, un'accozzaglia di rumori caotici e stridenti spacciata per arte d'avanguardia riservata a una ristretta cerchia di eletti (si certo come no). Mi chiedo chi è quell'eroe che è riuscito ad ascoltare tale aborto dall'inizio alla fine senza dargliela su dopo pochi minuti. E c'è chi ha pure il coraggio di parlare di melodia sotto la superficie. Forse se ti fai una pera la puoi trovare la melodia. Pura cacofonia e nulla più. |
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Di Lou Reed conosco solo metal machine music; sarei curiosissimo di leggere una recensione di quel disco, solo un pazzo riuscirebbe a parlarne! |
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Lo conoscevo solo di nome, mai approfondito, rimedierò. Grz della segnalazione Therox. |
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Non per alimentare l'off topic ma c'è un personaggio che all'incirca negli stessi anni di Warhol e Reed produsse un pensiero veramente radicale su consumismo e società dello spettacolo e rispondeva al nome di Guy Debord. |
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@Delirious Nomad: sarebbe anche carino argomentare in che senso Reed è stato fondamentale. Per chi? Per cosa? Per l'eroina che si sparavano in vena i fans che ascoltavano la sua musica, per caso? O al nichilismo imperante che la cultura del tempo assoggettata al consumismo e ai diktat delle multinazionale spalmava sul popolo americano sottraendo linfa vitale alle nuove generazioni? Perchè Lou Reed è figlio di 'sta roba qui eh? |
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Non è questo il punto Freedom: l'arte di Warhol non è contro il consumismo come dice Raven, è invece completamente strutturale al sistema capitalistico di cui il consumismo è l'elemento fondante, il motore che lo fa girare. Niente di male ci mancherebbe, ma dire che Warhol ha anticipato un riflessione critica nei confronti del consumismo (e quindi del capitalismo) è del tutto fuori luogo in quanto nelle sue opere non c'è alcuna traccia di tale riflessione. Sia che si parli di pittura o di scultura o di musica o di cinema. Pura feticizzazione/esaltazione delle icone di successo a stelle e strisce dell'epoca (sia a livello di personaggi che a livello di prodotti di consumo). Andy Warhol = la nientificazione dell'arte in tutte le sue espressioni. Poi potete continuare a pensarla come volete ci mancherebbe. |
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Capita di rado, ma devo concordare assolutamente con l'ultima frase di freedom: Reed é stato fondamentale. Punto. |
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Certo certo, buttiamo nel cesso Lou Reed, Warhol e Schifano...dai su ragazzi, non diciamo cazzate. Raven ha spiegato tutto, mentre Awake mi sembra proprio lui quello fuori strada. Warhol non è di certo né il primo né l'ultimo artista che si è arricchito criticando il sistema capitalista o cose del genere. Anche la nostra amata musica metal è piena di personaggi che si scagliano contro il dio denaro ed il consumismo sfrenato, per poi andare in giro in Ferrari e mangiare aragosta una sera si e l'altra pure...anche loro non valgono niente? Non direi. Solo che i soldi fanno gola a tutti, tranne a pochissimi santi che ora stanno in paradiso. Tornando a Reed, come artista ha fatto grandi cose, stare qui ad insultarlo è a dir poco ridicolo. |
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No no ma tranquillo, non era mia intenzione scatenare un flame... è che molte volte mi lascio andare.  |
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Che ci abbia anche marciato per soldi non lo nego affatto, che l'idea originale della serializzazione (non come critica, ma come presa d'atto) fosse valida è fuor di dubbio, ma eventualmente è meglio passare nel forum, qui siamo effettivamene sempre più OT. |
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Anche tu Raven ti fai ingannare da quello che l'opinione mainstream tende a mostrare. Warhol è un'artista completamente strutturale al capitalismo che non ha mai prodotto alcunchè di artisticamente rilevante. La sua arte consisteva nell'immortalare le icone dello spettacolo e i prodotti delle multinazionali americane per accrescere la propria fame di gloria e soprattutto di ricchezza. Un'artista ruffiano, un lacchè delle grandi lobbies industriali con grossi problemi mentali che non disdegnava frequenti incursioni nella droga. Un'artista del nulla che facendo leva sull'ignoranza del popolo americano ha elevato a forma d'arte le scatolette Simmenthal. Non uno straccio di critica sociale e politica nelle sue opere, completamente assoggettato alle dinamiche consumistiche che il potere mediatico al soldo del capitalismo spalmava quotidianamente sulla coscienza collettiva statunitense. Ecco chi era Andy Warhol, altro che storie. Tutto il resto sono chiacchiere da retrobottega caro Raven per dare profondità artistica a un personaggio che non ne aveva in alcun modo. Se poi per te la feticizzazione dei grandi marchi industriali (Esso e Coca Cola giusto per citarne un paio) rappresentano una critica al capitalismo e perlomeno una sua "anticipazione critica" allora sei proprio fuori strada credimi. Semmai è il contrario, trattasi piuttosto di un'esaltazione iconografica, ripetuta a mò di tamtam pubblicitario, tesa a immortalare la grande industria monopolistica e indurre il popolino ad assefuarsi alle sue logiche, quell'industria che è anticipatrice della globalizzazione e delle sue conseguenti dinamiche che tutti noi, allo stato dei lavori, volenti o nolenti, stiamo sperimentando sulla nostra pelle. Dalla serializzazione delle opere di Warhol poi ti puoi facilmente rendere conto di come l'artista era completamente affine alle logiche dominanti dell'epoca. Potrei approfondire ulteriormente, il tema è molto interessante, ma mi limito a scusarmi anch'io per il fuorionda (OT). |
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Molto in breve perchè andiamo OT e non è giusto nei confronti della recensione. L'opera Wharoliana non è affatto da inquadrare considerando la pura estetica, men che mai quella europea ed italiana in particolare. Essa si pone all'interno della cosidetta pop(ular)-art e, riducendo la cosa ai minimi termini, si innesta all'interno di una cultura che è solo statunitense, ma proprio in quanto tale, influenza pesantemente quella europea e mondiale -in particolare tra gli anni 50 e 70, ma anche adesso- rifiutando la storia dell'arte fondata sull'estetica, e prendendo a modello i prodotti della società dei consumi, nuovi totem dell'uomo medio, a digiuno della storia stessa e condotto dalla necessità di consumare in quanto tale. I simboli del consumismo (la zuppa Campbell lo è per eccellenza, così come la Coca Cola) vengono replicati serigraficamente ed in questo modo resi arte in quanto decontestualizzati, diventando feticci di una società intera. In un certo senso, l'operazione non è dissimile da quanto fatto in altre epoche da tantissimi artisti, che si nutrivano di ciò che vedevano nella vita di tutti i giorni. La società americana, fondata sulla produzione di massa, proponeva non quadri, statue e palazzi come da noi, ma cartelloni pubblicitari, foto di dive del cinema, supermercati pieni di merce, e Wharol non ha fatto altro che interpretare il suo tempo, anticipando così la critica sociale nei confronti del consumismo che era ancora al di fuori della coscienza americana e quindi mondiale. Da lui l'anticipazione di temi ancora dibattuti e non completamente sviscerati al giorno d'oggi circa la società dell'immagine (i famosi 15 minuti di celebrità che solo adesso stiamo vedendo nel loro immenso squallore imporsi anche qui) producendo di riflesso anche -in parte- artisti notevolissimi qui in Italia quali Mario Schifano e, tanto per dirne una, le sue ESSO degli anni '60, ma rimanendo a mio parere artisticamente inferiore ad alcuni nostri esponenti pop, ad esempio Tano Festa. |
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Dimmi pure Raven, spiegamela tu l'opera di Wahrol, sono tutto orecchi... aspetto!!! |
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E neanche la musica di Reed  |
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Credo che tu non abbia compreso molto dell'opera di Wharol. |
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Uno dei più grandi pagliacci della storia della musica a mio modestissimo parere, come tutti quelli che sono passati tra le grinfie di quel semiumanoide ibrido e completamente schizzato che corrisponde al nome di Andy Warhol, con la sua arte serigrafica e in serie e usa e getta, buona giusta per un supermercato nell'era dei consumi... applausi sentiti a Ayreon, con tutto il cuore. |
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applausi al commento di ayreon invece!!! pernacchie a Lou reed!!! |
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Problemi tuoi....questo non ha niente a che vedere con il valore dell'artista. |
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pernacchia quanto vuoi,piuttosto che vederlo o sentirlo me ne vado a un funerale e mi diverto di più |
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Pernacchie al commento di ayreon. |
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Transformer, Berlin, Metal Machine Music, il live Rock'n'roll Animal, Strret Hassle, ah regà è storia |
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Concordo in pieno con Galilee |
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@Galilee: alla tua lista aggiungo anche Berlin  |
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I primi tre dischi dei Velvet undrground e i suoi Transformer e Metal machine music sono tra dischi più importanti della storia del rock. C'è poco da aggiungere. Riguardo a questo omonimo disco invece sono d'accordo col recensore. Non un esordio esemplare. |
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Applausi al commento di Ayreon. |
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se questo signore ha fatto capolavori,gente come Peter gabriel e Robert Fripp hanno scritto la bibbia e creato il mondo |
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Concordo totalmente, non un grande esordio |
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INFORMAZIONI |
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Tracklist
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1. I Can’t Stand It 2. Going Down 3. Walk And Talk It 4. Lisa Says 5. Berlin 6. I Love You 7. Wild Child 8. Love Makes You Feel 9. Ride Into The Sun 10. Ocean
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Line Up
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Lou Reed (Voce, Chitarra) Steve Howe (Chitarra) Paul Keogh (Chitarra) Caleb Quaye (Chitarra, Piano) Les Hurdle (Basso) Brian Odgers (Basso) Clem Cattini (Batteria) Rick Wakeman (Tastiere) Helene Francois (Cori) Kay Garner (Cori)
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